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Psicoanalisi, Storia e Politica....

L’ITALIA, IL VECCHIO E NUOVO FASCISMO, E "LA FRECCIA FERMA". La lezione sorprendente e preveggente di Elvio Fachinelli - di Federico La Sala

sabato 29 agosto 2009 di Maria Paola Falchinelli
[...] La ricerca prende le mosse, dunque, dall’analisi dell’uomo che annulla il tempo e dai suoi risultati: la ricostruzione, in funzione del tempo, di "un modo generale di vivere ossessivo" (p. 10). Di qui, procedendo "per salti e indizi, secondo una trama di fili "(P. A. Rovatti, I morti viventi e l’aquila littoria,"la Repubblica ", 17.11.79), e, in particolare, sempre seguendo "il filo del tempo", vengono posti in relazione e analizzati la nevrosi ossessiva stessa, "le società arcaiche (...)

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> L’ITALIA, IL VECCHIO E NUOVO FASCISMO, E "LA FRECCIA FERMA". ---- «20 anni dopo il muro vi spiego il mio dissenso» (di Rossana Rossanda) - Sul comunismo avete sbagliato anche voi (di Piero Sansonetti).

lunedì 16 novembre 2009

«20 anni dopo il muro vi spiego il mio dissenso»

di Rossana Rossanda *

Non è un incidente se il manifesto, che si definisce ancora «quotidiano comunista», ha elegantemente glissato sul ventesimo anniversario del 1989; non per distrazione, ci strillano da vent’anni che la distruzione del muro di Berlino segnava la fine del comunismo, «utopia criminale». Noi su quella «utopia» ambiziosa eravamo nati, ed eravamo stati i primi a denunciare nella sinistra che con essa avevano chiuso da un pezzo i «socialismi reali». Li denunciavamo nell’avversione del partito comunista e nella scarsa attenzione delle cancellerie e della stampa democratiche. Il movimento del ’68 ne aveva avuto un’intuizione, ma non il tempo né la preparazione per andare oltre.

Avevamo aggiunto che almeno dalla crisi del 1974 l’egemonia dell’occidente non mirava più alla messa a morte del comunismo, ma a quella del compromesso socialdemocratico nella sua veste keynesiana. Questo ammetteva che il conflitto tra capitale e lavoro era intrinseco al sistema e per evitare involuzioni fasciste occorreva garantire il lavoro dipendente e una parte consistente di beni pubblici. Se no anche la società europea sarebbe andata, nell’ipotesi migliore, a quella che non Lenin ma Hannah Arendt aveva definito un’americanizzazione fondata sulla libertà politica e la schiavitù sociale. Non è fin risibile, tutt’al più dipietresco, battersi contro le derive autoritarie e presidenzialiste di Berlusconi, e non solo, quando dalla metà degli anni settanta sono tornate a risuonare come novità le trombe di Von Hajek, la correzione rooseveltiana è stata definita, anche dalla nuova sinistra, statalista dunque fascistizzante, e sul «meno stato più mercato» nonché «la crisi fiscale dello stato sociale» si divagava anche sulle nostre pagine, mentre l’Unione europea si avviava con una liberalizzazione dopo l’altra?

E come si poteva non chiedersi, alla luce di questo esito, perché il gigantesco tentativo del 1917 era finito così? L’errore era cominciato quando, perché, dove? Stava in Stalin, in Lenin, in Marx? Cioè nella ipotesi stessa che fosse possibile una società libera non sovradeterminata dalla proprietà e dal mercato? Eppure, dopo la prima rivista del manifesto, i primi anni del giornale e i convegni del 1978 e del 1981, non ce lo chiedemmo più.

Possiamo darci tutte le giustificazioni, per prima la difficoltà a sopravvivere come testata, ma era una resa non confessata all’egemonia della destra, del neoliberismo, dunque dei neocon negli Usa, e della Commissione in Europa. Malamente nascosta dall’esorcismo: sono problemi del novecento, oggi sono superati dalle nuove realtà e dalle soggettività delle nuove generazioni. Come se le une e le altre ne avessero risolta almeno una. Come se oggi il presidente degli Usa, Barack Obama, non vedesse dimezzata dalle lobbies e dai poteri sistemici che pesano sul suo stesso partito, la sua riforma sanitaria, non fosse inchiodato in Medioriente e riuscisse a eliminare una sola delle pratiche che hanno dato origine alla crisi finanziaria del 2008.

La sinistra è a pezzi e noi non stiamo meglio. Né come finanze, né come peso nell’opinione, né fra di noi. «Isoletta socialista», senza padroni, non ci troviamo di fronte a qualcosa che avevamo già intravisto nei socialismi reali: produttività scarsa, demotivazione, fine di un progetto comune, ciascuno per sé, insofferenza verso gli altri?

Quando ho lasciato la redazione nel 1993, battuta dall’assemblea la proposta di applicare una piccola dose di Marx anche a noi stessi, ho sperato che le cose ci avrebbero fatto crescere, che occorreva calma e pazienza. Il 10 novembre mi sono finite tutte e due. Datevi una mossa.

* gli ALTRI, 16.11.2009


Rossanda, sul comunismo avete sbagliato anche voi

di Piero Sansonetti *

Come molte altre persone di sinistra della mia generazione - cioè di quella che ha iniziato a fare politica nel 1968 - ho per Rossana Rossanda una stima che sconfina nella venerazione. Quindi mi è molto difficile polemizzare con lei, sono intimidito e affetto da complesso di inferiorità. Però questo articolo che Rossanda ha scritto per il Manifesto subito dopo l’anniversario della caduta del muro di Berlino (articolo molto polemico con il suo giornale e con tutta la sinistra; articolo intitolato: "il mio dissenso") mi ha messo di fronte al"mio" dissenso da Rossana Rossanda e questa volta voglio esprimerlo. Anche perché non è solo un dissenso, e un disagio, verso il pensiero politico di Rossanda; ma è una cosa più ampia, che riguarda quasi tutti i padri nobili della sinistra italiana, cioè i miei maestri - da Ingrao, a Tronti e tanti altri - e una certa loro "pigrizia" - se posso usare questa parola un po’ aspra - che da tanto tempo vorrei rimproveragli ma no oso. Stavolta oso.

Riassumo tre dei concetti espressi da Rossanda nell’articolo che pubblichiamo qui sopra. Il primo è una affermazione presa a prestito da Hannah Arendt: finiremo con il ritrovarci in una società americanizzata, cioè in una condizione di libertà politica e schiavitù sociale. Il secondo è una domanda: dove è cominciato l’errore - si chiede Rossanda - con Stalin, con Lenin, con Marx? Il terzo è l’analisi dell’errore. Che in sostanza - schematizzo - consiste nel non aver saputo difendere lo Stato dal mercato, il lavoro dal capitale, e perciò essere rimasti senza un pensiero e una pratica anti-capitalistici.

Perché dissento? Provo a dirlo molto schematicamente. Io semplicemente credo che l’errore che ha fatto fallire la rivoluzione d’ottobre, e ha cancellato il comunismo, è un errore che sta nella rivoluzione d’ottobre e nel comunismo. E sta nel terzo concetto espresso da Rossanda: non penso che il problema della sinistra sia stata la sua incapacità di costruire una fortezza di idee anticapitaliste, credo che sia stato l’opposto: pensare che l’anticapitalismo fosse tutto - fosse esauriente - e che il sapersi battere eroicamente sulla trincea dove si scontrano capitale e lavoro salariato fosse risolutivo. Penso che nessuna delle due cose sia vera oggi, e penso - soprattutto - che non fosse vera nemmeno all’inizio del cammino. Il capitalismo è un aspetto, una fase, un versante della storia della sopraffazione: non è possibile separarlo da tutto il resto, consideralo l’unica fonte della sopraffazione e contentarsi di questo.

Se per caso ho ragione, vuol dire che l’errore non era marginale: era proprio uno sbaglio nelle fondamenta, nel presupposto. Così grande da andare anche molto oltre la nostra area. Perché penso che sia sbagliata anche la convinzione di Hannah Arendt. Non è vero che l’americanizzazione vuol dire schiavitù sociale e libertà politica. La libertà politica, da molto anni, è in fase di continuo ridimensionamento. In tutto l’occidente e in particolare negli Stati Uniti. La libertà politica oggi è poca cosa rispetto a quella degli anni sessanta, e così la libertà individuale, di pensiero, la libertà sessuale, la libertà sociale.

Come non era vero che si poteva costruire un mondo giusto sul piano sociale ma illiberale - l’illusione del comunismo - non era vero neppure il contrario: non si poteva realizzare una grande libertà fondandola sulla schiavitù economica. È un errore di giudizio che non ci riguarda? Ci riguarda eccome, è fondamentale. Io credo che aver pensato che i due campi - destra e sinistra, capitalismo e comunismo - si potessero dividere sui due Gradi Valori (uno per la libertà l’altro per l’uguaglianza) sia stato uno sbaglio. Non credo che sia possibile nemmeno pensare una lotta per l’uguaglianza che non parta dai grandi temi della libertà, e dunque della liberazione da sopraffazioni che - nella maggior parte dei casi - non dipendono solo dal sistema economico e dallo sfruttamento capitalistico.

E allora? Niente, non so andare avanti. Dico solo a Rossanda, a Ingrao, a Tronti, e tantissimi altri, che se continuano a restare prigionieri dell’idea che il problema della sinistra sia solo quello di rafforzare il suo radicamento nella classe operaia, è un guaio. Non perché il mondo sia cambiato (non solo perché il mondo è cambiato) ma perché neppure 50 o 90 anni fa le cose stavano così. Il leninismo è stata una rovina per la sinistra. E non credo che ce ne siamo liberati.

E allora, l’unica cosa che posso dire è che bisogna porsi di fronte a nuovi "pezzi" di pensiero politico - per esempio il femminismo, per esempio l’ambientalismo, per esempio il pensiero della nonviolenza - non come qualcosa da accogliere e sottomettere al proprio pensiero e alle proprie abitudini, ma come qualcosa che cambia noi stessi, come qualcosa non da annettere ma a cui sottomettersi.

Non mi pare, Rossanda, che nessuno di voi sia disposto a questo. Mi sbaglio? E credo che da quella data che tu indichi nel tuo articolo (1978-1981) voi - che avevate guidato grandi rotture culturali nella sinistra, fino a quel momento - non siate più riusciti a produrre molto di nuovo, in termini di pensiero.

E siccome tutta la generazione più giovane di intellettuali è subalterna al vostro pensiero e al vostro carisma, è l’intera sinistra ad essere rimasta senza capacità di pensare. Forse per questo è moribonda, o forse è morta.

* gli ALTRI, 16.11.2009


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