Il nuovo Messale in inglese e l’eredità del Concilio
di Massimo Faggioli
in “popoli” dell’ottobre 2011
Nella prima domenica di Avvento (27 novembre) la Chiesa cattolica degli Stati uniti - al pari di quelle di Gran Bretagna, Sudafrica, Australia e Nuova Zelanda - inizierà a usare la nuova traduzione inglese del Messale romano.
Il cambiamento avviene dopo un lungo iter in cui non sono mancate tensioni tra Roma e la Chiesa statunitense, né divisioni all’interno di quest’ultima. È utile dunque ricostruire brevemente le tappe di una vicenda che, seppure estremamente importante per il mondo cattolico, ha avuto scarsa eco in Italia. Dopo l’approvazione, durante il Concilio Vaticano II, della Costituzione sulla Sacra liturgia Sacrosanctum Concilium (1963), avvenuta anche grazie all’appoggio decisivo dei vescovi americani, nel 1973 fu approvata da Roma e iniziò a essere usata nelle chiese statunitensi la prima traduzione del Messale dal latino all’inglese realizzata da Icel (International Commission on English in the Liturgy), commissione fondata proprio durante il Concilio dalle Conferenze episcopali anglofone.
Tra 1994 e 1998 la Congregazione per il culto divino iniziò a manifestare obiezioni nei confronti delle nuove traduzioni in lingua inglese dei testi liturgici fatte secondo il principio della «equivalenza dinamica».
Nel 1999 il cardinale Medina escluse l’«equivalenza dinamica» come metodo accettabile. Il passo successivo fu l’istruzione vaticana Liturgiam authenticam del 2001, tuttora in vigore e valida per tutte le Chiese, secondo la quale le nuove traduzioni devono seguire il principio di «equivalenza formale»: ogni parola latina deve avere un corrispondente nella traduzione, e sintassi, punteggiatura e vocabolario della lingua latina devono essere riprodotti fedelmente.
Nel 2002 iniziò l’emarginazione di Icel come luogo di elaborazione dei testi liturgici in lingua inglese, a favore di un nuovo organismo di creazione vaticana, Vox Clara, che dipende dalla Congregazione per il culto divino; Icel fu riorganizzata in modo da non rispondere più ai vescovi ma al Vaticano. Iniziò in quel periodo il lavoro per una nuova traduzione inglese del Messale.
Nel 2008 la nuova traduzione preparata da Icel fu presentata e subito subissata di critiche da parte di molti teologi e liturgisti anglofoni quanto alla qualità della traduzione; il testo fu comunque inviato a Roma per l’approvazione. Vox Clara introdusse a questo testo circa 10mila modifiche, il Vaticano approvò e inviò il nuovo Messale ai vescovi perché venisse introdotto all’inizio dell’anno liturgico 2011-2012.
Nel corso degli ultimi due anni il dibattito si è acceso in ogni Paese anglofono toccato dalla nuova traduzione del Messale. Negli Stati Uniti esso è stato particolarmente intenso non solo per la consistenza numerica della Chiesa cattolica (67 milioni di fedeli, circa il 23% dei cittadini adulti), ma anche per il ruolo decisivo giocato, tra Icel e Vox Clara, dal cardinale Francis George, arcivescovo di Chicago e fino alla fine del 2010 presidente della Conferenza episcopale Usa (Usccb), la quale è stata teatro di numerose e palesi irregolarità procedurali finalizzate a far passare il testo «romano» senza possibilità di intervento da parte dei vescovi.
Dall’assemblea della Usccb del novembre 2009 buona parte dei liturgisti americani ha cercato di rimettere in discussione il nuovo Messale. Fino all’inizio del 2011 i vescovi e teologi americani erano ancora divisi sulla sua accettabilità; negli ultimi mesi, però, i critici hanno pubblicamente rinunciato a portare avanti la loro «resistenza» in nome dell’unità della Chiesa americana. Noti liturgisti che avevano contestato la qualità linguistica e teologica del nuovo Messale si sono messi a disposizione dei vescovi, al fine di limitare i danni nel corso del delicato processo di recezione.
Anche tra il laicato statunitense le critiche sono proseguite (si veda, per esempio, il sito www.whatifwejustsaidwait.org) fino all’inizio del 2011, quando anche i più convinti oppositorihanno dichiarato la loro disponibilità a lavorare per una migliore recezione del nuovo Messale, al fine di non lacerare la comunione ecclesiale.
Ma quali sono le principali critiche rivolte al nuovo Messale? C’è anzitutto un problema di chiarezza del testo: la nuova traduzione, che ha dovuto mantenere la struttura della frase latina, è ricca di espressioni complesse non facilmente comprensibili da un anglofono medio.
C’è poi un problema di lunghezza delle frasi: per esempio, la lunghezza delle frasi delle preghiere eucaristiche del nuovo Messale (aumentate mediamente del 78% rispetto al precedente) fa diventare quei testi totalmente estranei al ritmo della lingua inglese.
Infine, ci sono rilevanti cambiamenti di formule ormai entrate a far parte della lingua liturgica dopo il Concilio. Un esempio: quando il sacerdote dice «Il Signore sia con voi», ora anche gli anglofoni, come facciamo noi italiani, risponderanno «And with your spirit» («E con il tuo spirito»), formula certo più aderente al latino, ma ben diversa dall’espressione colloquiale, «And also with you» («E anche con te»), a cui erano abituati. Ancora: durante la consacrazione del vino, al posto di «cup» ci sarà l’arcaico «chalice».
E l’espressione «For you and for all» («Per voi e per tutti») sarà sostituita da «For you and for many» («Per voi e per molti»): in quest’ultimo caso, tra l’altro, è evidente che con la nuova traduzione si è voluto trasmettere un contenuto teologico particolare, una questione che va al di là della maggiore o minore vicinanza ai testi latini.
Del resto tutta la vicenda dell’elaborazione del nuovo Messale ha significati più profondi di una semplice controversia linguistica. Colpiscono due aspetti, collegati tra loro. In primo luogo, chi vive in America sa che la qualità liturgica nelle chiese cattoliche è notoriamente molto alta: dal punto di vista della solennità, della musica, della cura delle letture e degli arredi sacri, ecc.
I motivi sono molti, specialmente per quanto riguarda la musica (tra cui un interessante fenomeno di migrazione verso la cultura cattolica di una tradizione liturgica congregazionale-protestante), ma in particolare vi è il successo del processo di recezione della riforma liturgica del Concilio negli Usa, come ha evidenziato il recente studio di Mark Massa, The American Catholic Revolution: How the ’60s Changed the Church Forever (New York, Oxford University Press, 2010).
Al contrario di altri casi additati dai nostalgici, la riforma liturgica conciliare in America non ha dato luogo ad «abusi» né alla distruzione di un patrimonio rituale - molto cattolico e molto americano - che è ancora forte e sentito. Dunque, delle tante riforme di cui gli anti-conciliari o i cattolici conservatori americani potrebbero sentire il bisogno, quella della liturgia è percepita come la meno urgente.
In secondo luogo, è evidente che al cuore delle tensioni tra Roma e le Chiese anglofone, e all’interno di queste, vi è la consapevolezza che la riforma liturgica del Concilio è «il» simbolo del Vaticano II e in qualche modo il custode della sua ecclesiologia. Quanti attaccano la riforma liturgica sanno bene che il Vaticano II è ancora sulla strada di una sua «canonizzazione», ovvero di una sua stabilizzazione culturale come nuova forma espressiva della fede cattolica.
Modificare la liturgia del Concilio (e in questo caso, latinizzarne la lingua) può essere letto come un sottinteso appello a rimettere in discussione tutto il resto del Vaticano II.
La nuova traduzione in inglese del Messale appare dunque un terreno di confronto circa l’interpretazione del Concilio: un confronto particolarmente delicato e dall’esito incerto per un cattolicesimo, come quello anglofono, culturalmente poco attaccato alle nostalgie dell’età tridentina.