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A FRANZ KAFKA E A PRIMO LEVI. A MEMORIA ETERNA ....

DIE VERWANDLUNG. LA METAMORFOSI. E LA METASTASI DELLA CLASSE POLITICA E INTELLETTUALE ITALIANA - a cura di pfls

UN GIORNO, PER "SOPRAVVIVENZA", UN CITTADINO RUBO’ IL NOME DI TUTTO IL POPOLO ITALIANO, FONDO’ UN PROPRIO PARTITO ... E TUTTI E TUTTE NELLA SUA FARAONICA AZIENDA LAVORARONO FELICI E CONTENTI ("il lavoro rende liberi"), AL GRIDO DI "FORZA ITALIA"!!!
mercoledì 3 settembre 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] La sera dell’8 luglio, nella trasmissione «Primo piano» su Rai 3, la giornalista Bianca Berlinguer ha intervistato Antonio Polito, direttore del «Riformista» e uomo politico, già redattore dell’«Unità», e Piero Sansonetti, direttore di «Liberazione», quotidiano del Partito della liberazione comunista. Tre nomi, le stesse origini e nessuno, apparentemente, di destra. Il tema era quello della cancellazione dei processi e dell’immunità per il presidente del Consiglio. Polito si è (...)

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> DIE VERWANDLUNG. LA METAMORFOSI. ---- Silvia Colasanti: «Kafka, il mio rebus tra le note». «Per “La metamorfosi” ci ho messo 9 mesi». Il tempo di una gravidanza... (di Giuseppina Manin - intervista).

mercoledì 2 maggio 2012

«Kafka, il mio rebus tra le note» Silvia Colasanti: una sfida sonora rappresentare La metamorfosi

di Giuseppina Manin (Corriere della Sera, 01.05.2012)

Risvegliarsi un mattino e ritrovarsi trasformato in un enorme insetto immondo... Il celebre incubo di Kafka, incipit di uno dei racconti più emblematici del 900, metafora della repulsione per il «diverso». Da emarginare, occultare, spazzar via. Come accade al povero Gregor Samsa, protagonista di quella favola nerissima che è «La metamorfosi».

Silvia Colasanti: è anche il titolo della sua opera. Curioso e rischioso averla scelta per il suo esordio al Maggio...

«Amo le sfide. E l’idea di cimentarmi con quel mondo surreale, di tramutarlo a mia volta in qualcos’altro, mi ha subito tentata», confessa la compositrice trentasettenne romana.

Lei è anche il primo autore donna a cui l’Ente lirico fiorentino abbia mai commissionato un’opera...

«Paolo Arcà, il direttore artistico, che conosceva i miei lavori precedenti, mi ha chiesto di pensare a un soggetto in sintonia con il tema di quest’anno, la Mitteleuropa. L’apologo di Kafka, traboccante di tanti spunti così attuali, mi è parso perfetto. Poi ho avuto la fortuna di avere un artista come Pier’Alli a firmare libretto, regia, scene e costumi. Abbiamo lavorato fianco a fianco, in un fitto scambio di idee musicali e teatrali».

Il problema compositivo più arduo?

«Come rappresentare musicalmente il protagonista. Ibrido tra uomo e animale, la sua voce deve comprendere quei due mondi, evocare l’idea di una mostruosità e dar corpo a tante sonorità distorte. Un personaggio multiplo, polifonico».

Come comparirà in scena?

«Gregor avrà diverse incarnazioni, fisiche e sonore. Archi, fiati e percussioni, gli strumenti impegnati con l’Orchestra e il Coro del Maggio diretti da Marco Angius. A interpretarlo, un attore, un mimo, e soprattutto il coro».

Si vedrà la sua metamorfosi?

«Come nel racconto, anche qui apparirà già trasformato, ma visibile solo alla fine del primo atto... Insetto, ma per niente realistico. Lo stesso Kafka raccomandò al suo editore di non mettere in copertina nessun disegno esplicito. E poi le metamorfosi di questa storia sono tante...».

In che senso?

«Gregor cambia solo esteriormente. Dentro il guscio d’insetto la sua anima resta uguale. Sensibile e sofferente, pronta a risvegliarsi in tutta la sua umanità al suono di un violino. Quello che invece muta davvero è lo sguardo degli altri, persino dei suoi cari, su di lui. Se la sua è una trasformazione improvvisa e spettacolare, quella di chi lo circonda è progressiva e insidiosa. Alla fine i veri mostri sono loro».

L’umanità, avverte Kafka, spesso si nasconde dove meno appare. E il potere della bellezza, nel caso la musica, è di rendere visibile l’invisibile.

«La musica è un dono straordinario. Ascoltarla, eseguirla, comporla, è sempre un gran privilegio. Per me, la vera passione della mia vita».

Non deve esser stato facile affermarsi come compositrice. In Italia un mestiere arduo per chiunque. Figurarsi per una donna...

«Quando andavo al Conservatorio di Santa Cecilia ero l’unica allieva al corso di composizione... E ancora adesso mi pare sia così. Però non ho mai incontrato particolari difficoltà. Ho fatto i miei studi, mi sono perfezionata con maestri come Corghi, Vacchi, Rihm, Dusapin, ho partecipato a vari concorsi, molti li ho vinti, ho scritto brani sinfonici e opere per il teatro musicale... La mia femminilità non è mai stata un handicap. Forse siamo noi donne a crearci per prime delle remore».

In quanto tempo compone un’opera?

«Per “La metamorfosi” ci ho messo 9 mesi».

Il tempo di una gravidanza...

«Tempo reale, visto che l’ho composta proprio mentre ero incinta. L’opera l’ho terminata lo scorso dicembre, Antonio, mio figlio, è nato a gennaio. Una doppia gestazione, entrambe bellissime. La trasformazione del racconto l’ho vissuta anch’io, sul mio corpo, dentro di me. Ma fortunatamente in modo molto più lieto e sereno».


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