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IDENTITA’ E DIFFERENZA. UmaNITA’...

LA PAROLA E LA LINGUA. LA GRANDE LEZIONE DI FERDINAND DE SAUSSURE: IL "CORSO DI LINGUISTICA GENERALE". Per una rilettura, un breve testo (1975) del prof. Federico La Sala

lunedì 7 luglio 2008 di Maria Paola Falchinelli
Saussure: il dialogo, in principio.
DUE PERSONE CHE DISCORRONO...
Il punto fermissimo della ricerca saussuriana *
di Federico La Sala *
La produzione dell’individuo isolato al di fuori della società è una rarità che può capitare ad un uomo civile sbattuto per caso in una contrada selvaggia, il quale già possiede in sé potenzialmente le capacità sociali - è un tale assurdo quanto lo è lo sviluppo di una lingua senza individui che vivano insieme e parlino tra loro.
(K. Marx, Introduzione del (...)

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> LA PAROLA E LA LINGUA. --- “È con l’immaginazione che siamo diventati invincibili”. La storia non scritta dei Sapiens. In tevista a Ian Tattersall (di Gabriele Beccaria)

venerdì 23 novembre 2012

“È con l’immaginazione che siamo diventati invincibili”

La storia non scritta dei Sapiens, quando il mondo era popolato da molti “parenti”

      • Mente simbolica Da Lascaux ad Altamira le pitture parietali segnano l’ingresso dei Sapiens nel mondo dell’arte
      • Siamo tipi chiacchieroni. Parliamo di tutto e le banalità non ci fanno paura. Se fosse questo il motivo del successo della nostra specie?

di Gabriele Beccaria (La Stampa TuttoScienze, 21.11.2012)

Ian Tattersall è uno dei maggiori antropologi e il suo ultimo libro - «Masters of the Planet» - prova a spiegare il nostro trionfo di Homo Sapiens che equivale anche alla nostra solitudine. Abbiamo convissuto con altre quattro specie di ominidi, ma un po’ alla volta sono sparite. Gli ultimi sono stati i Neanderthal, spazzati via all’incirca 25 mila anni fa. Da allora la Terra è soltanto per noi e ne abbiamo approfittato anche troppo.

Chiacchieroni e soprattutto fantasiosi, dotati di un’immaginazione contagiosa, nel bene e nel male. Alla chiusura del Festival della Scienza di Genova, lo scorso 4 novembre, Tattersall ha raccontato le luci e le ombre di un patchwork di attitudini che hanno permesso la vittoria totale.

Professore, siamo stati più intelligenti o anche più cat­tivi? La violenza della nostra specie, in fondo, ci caratte­ rizza almeno quanto le no­ stre capacità intellettuali.

«E’ una domanda che sorge naturale. Sappiamo che agli albori della nostra storia di Sapiens c’erano ominidi diversi da noi in giro per il mondo. Poi, d’improvviso, quando acquisiamo le capacità simboliche moderne, le altre specie scompaiono. Credo che sia dovuto al fatto che possedere la capacità di costruire nella propria testa nozioni alternative del mondo, invece di limitarsi alla reazione alle situazioni, e immaginando così realtà differenti, permetta di pianificare molti tipi di comportamenti. Nessun altro ominide era stato capace di fare una cosa simile prima di noi. E’ questa abilità - tanto che si sia espressa con conflitti aperti quanto con forme di competizione economica - che ci ha permesso di conquistare rapidamente il mondo. Se poi si osserva il modo in cui ci comportiamo oggi, è molto improbabile che la conquista non abbia richiesto anche una certa dose di violenza, ma prove evidenti non ne abbiamo».

La nostra specie è vecchia di «sappena» 200 mila anni e tuttavia questa metamorfosi intellettuale si è verificata molto più tardi: perché?

«E’ successo in un periodo tra 100 e 60 mila anni fa. E’ significativo che la struttura fisica e la capacità della mente di manipolare l’informazione così come la conosciamo oggi sono apparse in coincidenza con la riorganizzazione dell’intero organismo che si verificò all’origine della nostra specie di Sapiens. Ma questo vasto potenziale era tutto da scoprire prima della sua effettiva utilizzazione. È un processo per alcuni aspetti analogo a quello degli antenati degli uccelli, che svilupparono le piume milioni di anni prima che si manifestasse l’attitudine al volo».

Che rapporto c’è tra questo impressionante salto evoluti­ vo e le migrazioni dei Sapiens fuori dall’Africa verso il Me­ dio Oriente e l’Europa?

«Devono aver lasciato l’Africa piuttosto presto, intorno a 100 mila anni fa. E le testimonianze archeologiche nel Levante dimostrano che erano ancora “pre-cognitivi”, vale a dire simili ai Neanderthal che vivevano in quell’area. L’esodo vero e proprio, invece, avvenne intorno a 60 mila anni fa, quando ormai erano diventati esseri “cognitivamente simbolici”. E fu allora che iniziarono a conquistare il mondo».

Eravamo pronti al viaggio da un continente all’altro perché il cervello era profondamen­ te cambiato?

«E’ così. Certo, non fu un viaggio intenzionale, semmai un’avventura opportunistica, probabilmente dettata da motivi demografici. Nel corso di questo processo - come dicevo - il pianeta era già popolato da altri tipi umani, altri “parenti”, ed è probabile che siano stati soppiantati in seguito al modo in cui i Sapiens avevano imparato a pensare e immaginare».

Ci si è molto interrogati sulle cause della nostra «rivoluzio­ ne neuronale»: lei è tra chi pensa che sia stato il linguag­ gio. Può spiegare?

«Penso che sia stato questo lo stimolo più probabile. Ce ne voleva uno di tipo culturale, capace di far capire ai Sapiens le proprie potenzialità ancora inespresse». Il linguaggio, anche tra i co­ siddetti «primitivi», è sofisti­ cato. Come esplose questo «stimolo»?

Si manifestò un pacchetto pronto o fu un’evoluzione sofferta?

«E’ una bella domanda e non ho una risposta certa! Ma sappiamo che il linguaggio può essere spontaneamente inventato: si è visto negli Anni 70 e 80, quando molti bambini sordi nicaraguensi furono riuniti per la prima volta in alcune scuole. Qui svilupparono una lingua dei segni, strutturata in modo simile a quella parlata. Credo, perciò, che il linguaggio sia un prodotto di una proprietà emergente del cervello, disegnato per generarlo: dev’essere rapidamente diventato un oggetto sofisticato e altrettanto velocemente si diversificò».

Ci fu un’unica lingua, fram­mentata poi in una confusio­ ne babelica?

«E’ difficile spingersi oltre la barriera di 5 mila anni fa. Ma, studiando i fonemi anziché le parole, si è scoperto che più ci si allontana dall’Africa e minore è il loro numero. È proprio ciò che ci si aspetta, se, com’è probabile, il primo linguaggio è nato là, nel continente delle nostre origini».


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