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AL DI LA’ DELLA "FATTORIA DEGLI ANIMALI"!!! A DANTE ALIGHIERI E A FERDINAND DE SAUSSURE, A GLORIA ETERNA.....

LA LIBERTA’, LA "PAROLA" E LA "LINGUA" DELL’ITALIA, E IL COLPO DI STATO STRISCIANTE DEL PARTITO "FORZA ITALIA". Alcune note di Federico La Sala

sabato 28 giugno 2008 di Maria Paola Falchinelli
[,,,] Oggi, più che mai, contro coloro che "vogliono costruire una democrazia populista per sostituire il consenso del popolo sovrano a un semplice applauso al sovrano del popolo"(don Giuseppe Dossetti, 1995), non è affatto male ricordarci e ricordare che i nostri padri e le nostre madri hanno privato la monarchia, il fascismo e la guerra del loro consenso e della loro forza, si sono ripresi la loro sovranità, e ci hanno dato non solo la vita e una sana e robusta Costituzione, ma anche la (...)

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> LA LIBERTA’, LA "PAROLA" E LA "LINGUA" DELL’ITALIA --- Se, parafrasando Leopardi, si mutassero i detti e si cominciasse a chiamare le cose coi nomi (di Annamaria Rivera - Per un buon uso delle parole)

sabato 24 aprile 2010

Per un buon uso delle parole

di Annamaria Rivera (Missione Oggi, n. 4, aprile 2010)

Se, parafrasando Leopardi, si mutassero i detti e si cominciasse a chiamare le cose coi nomi loro, forse si potrebbe contrastare con più efficacia il razzismo dilagante. V’è però che il cattivo linguaggio oppure "solo" tendenzioso è parte del problema. I lessici deformanti, le retoriche e le rappresentazioni negative degli altri o la propensione a mascherare "il male" dietro gli eufemismi sono, infatti, al tempo stesso una delle cause e uno degli effetti di quel sistema complesso e multidimensionale che chiamiamo razzismo: un sistema, spesso subdolo, di disuguaglianze giuridiche, economiche e sociali, di solito caratterizzato da forti scarti di potere fra i gruppi sociali coinvolti.

Dunque, per contrastare il razzismo è utile, benché non sufficiente, decostruire e smascherare le parole e le retoriche di cui esso si serve o che inventa, avalla o afferma come se fossero verità indiscutibili.

PER UN’ECOLOGIA DELLE PAROLE

Come scriveva Etienne Balibar nel lontano 19882, la distruzione del sistema-razzismo presuppone tanto la rivolta delle sue vittime quanto la trasformazione dei razzisti stessi, "e di conseguenza la decomposizione interna della comunità istituita dal razzismo". Anche se da sola è insufficiente, l’opera di "ecologia delle parole" rappresenta uno dei mezzi, se non per decomporla, almeno per intaccare la compattezza della comunità razzista, e per provare così a metterla in crisi.

Per non rimanere nell’astrazione, conviene fare riferimento alla situazione specifica del nostro paese, caratterizzata, a mio parere, da un razzismo istituzionale tanto estremo e incalzante da alimentare, per il tramite decisivo dei mezzi di comunicazione di massa, forme diffuse di xenofobia popolare. Corollario e nel contempo agente di questo processo è il progressivo scadimento del linguaggio pubblico, che ormai sembra sottratto a ogni freno inibitorio.

Ciò che fino a un ventennio addietro era considerato pubblicamente indicibile oggi è del tutto ammesso. Per meglio dire, la caduta dell’interdetto fa sì che neppure ci si interroghi sulla sua dicibilità: pochi si scandalizzano se qualcuno, per fare un esempio fra i tanti, osa affermare in pubblico che i topi "sono più facili da debellare degli zingari, perché sono più piccoli".

QUANDO SI DICE "BUONISMO" "CPT" E "SICUREZZA"

Ma non v’è solo il consueto fraseggio leghista denigratorio e grossolano, né solo il lessico usuale del disprezzo (assunto perfino dal linguaggio normativo e burocratico) che, come fosse del tutto ovvio, nomina i/le migranti con appellativi stigmatizzanti, inferiorizzanti e de-umanizzanti: "clandestini", "extracomunitari", "badanti", "vu cumprà" o addirittura "vu lavà". V’è anche un gergo del senso comune razzista in apparenza innocente, che usa vocaboli connotati ideologicamente come fossero neutri. Si pensi al neologismo buonismo (e buonista), con il quale si è soliti bollare le politiche inclusive ed egualitarie e i discorsi solidali e umanitari nei confronti dei migranti e delle minoranze.

È un termine che appartiene alla stessa famiglia semantica di pietista, a suo tempo usato come un’accusa contro quegli italiani che, dopo l’approvazione delle leggi antiebraiche, cercarono di difendere, proteggere, aiutare i loro concittadini ebrei.

Quando poi si tratta di mascherare la gravità di misure contro i migranti, si abbonda in eufemismi ingannevoli: per tutti si può citare l’ormai sorpassato ossimoro verecondo "Centri di permanenza temporanea", al quale coloro che non conoscono pudore né interdetti, o che amano sfidarli, hanno di recente preferito il ben più esplicito "Centri di identificazione e di espulsione" (che fra breve potrebbero decidere di sostituire col più sbrigativo lager). E si consideri il ricorso sempre più frequente, quasi ossessivo, a "sicurezza", anch’esso usato a minimizzare la portata di norme emergenziali, anticostituzionali o apertamente razziste come il recente "pacchetto-sicurezza".

"POGROM" E "RAZZISMO": ESAGERAZIONI VERBALI?

Per contro, nominare il male, questo sì è considerato scandaloso: coloro che non temono gli interdetti e che abitualmente ripropongono dicerie, pregiudizi, lessici denigratori richiamano al rigore e alla correttezza verbale chi osa nominare col loro nome le cose del razzismo.

Per esempio, v’è, anche fra i colti, chi obietta che razzismo e pogrom non sono altro che esagerazioni verbali di tipo isterico: che pogrom è quello che non ha come esito il massacro e che razzismo è quello che non contempla esplicite gerarchie razziali, apartheid e soluzione finale? E poi si sa, affermano di solito costoro, a evocare certi fantasmi si rischia di dar loro corpo. "Calunniare come oscurantista chi si ribella contro l’oscurità"’ è una delle strategie retoriche per occultare il male, con ciò perpetuandolo.

Si dirà che queste considerazioni sono secondarie rispetto alla realtà corposa della discriminazione e del razzismo. Eppure è su una montagna fatta anche di cattive parole e di pessime retoriche che si è sedimentato - e riprodotto e legittimato - il razzismo quale oggi si manifesta in Italia.

Non comprenderemmo pogrom come quelli di Ponticelli (con la cacciata dell’intera popolazione rom della zona a sassaiole e insulti) e di Rosarno (con messa in fuga o la deportazione, decisa dalle istituzioni, di tutti i braccianti africani) se non dessimo importanza anche alle parole che li hanno resi possibili: le dicerie - la leggenda della zingara rapitrice che ha scatenato la furia popolare a Ponticelli - e gli insulti razzisti - "questi sono bestie", si è sentito dire a Rosarno da comuni cittadini - non sono secondari poiché fanno parte del meccanismo che dà avvio al pogrom.

Per inceppare e disarticolare la meccanica razzista è d’obbligo cominciare a chiamare le cose coi loro nomi. Per fermarla è necessario che i discriminati, inferiorizzati, perfino deumanizzati si facciano artefici collettivi della propria liberazione e quindi della dissoluzione della comunità razzista.


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