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IN MEMORIA DI GIOVANNI FALCONE, PAOLO BORSELLINO, ANTONINO CAPONNETTO....

CONVIVERE CON LA MAFIA, NAZIONALIZZARE LA MAFIA!?! 1992-2010: LA GUERRA DI "FORZA ITALIA" CONTRO L’ITALIA. E’ TUTTO FINITO?! Un "quaderno di appunti" per non dimenticare - di Federico La Sala

martedì 7 dicembre 2010 di Maria Paola Falchinelli
GIOVANNI FALCONE, PAOLO BORSELLINO, ANTONINO CAPONNETTO. UN URLO PER L’ITALIA E PER LA COSTITUZIONE
E’ tutto finito? La lezione di Antonino Caponnetto: "Nessuno di noi, e io meno di chiunque altro, puo’ dire che ormai tutto e’ finito" (Una preghiera laica ma fervente)!!!
RESTITUITEMI IL MIO URLO!!! IL GIORNO DELLA MEMORIA E LA DIGNITA’ DELL’ ITALIA, 27 GENNAIO 2008. IL TRUCCO DELLO SPECCHIETTO DELLE ALLODOLE FUNZIONA ANCORA E LA CARTA DI IDENTITA’ DI TUTTI GLI ITALIANI E DI TUTTE LE (...)

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> CONVIVERE CON LA MAFIA ---- Trattativa Stato-mafia, indagato Giovanni Conso. E’ il terzo ministro a entrare nell’indagine. Sono stati iscritti, infatti, anche l’ex ministro dell’Interno, Nicola Mancino per falsa testimonianza e Calogero Mannino per violenza o minaccia a corpo politico dello Stato.

mercoledì 13 giugno 2012

L’INCHIESTA

-  Trattativa Stato-mafia
-  indagato Giovanni Conso

False informazioni a pubblico ministero. E’ l’accusa rivolta all’ex Guardasigilli dai magistrati che si occupano della vicenda. Indagato anche il boss Giovanni Brusca. E’ il terzo ministro a entrare nell’indagine. Sono stati iscritti, infatti, anche l’ex ministro dell’Interno, Nicola Mancino per falsa testimonianza e Calogero Mannino per violenza o minaccia a corpo politico dello Stato *

L’ex ministro della Giustizia Giovanni Conso, 91 anni, è indagato per false informazioni a pubblico ministero nell’ambito dell’inchiesta condotta a Palermo sulla trattativa tra Stato e mafia. Sentito dai pm sulla revoca del carcere duro a oltre 300 mafiosi, disse di "avere agito in solitudine", versione che non ha convinto i magistrati. Oltre a Conso è indagato anche Giovanni Brusca. Il boss mafioso risponde dell’accusa di violenza o minaccia a corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato.

Giovanni Conso, guardasigilli dal febbraio del 1993 ad aprile del 1994, è stato sentito più volte dai pm di Palermo che indagano sulla trattativa. Il suo nome è entrato nell’inchiesta dopo una sua audizione alla commissione Antimafia dell’11 novembre del 2010 nel corso della quale affrontò il capitolo dei 41 bis fatti scadere o non rinnovati. Il 1 novembre del 1993 non vennero rinnovati 140 decreti di carcere duro e altrettanti vennero fatti scadere tra fine novembre dello stesso anno e gennaio del 1994. "Una scelta fatta in autonomia" ha sempre ripetuto l’ex Guardasigilli, sia all’Antimafia che ai pm di Palermo. Ma per la Procura, invece, proprio l’alleggerimento del carcere duro sarebbe stato uno dei punti al centro della trattativa Stato-mafia.

Conso è il terzo ministro a entrare nell’indagine: sono stati iscritti anche l’ex ministro dell’Interno, Nicola Mancino per falsa testimonianza e Calogero Mannino per violenza o minaccia a corpo politico dello Stato. Nei loro confronti e nei confronti degli altri indagati, in tutto una decina, si attende nelle prossime ore la notifica dell’avviso di conclusione dell’indagine. Nel caso del reato di false informazioni a pm contestato a Conso, prevede il codice penale, l’inchiesta si sospende fino alla definizione in primo grado del procedimento principale: in questo caso quello sulla trattativa.

Per quanto riguarda Mancino, l’ex ministro era stato ascoltato lo scorso febbraio come teste al processo Mori, e al termine dell’udienza i pm Antonio Ingroia e Nino Di Matteo avevano detto che "qualche uomo delle istituzioni mente". I pm, in sostanza, ritengono che Mancino insediatosi al Viminale il primo luglio 1992 sapesse della trattativa che prevedeva di cedere al ricatto dei boss in cambio della rinuncia all’aggressione terroristica e ai progetti di uccisione di altri uomini politici. E che ora l’ex presidente del Senato ed ex vicepresidente del Csm neghi l’evidenza per coprire "responsabilità proprie e di altri".

Nell’avviso di garanzia ricevuto da Mannino, ex ministro democristiano, oggi deputato, si parla genericamente di "pressioni" che il politico siciliano avrebbe esercitato su "appartenenti alle istituzioni", sulla "tematica del 41 bis", il carcere duro che i capimafia cercavano di far revocare.

* la Repubblica, 13 giugno 2012


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