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"Quando venni dagli uomini, li trovai assisi su di un’alterigia antica" (Nietzsche, Così parlò Zarathustra).

NIETZSCHE, L’UOMO FOLLE. Non abbiamo capito il Crocifisso e pretendiamo di aver capito Dioniso. (Forse è meglio rileggere il "poema celeste" sia di Dante sia di Iqbal). Una nota di Pietro Citati sulle "Lettere da Torino" - a c. di Federico La Sala

sabato 12 luglio 2008 di Maria Paola Falchinelli
Nelle "Lettere da Torino" il suo ultimo tragico autunno
L’abisso di Nietzsche
La stagione della follia
Proclamava di essere il pagliaccio della nuova eternità, si sedeva al pianoforte e cantava a gola spiegata in preda ad una irrefrenabile euforia
Il suo amico Franz Overbeck era corso da Basilea per rintracciarlo e riportarlo a casa
Sembrava un istrione impazzito e inviava proclami firmati Dioniso oppure Crocifisso
di Pietro Citati (la Repubblica, 12.7.08)
Il 21 settembre 1888 Friedrich (...)

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> NIETZSCHE, L’UOMO FOLLE. --- LE ULTIME LETTERE PRIMA DELL’ABISSO (di Gianni Vattimo)..

venerdì 18 novembre 2011


-  FINE DELLA VITA COSCIENTE. In un biglietto a Burckhardt, scritto da Torino il 6 gennaio 1889, si lamenta di essere Dio
-  SOFFERENZA CONTINUA. A causa del tempo atmosferico ma anche del tempo storico nel quale si trovava a vivere

-  Nietzsche, ultime lettere prima dell’abisso
-  Esce da Adelphi il volume conclusivo dell’epistolario

-  di Gianni Vattimo (La Stampa 18.11.11

Una leggenda metropolitana transoceanica racconta che Arnold Schoenberg, incontrando (si dice in un supermercato) Thomas Mann, come lui riparato in America, a Santa Monica, durante la seconda guerra mondiale, gli gridasse furioso: «Ma io non sono sifilitico». Di questa malattia era vittima il protagonista del Doctor Faustus, il romanzo allora pubblicato in cui Mann raccontava la storia della nascita della musica dodecafonica e dunque di Schoenberg. Mann non pensava soltanto a Schoenberg, nel creare il suo romanzo, ma anche a Nietzsche. Che di sifilide era malato davvero, tanto che la pazzia in cui precipitò alla fine, nei giorni drammatici del gennaio 1889, a Torino, fu proprio l’esito fatale di questa infermità.

Ricordiamo queste cose perché l’ultimo volume dell’epistolario nietzschiano, che l’editore Adelphi manda in libreria in questi giorni, raccoglie e traduce per la prima volta integralmente in italiano le lettere del periodo finale della vita cosciente di Nietzsche, culminando con l’ultimo biglietto scritto a Jacob Burckhardt, suo antico collega di Basilea, che manifesta ormai la pazzia conclamata, e in seguito al quale l’altro amico di Basilea, Franz Overbeck, si precipita a Torino per riportarlo in Germania presso la madre. Il biglietto a Burckhardt, datato 6 gennaio 1889, è quello meritatamente famoso in cui egli scrive: «Caro signor professore, alla fin fine avrei preferito essere professore a Basilea piuttosto che essere Dio; ma non ho potuto anteporre il mio comodo privato al compito di creare un mondo».

Già chiaramente pazzo, soprattutto perché questa lettera viene dopo una serie di altre indirizzate ad amici e conoscenti, oltre che a personaggi che non ha mai conosciuto (Carducci, Ruggeri Bonghi), dignitari (il cardinale Mariani) e monarchi (Umberto I re d’Italia), alla casata del Baden, agli illustri polacchi. Firmate «Il Crocifisso», sempre Dio cioè ma stavolta nella sua incarnazione cristiana... Fermarsi a segnalare queste follie è indiscreto e crudele, come sarebbe indiscreto domandarsi lo hanno fatto vari biografi dove e quando Nietzsche si fosse preso la sua malattia, data la sua notoria propensione a una vita quasi monacale fin dai tempi degli studi universitari. Uno dei suoi più vecchi amici, Paul Deussen, che è anche tra i destinatari delle ultime lettere, racconta che negli anni della giovinezza Nietzsche non sembrò mai nutrire interesse sessuale per le donne, tanto che in un libro sul Segreto di Zarathustra, uno studioso ha avanzato anni fa l’ipotesi che il tormento intimo di Nietzsche fosse una mai riconosciuta omosessualità.

La curiosità circa questi aspetti privati della sua vita è legittima e inevitabile per il lettore di queste lettere più ancora che di altri suoi testi: vi si parla infatti di una sofferenza continua che non è solo strettamente fisica ma, noi diremmo, esistenziale. Sembrerebbe che Nietzsche soffra a causa del tempo: atmosferico, anzitutto, perché è sempre alla ricerca di un clima che si confaccia alla sua salute. Ma soffre anche del «tempo» storico in cui si trova a vivere, e in questo la sua vicenda merita davvero di essere raccontata come quella del Doctor Faustus di Mann: è la storia per tanti versi esemplare di un intellettuale che vive profondamente la propria epoca, nella quale (e pensiamo alla sua giovanile Seconda considerazione inattuale, un testo in cui Nietzsche si mostra già ben consapevole dei rischi a cui va incontro la società della incipiente massificazione) sembra trionfare una sorta di rassegnazione alla mediocrità, al sentimentalismo di un cristianesimo imbastardito.

Anche la continua polemica contro Wagner, che era stato un suo idolo giovanile e con cui aveva pensato di produrre una rinascita della cultura tragica, è ispirata alla diffidenza per un’arte, in questo caso l’opera wagneriana, pronta a fornire spettacolo e fantasmagoria (lo dirà più tardi Adorno) per la sensibilità ottusa di una borghesia che è sempre più classe «media» in ogni senso. Già, ma la rivoluzione di cui si sentiva portatore? Nelle lettere ora tradotte ci sono tanti spunti e riferimenti alle opere degli stessi anni, che inizialmente Nietzsche aveva pensato di raccogliere in un unico monumentale Hauptwerk a cui poi rinunciò, e che divennero in seguito Il crepuscolo degli idoli, L’Anticristo e tanti frammenti rimasti inediti dapprima pubblicati arbitrariamente (dagli eredi) come La volontà di potenza e oggi più giustamente raccolti nei volumi dei frammenti postumi curati da Colli e Montinari.

Le firme che ricorrono di più nelle ultime lettere sono quelle di Dioniso e del Crocifisso. La trasvalutazione di tutti i valori che Nietzsche progettava era forse il sogno di una riconciliazione tra la tradizione cristiana e quella preclassica greca. Un sogno da «professore di greco a Basilea». Ma la sua opera, bene o male, ha anche contribuito a «creare un mondo», che non cessa di suscitare sempre nuove interpretazioni.


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