Silenzio e parola, quale confronto? Dai Vangeli ai film di Dreyer
Roma Da oggi a sabato all’Augustinianum antichisti e teologi di varia provenienza si confrontano su un tema rilevante già ai tempi della Patristica
DI VITTORINO GROSSI (Avvenire, 06.05.2010)
I l XXXIX Incontro di studiosi dell’Antichità cristiana dedica, nella sede dell’Augustinianum, una tre giorni di studio interdisciplinare (da oggi a sabato 8 maggio) al tema del rapporto tra «Silenzio e Parola » nella patristica. Il tema, tipicamente moderno, trovò spazio nell’evo patristico sia all’interno del cristianesimo sia nel contesto culturale della tardantichità.
In ambito moderno il linguista svizzero Ferdinand De Saussure, nel suo Corso di linguistica generale, introdusse la distinzione tra lingua e parola, dando alla lingua il campo del sociale e alla parola l’ambito individuale. Il regista Carl Th. Dreyer, un decennio dopo la seconda guerra mondiale (nel 1955), portò sullo schermo il film La parola (Ordet in danese, rielaborazione dell’omonimo dramma di Kay Munk), facendo riemergere la parola come creatività rispetto alle parole di consumo: «Dammi la parola... la parola che risuscita i morti», grida a Cristo il folle Johannes, chiedendogli di risuscitare Inger morta il giorno prima del parto. E lei, chiudendo la scena del film, si risvegliò. Quanto al ’silenzio’, le filosofie d’intonazione positivista hanno voluto confinarlo nel campo dell’irrazionale, opponendo mito e logos, esperienza religiosa visionaria e logica razionale e scientifica.
La ’parola’ nella religione ebraicocristiana è legata alla rivelazione di Dio nella parola e nella parola incarnata (Gesù Cristo). Tale connaturalità produsse nel cristianesimo antico testi letterari di ogni tipo: sermoni per la predicazione, commenti esegetici, opere teologiche, testi per le riunioni liturgiche.
Il ’silenzio’ dal canto suo è connaturale alla ’parola’ cristiana perché questa ha coscienza di non essere in grado di dire più di tanto di Dio e del Verbo incarnato. La parola cristiana, circoscritta e finita, indica perciò il proprio limite proprio col silenzio (chiamato dai greci apofatismo, vale a dire stare davanti a Dio senza parola).
Gli autori cristiani del periodo patristico si servirono pertanto del rapporto ’parola- silenzio’ come chiave di lettura della loro religione facendone una funzione irrinunciabile: dal narrare il silenzio primordiale di Dio da cui scaturì la parola, cioè il Logos, attraverso il quale Dio, ’dicendo’, chiamò all’essere il cosmo; alla parola rivolta ai patriarchi di Israele e a Mosè sul monte Sinai; alla Parola che, uscita dal seno del Padre, si è fatta carne (il Verbo incarnato); alla parola della rivelazione divina consegnata alla Chiesa, ovvero alle prime comunità cristiane che, nel predicarla e nello sforzo di capirla, la fecero letteralmente esplodere in un fenomeno letterario divenuto popolare e a noi rimasto come ’testimonianze patristiche’.
Gli interventi al convegno di cristianistica quest’anno non saranno pochi, tra i quali quelli di Salvatore Lilla (Biblioteca Vaticana) su ’Il silenzio nella filosofia greca’; Jean-Noel Guinot (Lyon) su ’Dai silenzi delle sacre Scritture al silenzio dell’esegeta’; Thomas Graumann (Cambridge) su ’Il silenzio negli Atti dei concili della Chiesa antica’; Renate Pillinger ( Wien) su ’Parola e silenzio nell’arte paleocristiana’; Grazia Crepaldi (Padova) su ’Il silenzio dell’intelletto’.