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Antropologia e Costituzione. Quale missione per gli architetti?

ARCHITETTURA E DEMOCRAZIA. A margine del Congresso mondiale e della Biennale di Venezia, un intervento-appello di Franco La Cecla - a cura di Federico La Sala

mercoledì 2 luglio 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] Non si tratta di fare il processo agli architetti, si tratta però di farli finalmente parlare dello specifico del loro lavoro di cui devono rispondere ai cittadini. Oggi non esiste da nessuna parte un lavoro sulla fortuna di certe opere architettoniche. Gli architetti si sbarazzano dell’opera alla consegna, e non ne sono più responsabili, mentre è allora che l’opera entra nella sua funzione pubblica. Cosa sono le case, le università, gli edifici pubblici, i musei di Gregotti, Purini, (...)

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> ARCHITETTURA E DEMOCRAZIA. ---- Sanguineti, ovvero l’arte di criticare la realtà. «Destrutturava la forma, ma per cambiare la società» (di Vittorio Gregotti).

venerdì 3 dicembre 2010

Sanguineti, ovvero l’arte di criticare la realtà

«Destrutturava la forma, ma per cambiare la società»

di Vittorio Gregotti (Corriere della Sera, 03.12.2010)

L’editore Feltrinelli ha raccolto in un volume dal titolo Cultura e realtà (pp. 347, 28) una serie di brevi scritti di Edoardo Sanguineti, che vanno dai temi della letteratura e della politica a quelli delle arti visive, del teatro e della musica. Niente di esauriente certamente per quanto riguarda i saggi di questa personalità centrale della cultura italiana dell’ultimo mezzo secolo ma certo un primo doveroso omaggio a pochi mesi dalla sua scomparsa. All’amicizia e alle discussioni con Sanguineti ed ai suoi consigli anch’io devo molto e questa è una prima occasione per riconoscerlo.

All’ultimo breve saggio del volume Cultura e realtà, che ha come titolo «Per una teoria della citazione», vorrei qui dedicare una breve riflessione per ciò che concerne le questioni connesse al progetto di architettura. Lo scritto di Sanguineti muove dalla tesi che «tutto è citazione» nel linguaggio parlato e scritto e discute del problema del significato della citazione anche in rapporto al contesto storico, ed in particolare nei confronti con quello del presente in cui essa si muove. Per quanto riguarda il mondo delle arti nel contemporaneo aggiunge, a proposito dell’uso del citazionismo, «altro che postmoderno, esso è se mai prearcaico» e più avanti afferma: «Se c’è un sistema citazionale forte, esso è quello del moderno... anche perché (il XX) è il secolo del montaggio», un secolo, quello delle avanguardie, che egli definisce più avanti come il secolo dell’assalto alla sintassi. «È tutto questo che, semmai, entra in crisi con la postmodernità», cioè con la cessazione della capacità autenticamente contestativa ed insieme anarchica della citazione come materiale volutamente estraneo alla sintassi dell’opera, in funzione di un utilizzo efficace della ragione critica intorno allo stato delle cose. La questione del montaggio in quanto citazione-collage è stata, come è noto, oggetto di appassionata discussione tra Benjamin e Adorno negli anni Trenta intorno alla perdita dell’aura ed al senso di autonoma completezza dell’opera, a partire soprattutto «dal principio costruttivistico», come scriveva Peter Bürger, come principio sintattico.

La questione è centrale anche per offrire un giudizio sullo stato di crisi della cultura architettonica dei nostri anni (non a caso coincidente con la sua estesa popolarità mercantile), anche perché in essa risulta palese come la citazione non sia oggi in nessun modo «un assalto alla sintassi» ma, con un ribaltamento del suo significato, funzionale al passaggio per la pratica artistica dell’architettura dalla costituzione di una distanza critica nei confronti della struttura della realtà (e quindi di un giudizio capace di aprire ad essa possibilità altre) al rispecchiamento conveniente dello stato delle cose come il migliore dei mondi possibili.

Ma poiché alla dialettica con la realtà sembra impossibile sottrarsi interamente, tale dialettica viene resa innocua spostandola sulla ricerca di una rottura estetica incessante dell’immagine delle cose come prodotti, soprattutto guardando alla necessità di differenziazione in funzione del loro mercato. Né è un caso che «la citazione», per quanto riguarda l’architettura sia passata da un primo momento che guardava al «revival» stilistico della storia del passato di quest’arte come materiale linguistico (contro la modernità dell’eredità delle avanguardie) ad un altro periodo di «citazione» delle figurazioni della stessa modernità, archiviate anch’esse come storia, e quindi in grado di offrire un panorama linguistico che poteva essere svuotato di senso, tanto da divenire materiale calligrafico preminente di una nuova sintassi della provvisorietà.

Sembra che proprio l’idea di provvisorietà sia diventata l’ultimo rifugio del dubbio sulle ingiustizie e le contraddizioni del nostro mondo, e soprattutto delle sue incertezze di senso (o false certezze) in quanto unici valori rappresentabili del capitalismo finanziario mondializzato.

Si tratta di un giudizio, quest’ultimo, che si riconnette al primo dei saggi (datato 2006 e scritto in occasione del compleanno di Pietro Ingrao) con cui si apre questa raccolta degli scritti di Sanguineti, un saggio dal significativo titolo «Come si diventa materialisti storici » . Anche se è proprio la poetica radicalità di quest’ultimo scritto, anche per quanto riguarda l’architettura, a proporsi come messaggio per i nostri anni.


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