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ANTROPOLOGIA E FILOSOFIA. IN PRINCIPIO ERA IL LOGOS - NON IL "LOGO"! La questione della "Parola" e della "Lingua" ...

RILEGGERE SAUSSURE. UN "TRATTATO TEOLOGICO-POLITICO" RIDOTTO A UN BANALE "CORSO DI LINGUISTICA GENERALE"!!! Un omaggio e un appello a Tullio De Mauro. Un’indicazione di Federico La Sala

DUE PERSONE CHE DISCORRONO... Il punto fermissimo della ricerca saussuriana.
venerdì 18 luglio 2008 di Maria Paola Falchinelli
Saussure: il dialogo, in principio.
DUE PERSONE CHE DISCORRONO...
Il punto fermissimo della ricerca saussuriana *
di Federico La Sala *
I suoni che sono nella voce (tà en tê fonê) sono simboli (súmbola) delle affezioni che sono nell’anima (en tê psychê pathemáton), e i segni scritti (tà grafómena) lo sono dei suoni che sono nella voce. E come neppure le lettere dell’alfabeto sono identiche per tutti, neppure le voci sono identiche. Tuttavia ciò di cui queste cose sono segni (semeîa), come (...)

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> RILEGGERE SAUSSURE. UN "TRATTATO TEOLOGICO-POLITICO" RIDOTTO A UN BANALE "CORSO DI LINGUISTICA GENERALE"!!! --- PAOLA MANCINELLI: STORIA DI UNA GRAMMATICA ZOPPA.

domenica 28 settembre 2008

PAOLA MANCINELLI: STORIA DI UNA GRAMMATICA ZOPPA *

Per parlare di nonviolenza usero’, questa volta, una metafora di tipo linguistico, come forse si evince dal titolo. E se, come dice Heidegger, il linguaggio e’ la casa dell’essere, la questione non e’ oziosa. Ne va invece di una dimensione filosofica alla base di un’intera Weltanschauung. Un privativo precede la parola violenza, suffisso immutabile, piccola locuzione che dice, pero’, l’incapacita’ del linguaggio ad esprimere una dimensione che in teoria rappresenta il possibile sempre in agguato a sovvertire i piani di una realta’ pensata solo come manipolabile, riducibile ad un commercium routinario.

Effettivamente, il piano ontologico, almeno in alcuni modelli assunti nell’ambito della filosofia occidentale (mi si perdoni l’allusione al mondo filosofico, ma non si puo’ non fare i conti con la propria provenienza), dice di una non contraddizione che, in ogni caso, riduce ad uniformita’ il pensato ed il pensabile e, pur ammettendo l’analogia dell’essere che si dice in molti modi, riesce appena a balbettare il diversum, non prima di averlo superato e riassunto. Questa digressione, semplicemente per mettere in luce che quando il linguaggio non sa dire l’alterita’ se non per opposizione all’identita’, opposizione che necessariamente deve preludere ad un superamento, assume il conflitto come radice e si traduce in vis (forza) su cui attagliare persino la ragione. Del resto, la cosa ha una ricaduta anche nella prassi: si vis pacem para bellum.

*

Quando si e’ giunti a comprendere la conseguenza della ragione totalitaria, la sua forza distruttrice, la tentazione del sovvertimento del diverso per mezzo di una scienza adulterata e divenuta ideologica in virtu’ del connubio con il potere, si e’ compreso pero’ che non si aveva il linguaggio per parlare di pace, almeno non altro linguaggio che quello dei trattati e dei negoziati conseguenti alle stragi belliche. Cosi’ la nonviolenza e’ divenuta semplicemente la negazione della violenza, non avendo un suo statuto proprio, e con tale privativo si e’ voluto tra-durre nella nostra visione del mondo quella concernente un’altra modalita’ semantica come quella del satyagraha.

Si e’ dimenticato pero’ che Gandhi ha sottolineato tutta la forza propositiva e costruttiva di questa parola, la quale esprime un concetto fondamentale come quello di una verita’ che ha una forza propria e che non deve essere propugnata con offensive, quello di una dignita’ umana che gia’ di per se’ invita alla responsabilita’, che derivava dalla conoscenza del mondo biblico, in nome di una giustizia in tanto universale in quanto capace di salvaguardare la dignita’ di ognuno; diremmo anzi la dignita’ delle differenze. Infine si e’ dimenticato troppo spesso di scorgere nel termine gandhiano un principio di universalita’ che non puo’ non tenere conto di come la massima espressione di ogni norma ed azione e’ quella che vede nell’umanita’ del singolo il modello di ogni umanita’, come ben dimostra la cultura biblica, nelle suggestive scritture profetiche, ove i carmi del servo di Jhwh isaiani rappresentano un’emblematica condizione umana di cui farsi carico.

*

Vorrei immaginare un linguaggio che dica l’alterita’ come ne e’ capace quello di Dio: relazione originaria al principio di ogni cosa, come ben sottolinea Martin Buber, e come ben sottende il dato cristiano, ove il Verbo si dona in un ascolto accogliente e dove il Deus revelatus si manifesta in un deittico affidando completamente la Sua identita’ all’alterita’ del Figlio: "Questi e’ il mio Figlio prediletto nel quale mi sono compiaciuto".

Solo in questo spazio relazionale tutte le parole umane potrebbero ricostituire una grammatica nuova priva della tentazione di una differenza escludente, ricco invece di una affermazione ospitale, dato che la lingua stessa e’ spazio ospitale, essa stessa ekumene da inventare nella fatica del quotidiano e nei giorni dell’uomo. Non vi sarebbe, cosi’, la possibilita’ di declinare nel paradigma della volonta’ di potenza e di dominio le civilta’, le forme politiche, le popolazioni che ci interpellano sic et simpliciter con la loro diversa possibilita’ di esistenza suggerendo un nuovo e vero umanesimo planetario.

Chissa’ che non potrebbe essere questa locuzione sostituto piu’ pieno e autentico di nonviolenza?

* LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA, Numero 183 del 28 settembre 2008 ==============================
-  Supplemento domenicale de "La nonviolenza e’ in cammino"
-  Direttore responsabile: Peppe Sini.
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