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IN PRINCIPIO ERA IL LOGOS - NON IL "LOGO" !!! "CHARISSIMI, NOLITE OMNI SPIRITUI CREDERE... DEUS CHARITAS EST" (1 Gv., 4. 1-8). «Et nos credidimus Charitati...»!!!!

TEOLOGIA "CATTOLICA", POLITICA, E FILOSOFIA "PAGANA". IL TEOLOGO FRANCESCO BRANCATO CERCA DI "INQUIETARE" I FILOSOFI ITALIANI (Cacciari, Givone, Natoli, Severino, Sgalambro, Vattimo e altri) E DI PORTARLI NELLA RICCA E SFARZOSA CASA DEL "DEUS CARITAS" DI PAPA RATZINGER. Un’intervista di Roberto Righetto - a cura di Federico La Sala

sabato 12 luglio 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] «Ciò che accomuna i diversi filosofi, alcuni dei quali comunque si sono professati o si pro­fessano credenti, è la diffusa consapevo­lezza dell’insupera­bile finitezza dell’uo­mo e del pensiero u­mano. Partendo da qui essi sono giunti, ciascuno seguendo una propria direzio­ne, a guardare all’uo­mo nella sua realtà di essere finito e tutta­via di mistero inson­dabile, realmente presente nel suo mondo e nel suo tempo, ma non per questo schiacciato nel suo ’qui ed ora’. La teologia deve (...)

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> TEOLOGIA "CATTOLICA", POLITICA, E FILOSOFIA "PAGANA". -- "Quant’è vero Dio. Perché non possiamo fare a meno della religione". Setgio Givone riflette sull’insopprimibile ricerca del trascendente

venerdì 22 giugno 2018

La necessità del sacro nell’età del disincanto

I nodi dell’etica e del rapporto tra fede e vita: nel saggio «Quant’è vero Dio» (Solferino) Sergio Givone riflette sull’insopprimibile ricerca del trascendente

di Umberto Curi (Corriere della Sera, 22.06.2018)

«È più vicino a Dio chi fa professione di ateismo, ma tiene ferma la verità, di chi nega la verità in nome di Dio». È questa - in estrema sintesi - la tesi principale che è alla base del libro di Sergio Givone, appena uscito presso la casa editrice Solferino, Quant’è vero Dio. Perché non possiamo fare a meno della religione. Un testo strano e affascinante.
-  Strano per il coraggio, ai limiti della temerarietà, con il quale argomenta la necessità di Dio, in controtendenza rispetto a una fase storica caratterizzata dall’abusiva identificazione del disincanto con l’ateismo.
-  Affascinante per il rigore e la freschezza di un modo di condurre il ragionamento, insensibile alla moda deteriore che vorrebbe imporre l’equazione fra oscurità criptica del discorso e profondità del pensiero. Con un valore aggiunto, tutt’altro che trascurabile, soprattutto in confronto alla sciatteria di tanta saggistica pseudofilosofica: una scrittura sapida e limpida al tempo stesso, evidentemente filtrata dalle non poche felici esperienze narrative dell’autore, al quale si devono alcuni romanzi rivelativi di un sicuro talento (Favola delle cose ultime, 1998; Nel nome di un dio barbaro, 2002; Non c’è più tempo, 2008; tutti editi da Einaudi).

Ma queste pur non pleonastiche annotazioni relative allo «stile» del libro non devono trarre in inganno. Nelle pagine scritte da Givone non vi è alcun indugio meramente «letterario», né alcuna concessione a una variante «debole» dell’interrogazione filosofica, così come è totalmente assente, d’altra parte, ogni concezione «reazionaria» del rapporto fra la permanenza del sacro e l’età della secolarizzazione. Piuttosto, l’autore dimostra - e in maniera particolarmente convincente - che è possibile aver imparato la lezione di Kierkegaard e Nietzsche, essersi misurati con la sfida della morte di Dio, aver attraversato il deserto della trasvalutazione di tutti i valori, non cancellando, ma al contrario recuperando l’ineliminabilità del sacro, inteso come quell’originario «sì», che resiste quale fondamento inconcusso all’offensiva concentrica di agnosticismo, scetticismo e fideismo - di quel «fideismo irreligioso» che poco o nulla ha a che fare con la laicità autentica.

In questo quadro generale (qui inevitabilmente ridotto a uno schema ipersemplificato), si collocano alcune questioni di grande rilievo strettamente filosofico, che Givone affronta per così dire a viso aperto, senza alcuna remora puramente tattica, in maniera perfino imprudente: il rapporto fra legge e giustizia, il confine mobile e reversibile fra bene e male, i limiti della manipolazione tecnica (e biotecnologica) della natura, al di fuori di ogni moralismo ecologistico, il transito apparentemente inesorabile dall’umano al postumano.
-  Come risulta dai titoli stessi dei capitoli che compongono il libro (fra gli altri: «Un pensiero di altri mondi», «Tempo intermedio e Apocalisse», «Potere spirituale e potere temporale»), Givone affronta i nodi teoretici decisivi per una riflessione sul sacro che, come accade in questo testo, risponda all’ambizione esplicitamente dichiarata di non riproporre ipotesi speculative già dissolte dall’irrompere della modernità, preferendo la strada certamente più arrischiata, ma anche incomparabilmente più feconda, della ricerca di un vero e proprio «nuovo inizio».

Impossibile dar conto in termini analitici, come pure sarebbe necessario, del ricco ordito di problemi sapientemente annodato da Givone. Ma almeno alcuni spunti, suggeriti senza alcuna arroganza, ma anche senza alcun preventivo accomodamento diplomatico, meritano di essere citati: l’impossibilità dell’etica, certamente nella versione kantiana, ma anche nella variante utilitaristica, in un orizzonte dal quale Dio sia scomparso, e dunque perda ogni senso l’essere o il non essere al mondo.
-  Un modo di concepire la laicità secondo il quale laico non è chi rivendica la sua indifferenza alla religione, ma proprio al contrario chi prende la religione sul serio, riconoscendo che i contenuti essenziali con cui è chiamato a fare i conti vengono proprio dalla religione. Un approccio ai problemi della vita - della nascita e della fine - affrancato dalle pretese prescrittive della bioetica di stretta osservanza confessionale, immobile nell’astratta rivendicazione della sacralità della vita, e ricondotto piuttosto al più maturo contesto concettuale di una riflessione libera da impacci dottrinari.
-  Pur trattandosi di temi di indubbio rilievo, le questioni ora semplicemente accennate (e altre ancora, qui necessariamente espunte), nel libro di Givone sono riportate all’interrogativo di fondo, richiamato anche dal titolo. Si incontra Dio, in queste pagine, non come ciò che residua dalla devastazione indotta da un pensiero refrattario a ogni idolo, quale è il pensiero contemporaneo, né come conclusione di un freddo e astratto sillogismo, bensì come approdo e insieme come presupposto, senza il quale «dovremmo riconoscere che il nulla ha vinto».

      • L’incontro al «Corriere» con Givone

Sergio Givone sarà a Milano giovedì 28 giugno alle 18 nella sede del «Corriere» (Sala Buzzati, via Balzan 3) per un incontro organizzato dalla Fondazione Corriere della Sera. Con lui, Remo Bodei e Armando Torno (ingresso libero con prenotazione a rsvp@fondazionecorriere.it).


Sil tema, nel sito, si cfr.:

FILOSOFIA E MESSAGGIO EVANGELICO. IN PRINCIPIO ERA LA PAROLA (LOGOS): AMORE ("Charitas"), NON "MAMMONA" ("Caritas")!!!
-  IL MONITO DI PASCAL A SERGIO GIVONE: NON CONFONDERE IL NOME DEL MIO DIO ("charité") CON IL NOME DEL DIO ("caritas") DEI VESCOVI E DI PAPA RATZINGER.

GUARIRE LA NOSTRA TERRA: VERITÀ E RICONCILIAZIONE. Lettera aperta a Israele (già inviata a Karol Wojtyla) sulla necessità di "pensare un altro Abramo"

PER IL "RISCHIARAMENTO" ("AUFKLARUNG") NECESSARIO. ANCORA NON SAPPIAMO DISTINGUERE L’UNO DI PLATONE DALL’UNO DI KANT, E L’IMPERATIVO CATEGORICO DI KANT DALL’IMPERATIVO DI HEIDEGGER E DI EICHMANN !!!

Federico La Sala


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