Razzismo, dal manifesto alle impronte rom
di Furio Colombo *
Abbiamo letto e riletto tante volte, in questi decenni resi liberi dalla distruzione del fascismo e razzismo, dal sangue dei partigiani, dalle rivisitazioni angosciate del Giorno della Memoria, il «Manifesto della razza», firmato da una decina di personaggi sconosciuti (tra essi due zoologi) detti, a quel tempo «scienziati», ma anche da un illustre clinico (Nicola Pende) che ha poi compiuto il meglio della sua carriera e ricevuto gli onori più alti nell’Italia libera, troppo presto smemorata dopo l’orrore del fascismo.
Ad ogni lettura ognuno di noi ha provato un senso di repulsione e di ridicolo, di delittuoso e di assurdo, di estrema ignobiltà ma anche di pauroso vuoto di cultura (parlo di cultura comune, generale) e di rispetto per se stessi. Immaginate quegli «scienziati» nell’atto di firmare. E intravedete un abisso di viltà così profondo da sfidare e disorientare l’immaginazione. Chi può disprezzare a tal punto se stesso? è la domanda triste e inevitabile. Quello che non ci saremmo mai aspettati, neppure il più pessimista o il più scettico di noi, sul mistero e le fenditure della natura umana, era di rileggere il «Manifesto della razza» (allora opportunamente ripubblicato sulla rivista «Difesa della razza» di Telesio Interlandi e Giorgio Almirante) come un documento dei nostri giorni, del nostro tempo. Per esempio, rileggete questa frase del «Manifesto», e immaginatela scritta o pronunciata in un ideale sequenza documentaria di ciò che è davvero accaduto nell’aula di Montecitorio alle ore 13 di mercoledì 16 luglio: «È tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti». Quel giorno, a quell’ora, i deputati di Berlusconi stavano tributando uno scroscio di applausi a se stessi per avere approvato la legge che autorizza a prelevare le impronte digitali ai bambini Rom, sia italiani sia ospiti dell’Italia, esattamente come quella stessa Camera nel 1938, aveva calorosamente applaudito l’approvazione dell’altro «pacchetto sicurezza», quello delle «leggi per la difesa della razza» redatte da Mussolini.
Il fatto che l’aberrante discriminazione di oggi contro i bambini Rom sia stata voluta da un uomo storicamente irrilevante, non toglie nulla all’umiliazione imposta a quei bambini. Mentre alla Camera, nel nuovo e identico tuono di applausi, il ministro Carfagna e il deputato Bocchino cercavano, una contro l’altro, di farsi vedere abbracciati al ministro Maroni (che da oggi, nonostante la ben nota modestia umana e politica, dovrà essere ricordato per la sua nuova legge che riporta l’Italia al prima della Resistenza), ho immaginato lo scorrere del testo che ha sfregiato l’Italia: «È tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti. Tutta l’opera che finora ha fatto il regime in Italia è fondata sul razzismo. Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del capo il richiamo ai concetti di razza». Se il capo a cui adesso si fa riferimento è Bossi (con Borghezio, come scorta) le parole del «Manifesto» sull’immagine di Maroni che mostra il pollice in alto nel gesto americano della vittoria, sono il commento perfetto.
Non dobbiamo più domandarci: «Ma che gente era, quella che ha approvato e sostenuto il «pacchetto sicurezza del 1938?». Basta osservare, con immensa tristezza, i deputati di Berlusconi che applaudono se stessi per avere approvato il loro «pacchetto sicurezza». Quello che proclama la pericolosa estraneità della razza Rom, e schiera i soldati a difesa della razza italiana.
* l’Unità, Pubblicato il: 19.07.08, Modificato il: 19.07.08 alle ore 10.23