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Psicoanalisi, Storia e Politica....

L’ITALIA, IL VECCHIO E NUOVO FASCISMO, E "LA FRECCIA FERMA". La lezione sorprendente e preveggente di Elvio Fachinelli - di Federico La Sala

sabato 29 agosto 2009 di Maria Paola Falchinelli
[...] La ricerca prende le mosse, dunque, dall’analisi dell’uomo che annulla il tempo e dai suoi risultati: la ricostruzione, in funzione del tempo, di "un modo generale di vivere ossessivo" (p. 10). Di qui, procedendo "per salti e indizi, secondo una trama di fili "(P. A. Rovatti, I morti viventi e l’aquila littoria,"la Repubblica ", 17.11.79), e, in particolare, sempre seguendo "il filo del tempo", vengono posti in relazione e analizzati la nevrosi ossessiva stessa, "le società arcaiche (...)

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> L’ITALIA, IL VECCHIO E NUOVO FASCISMO, E "LA FRECCIA FERMA" --- LA DITTATURA DEL PRESENTE. Marc Augé "Così la storia viene abolita" (di Michele Smargiassi).

martedì 20 ottobre 2009


-  Nel suo ultimo libro l’antropologo francese spiega i pericoli di un mondo da cui viene
-  espulsa qualsiasi narrazione distruggendo il senso degli avvenimenti

-  LA DITTATURA DEL PRESENTE
-  Marc Augé "Così la storia viene abolita"

-  Viviamo un tempo chiuso, orfano delle lezioni del passato e delle speranze dell’avvenire
-  I migranti espropriati della propria identità si devono riappropriare dei miti dell’origine

-  di Michele Smargiassi (la Repubblica, 20.10.2009)

Ogni impero sogna di abolire la storia. Saper fermare il tempo è la prova d’esame del potere assoluto: riuscire a cancellare assieme il rimpianto del passato e la speranza del futuro è la sua garanzia di perennità. Così ogni dittatura sul presente inaugura, inevitabilmente, una dittatura del presente. Ed è questa "presentizzazione" assoluta la minaccia che Marc Augé intravede dietro la maschera ottimista della globalizzazione e la sua eccitante coalescenza di tempi e di spazi. Un destino che l’"etnologo nel metrò" paventa e denuncia in questo suo ultimo Che fine ha fatto il futuro? (Elèuthera, 110 pagine, 12 euro; ma il calembour del titolo originale, Où est passé l’avenir?, allude anche alla scomparsa del passato).

Già da questi accenni si dovrebbe capire che nonostante la sua mole esigua non si tratta di un libro semplice. Va letto tutto con attenzione, tranne il sottotitolo inventato dall’editore italiano, Dai nonluoghi al nontempo, infondato (nel testo la parola nontempo non compare neppure una volta) e anzi dannoso perché accetta di ridurre una definizione seriamente fondata - nonluoghi - il cui travolgente successo ha rischiato di sommergerne la genialità, a una formula rivendibile all’infinito sotto copertine sempre nuove. Non è così, per nostra fortuna.

Che fine ha fatto il futuro? è un libro intenso, percorso da tensione etica e anche politica, che forse deluderà chi si è fatto di Augé l’immagine semplificata di un antropologo del quotidiano alla divertita esplorazione di metropolitane, aeroporti e parchi gioco. Che fine ha fatto il futuro? è invece un testo dall’orizzonte filosofico, ed è forse quello in cui Augé prende più nettamente le distanze dall’interpretazione postmodernista della contemporaneità, di cui pure condivide il presupposto, ovvero che là dove la modernità aveva distrutto ogni mito delle origini, la postmodernità ha distrutto anche ogni utopia avvenirista.

Ma nel suo en tusiasmo per la presunta libertà che la «fine delle narrazioni» ci donerebbe, il postmodernismo sembra ad Augé «la versione cool ed ecologista della "fine della storia"». Alla postmodernità ottimista Augé contrappone la preoccupata visione di quella che chiama, non da oggi, surmodernità, frutto del collasso dello spazio e dell’accelerazione del tempo in un pianeta sovracomunicante. Questo presente orfano delle lezioni del passato e delle speranze nel futuro, insomma, non gli appare affatto più leggero di prima, ma più denso, claustrofobico, saturo fino alla nausea dei surrogati della storia perduta: le immagini rese ubique da Internet, le rovine (che dissociano il senso del tempo dal suo scorrere), il turismo che unifica geografia e cronologia riducendo entrambe a spettacolo. Questo presente è prepotente ma fragile, oppresso com’è da ansie e paure. La prima e più terrificante delle quali, ovviamente, è la resurrezione di ciò che si è cercato di abolire: la storia.

Ogni società dominata dal presente teme l’evento come la peste. Lo esorcizza fin che può, sciogliendolo nelle spiegazioni di lungo periodo, negandone l’unicità e la rilevanza. Quando non può, perché l’evento è troppo poderoso, allora il potere cambia strategia: per reagire all’insopprimibile eventualità dell’11 settembre George W. Bush resuscitò un cadavere sepolto da oltre sessant’anni, la dichiarazione di guerra (al Terrore), che è sempre stata la regina della storia évenémentielle, ma ora diventa il suo opposto, il ritorno alla rassicurante continuità (era una guerra enduring, perenne), evento che nega l’evento e promette di risolverlo e annullarlo.

Ma proprio per questo la sfida si fa più dura e rischiosa. I frammenti di genere umano espropriati dalla storia, gli esiliati e i migranti costretti ad abbandonare la propria identità in un passato che viene ora dichiarato estinto, per rifondersi in identità straniere il cui futuro è programmaticamente bloccato, non hanno altra speranza di rivalsa se non riappropriarsi dei miti dell’origine come arma, e dei miti del futuro come programma d’azione, facendo ripartire la storia a colpi di eventi che non si possano sterilizzare, dunque sempre più violenti ed evidenti.

Augé, che resta un umanista, cerca di chiudere il libro su una nota di volonteroso illuminismo, immaginando «le condizioni di un’utopia dell’educazione» che disinneschino la bomba. Purtroppo, ben più realistica suona la sua profezia di poche pagine prima su ciò che sta maturando ai margini della surmodernità: «Se ciò da cui sono esclusi è la storia, non bisogna stupirsi se il rischio di vederli rientrare nella storia per le vie più pericolose e folli non è lontano».


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