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Antropologia e Costituzione. Quale missione per gli architetti?

ARCHITETTURA E DEMOCRAZIA. A margine del Congresso mondiale e della Biennale di Venezia, un intervento-appello di Franco La Cecla - a cura di Federico La Sala

mercoledì 2 luglio 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] Non si tratta di fare il processo agli architetti, si tratta però di farli finalmente parlare dello specifico del loro lavoro di cui devono rispondere ai cittadini. Oggi non esiste da nessuna parte un lavoro sulla fortuna di certe opere architettoniche. Gli architetti si sbarazzano dell’opera alla consegna, e non ne sono più responsabili, mentre è allora che l’opera entra nella sua funzione pubblica. Cosa sono le case, le università, gli edifici pubblici, i musei di Gregotti, Purini, (...)

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> ARCHITETTURA E DEMOCRAZIA. --- BLU, BOLOGNA, E IL DIRITTO ALLA CITTA’. Indisponibili alla mercificazione (di Francesco Biagi)..

venerdì 18 marzo 2016


Indisponibili alla mercificazione

di Francesco Biagi (Comune-info, 16 marzo 2016)

      • «’sta città di chi pensi che sia?
        -  ‘sta città di chi pensi che sia? chi credete davvero di essere voi?
        -  chi credete davvero di essere voi?
        -  che prendete cinquecento volte più di noi»
        -  (“Denaro gratis” - Assalti Frontali)

In questi giorni sono oggetto di dibattito pubblico l’atto politico della cancellazione dei murali di Blu, da parte dell’autore e di altri compagni dei centri sociali che ospitavano queste opere. Non voglio ripetere elementi della vicenda che già molti lettori e lettrici di Comune conoscono, su eddynburg infatti sono stati raccolti diversi articoli che riflettono su questo. Dai Wu Ming inoltre abbiamo appreso la trama di potere e il desiderio di profitto dietro a questo tentativo di esporre i murali in un museo. Ciò che vorrei fare è riflettere sull’idea di città che Blu ci vuole comunicare con questa netta scelta politica.
-  Dietro alla cancellazione delle sue opere c’è una precisa idea di città, di spazio urbano e di come quest’ultimo debba essere riprodotto. Di fatto, Blu cancella parte di se stesso per rimanere coerente ai suoi medesimi ideali. Questa scelta però la compie - in ogni caso - nella dimensione collettiva chiedendo ai compagni e alle compagne dei centri sociali XM24 e Crash di aiutarlo nell’azione. La farsa del potere però non si ferma, e denuncia chi ha aiutato Blu nella cancellazione.

Non è buffo sapere che chi amministra una città come Bologna punisce a suo piacimento chi dipinge i murali o chi li cancella. Entra in gioco la dinamica del potere per cui sovrano è colui che decide dello stato di eccezione e a suo piacimento permette o non permette un’azione. Blu, infatti, ha fiutato l’odore putrido del dispositivo governamentale che ora voleva fagocitare le sue opere in un museo a pagamento. Blu ha compreso - per utilizzare il lessico gramsciano - la rivoluzione passiva a cui venivano sottoposte le sue opere e per questo le ha distrutte! Blu e le sue opere sono indisponibili alla mercificazione dello spazio e della cultura, sono indisponibili - fino all’estremo di preferirne la distruzione - a chi vuole speculare e fare profitto sui suoi colori.

Con la cancellazione delle sue opere Blu compie un atto “polemico” - per dirla con Jacques Rancière - rendendo visibile il disaccordo che si istituisce di fronte a un “torto”. Il torto radicale, inaccettabile è la mercificazione di ciò che è stato fatto per tutti e in nome di tutti, per la cittadinanza e affinché essa ne usufruisse liberamente e gratuitamente. L’opera di Blu quindi si configura come uno spazio polemico e di conflitto, è uno spazio di disputa permanente sul quale l’artista pone un “no” radicale a qualsiasi iniziativa del neoliberismo.

L’atto compiuto da Blu non è molto diverso da chi occupa una casa sfitta o uno spazio di un’immobile vuoto di proprietà pubblica o privata per farlo rinascere, per restituirlo alla sua funzione sociale. Attraverso l’atto di Blu siamo in piedi, con la schiena ritta, di fronte ad un neoliberismo che starà anche vincendo, ma che non può ridurre tutto a merce. Riuscirà a mercificare tanto, tantissimo, anzi quasi tutto, ma non tutto. Con Blu impediamo il compiersi in pienezza di questi processi mercificatori, ponendo un confine invalicabile: questa parte di città non è in vendita.
-  L’intellettuale francese Henri Lefebvre avrebbe detto che Blu ha praticato un atto radicale di quella pratica urbana che ha definito come il “diritto alla città”. L’autore francese con questo concetto ha voluto pensare le differenti possibilità di lottare e intraprendere una battaglia politica per il diritto a cambiare e reinventare lo spazio urbano in modo più conforme ai desideri e ai bisogni sociali, in modo particolare dei più deboli e oppressi. Questa categoria interpretativa delle controcondotte che tentano di frenare la rapacità del modello imposto dalla città neoliberale, si delinea come un esercizio comune che una collettività deve intraprendere per rivendicare uno spazio emancipatorio nei processi di urbanizzazione del territorio.

Al giorno d’oggi - nel pieno della crisi finanziaria - cittadini, gruppi sociali e movimenti ritrovano identità e senso per il loro agire politico in questo termine, e Blu ci indica una via di ribellione percorribile nel rapporto fra “città”, “decoro” e “gentrificazione”. La città è tale non solo per una conformazione geografica o urbanistica, ma per la costruzione comune tessuta dagli abitanti. Il diritto alla città diviene quindi la chiave di volta per frenare i processi di spoliazione, ma anche per ritessere e reimmaginare la città che vorremmo. Il diritto alla città è quell’ideale che riconnette i desideri e i bisogni sociali alla loro concreta praticabilità. Se questo non è permesso - ci dice Blu - allora non userete nemmeno le mie opere per i vostri abusi.

Per Henri Lefebvre la città è come una metafora, o meglio, quasi una sineddoche del concetto di “società” infatti viene definita come una “proiezione della società sul territorio”. La città è la società nella sua declinazione spaziale, è nella forma della città che la società si costituisce tale, e nella produzione dello spazio urbano consente a se stessa un’organizzazione compiuta. Indagando lo spazio dell’organizzazione e del governo degli uomini vedremo emergere le differenze di classe, è la dimensione spaziale il luogo dove più che mai l’economia capitalista modella quotidianamente il sociale.

Nei due volumi dedicati a La produzione dello spazio Lefebvre descrive l’evoluzione che le città oggi vivono attraverso il prisma della dimensione spaziale. L’urbano sta subendo sempre più una forma di “rappresentazione dello spazio”, ovvero attraverso questo concetto l’autore intende evidenziare come lo spazio urbano prodotto dagli architetti, dai pianificatori e dagli urbanisti sia intrinsecamente pensato secondo i rapporti di produzione determinati e imposti dal mercato. Le opere di Blu ad esempio spezzavano radicalmente queste logiche. Lefebvre infatti distingue il concetto di “rappresentazione dello spazio” (dove intravvediamo la morte di un progetto unitario per la pianificazione urbanistica) da quello di “spazio di rappresentazione” (intendendo con il secondo termine lo spazio invece creato dalle istanze e dai bisogni della cittadinanza tutta, in particolar modo dai gruppi meno abbienti). Il filosofo francese quindi alla critica dei processi di asservimento della città all’economia capitalista distingue sempre alcune possibilità di sottrarre lo spazio pubblico alle logiche neoliberali, dove la cittadinanza rende visibile e promuove le proprie istanze valoriali all’interno di momenti di partecipazione collettiva. Blu era questo per la città, pena il suo non-senso.

I due concetti - per Lefebvre - vivono una situazione di conflittualità permanente e latente. Lo spazio urbano viene così sottoposto a processi di mercificazione come “urbanistica dei promotori di vendita”, in cui prevalgono le logiche di mercato, trasformando le città in un prodotto attraente e desiderabile per i capitali e per i grossi gruppi finanziari. All’interno di questo processo il valore di scambio dello spazio si impone in modo autoritario sul valore d’uso della cittadinanza, la quale è radicalmente esclusa da ogni processo decisionale. La valorizzazione speculativa di molti spazi abbandonati o chiusi a causa della crisi economica assume proprio questa matrice: non i bisogni dei cittadini, nessuna progettazione urbanistica partecipata, ma l’imposizione di luoghi che permettono profitto economico a prescindere dalla loro utilità e sensatezza.

Blu dice che la sua arte non è un oggetto buono per tutte le stagioni, buono per l’esposizione estetica fine a se stessa. La sua opera ha senso profondo solo sui muri esposti alla pioggia e alle intemperie, al sole quando c’è, e agli occhi di chi - soprattutto - si è visto sottrarre pezzi di cittadinanza, di città e dignità nello spazio urbano in cui vive.


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