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COSTITUZIONE ED EDUCAZIONE CIVICA. Crisi dei fondamenti di una civiltà....

IL SUONO E LA VOCE: CONSAPEVOLEZZA CULTURALE, EDUCAZIONE MUSICALE E FORMAZIONE. CHI NON SA ASCOLTARSI QUANDO PARLA O SUONA, PARLA O SUONA SENZA L’ASCOLTO DI NESSUNO, NEMMENO DI SE STESSO. Una nota sugli Atti di un convegno internazionale del 2005 (pubblicati nel 2008) del prof. Paolo Gallarati - con un "appunto" di Federico La Sala

Pierre Boulez ha dichiarato di aver migliorato enormemente la propria capacità di direttore d’orchestra nel momento in cui ha imparato ad ascoltarsi mentre dirigeva.
martedì 22 luglio 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] Saper ascoltare significa imparare a sentire per sfumature e ragionare per forme, con tutte le prevedibili conseguenze che questo ha sulla formazione dell’individuo. Staccare l’ascolto dalla pratica musicale significa ridurre quest’ultima a semplice esercizio muscolare, soffocandone il principio essenziale che è quello, straordinario, di usare il corpo come strumento del pensiero e di trasformare il pensiero in un’espressione fisica [...] (...)

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> IL SUONO E LA VOCE: CONSAPEVOLEZZA CULTURALE, EDUCAZIONE MUSICALE E FORMAZIONE. --- Rabdomante del suono, Luigi Nono in ascolto. Marco Angius parla della sua eredità (di Guido Barbieri).

venerdì 6 dicembre 2024

Rabdomante del suono, Luigi Nono in ascolto

A Roma, poetica dei «Fragmente» Dopo un anno di festeggiamenti, domani scocca il centesimo compleanno del rivoluzionario compositore: Marco Angius parla della sua eredità e l’Accademia di Santa Cecilia dedica una serata

di Guido Barbieri ("il manifesto", 30 novembre 2024)

«Per come la vedo io il suono non si muove - come sempre si dice - lungo l’asse del tempo e non si sposta nemmeno nello spazio. Perché lo spazio e il tempo sono dentro il suono, ci abitano dentro, lo determinano, e fanno del suono ciò che è. Io cerco semplicemente di estrarre il tempo e lo spazio dal suono che ascolto»: così Luigi Nono, in una intervista radiofonica del 1981 - rilasciata a Radio Uno in occasione della prima esecuzione veneziana di Io, frammento del Prometeo. Con il suo tipico linguaggio ellittico e non lineare, la sua idea di suono viene fuori come «rivoluzionaria», rovescia i parametri tradizionali della composizione. Quando Nono si avvicina a un testo non ha mai l’intenzione di rivestire le parole con la sua musica... piuttosto lo fa esplodere o implodere, rivelandone così tutte le implicazioni sonore

In questa «visione», infatti, il compositore non si limita a disporre lungo l’asse del tempo e dello spazio una serie di materiali sonori. Ma concentra innanzitutto la propria ricerca su tutte le formanti del suono: il timbro, il colore, la densità, la rarefazione, la risonanza, il silenzio, inteso come elemento essenziale del suono. Sono queste componenti, nella prassi compositiva di Nono, a determinare il modo in cui il suono si dispone nello spazio e nel tempo. L’essenza della musica, dunque, non risiede nella sua forma, bensì solo e unicamente nella pratica collettiva dell’ascolto. Una concezione «sociale» del suono del tutto originale, personale, inimitabile, maturata fin dagli anni Cinquanta, che pone Nono al di fuori di tutte le correnti della avant-garde musicale: sia quelle ispirate al serialismo post-weberniano (Boulez, Stockhausen...), sia quelle legate alle pratiche della indeterminazione (Cage). La sua è una «terza via», indipendente e profondamente «umanistica», che oggi, a cent’anni dalla nascita, costituisce la sua eredità più preziosa.

Innumerevoli, anche se disorganiche e non coordinate tra loro, sono state le iniziative che hanno ricordato negli ultimi mesi questo anniversario cruciale: la miracolosa rinascita di Prometeo. Tragedia dell’ascolto nella stessa chiesa veneziana di San Lorenzo che vide il debutto dell’opera nel 1984, la rigogliosa edizione 2024 del Festival Nono organizzato, sempre a Venezia, dall’Archivio intitolato al suo nome, e domani, la giornata promossa dall’Accademia di S. Cecilia, al Parco della Musica di Roma: alle 17.30 la proiezione di Luigi Nono. Infiniti possibili, un documentario di Manuela Pellarin, e alle 19 l’esecuzione da parte del Quartetto Prometeo di Fragmente-Stille, an Diotima, opera-cardine composta nel 1980.

Il documentario raccoglie, in un mosaico sapiente e ben organizzato, le testimonianze di alcune figure chiave dell’itinerario compositivo e umano di Nono: alcuni dei musicisti-sodali che hanno contribuito alla genesi delle opere nate negli anni Settanta e Ottanta (Roberto Fabbriciani, Giancarlo Schiaffini e Alvise Vidolin), Nuria Schönberg, la compagna di una vita, Massimo Cacciari, che irrompe nella quotidianità intellettuale di Nono alla fine dei Settanta, Veniero Rizzardi, il musicologo italiano che insieme a Angela Ida De Benedictis ha studiato con maggiore attenzione il suo pensiero musicale.

Insieme a loro, Marco Angius, direttore d’orchestra, che nel corso della sua carriera interpretativa ha diretto tutte le opere di Nono, escluse Intolleranza 1960 e Al gran sole carico d’amore.

In quanto studioso di Nono da una vita, lei è il testimone ideale per tracciare un bilancio musicale e critico delle manifestazioni organizzate per il centenario del compositore veneziano. Se si tiene conto del fatto che la diffusione delle musiche di Nono in Germania, in Austria, in alcuni paesi dell’Est, in parte anche in Francia, è stata per molti decenni capillare, trovo sorprendente che lo si sia ricordato quasi solo in Italia. Dagli anni dei corsi estivi di Darmstadt in poi, è stata l’Europa il teatro naturale del suo pensiero e delle sue opere. Ora non più, come se la memoria di quell’epoca di grandi rivoluzioni e innovazioni fosse svanita. La Biennale di Venezia è stata l’unica istituzione europea ad avere avuto il coraggio di riprendere, quest’anno, il Prometeo che io stesso ho diretto nel mese di gennaio.

È vero, ma resta, anche in Italia, un limite che sembra insormontabile: si organizzano festival, rassegne delle musiche di Nono, ma quasi mai troviamo i suoi titoli, accanto a quelli degli altri compositori, nella «normali» stagioni concertistiche. Come se Nono rappresentasse ancora oggi una «eccezione», una presenza indigerita. Certo, è così, anche se questo dipende in parte da due difficoltà reali: per un verso gli organici delle opere di Nono non sono spesso compatibili con quelli delle istituzioni musicali italiane; dall’altro c’è la difficoltà oggettiva di trovare interpreti all’altezza del suo stile del suo linguaggio. Per nostra fortuna, alcuni degli interpreti «organici» delle sue opere sono ancora attivi sulla scena musicale, ma oggi occorre portare Nono fuori da Nono, coltivare una nuova generazione di interpreti in grado di raccogliere quella eredità.

La parola eredità è centrale per un compositore che ha lasciato non solo un corpus di opere «chiuse», ma anche una serie di pensieri in perenne movimento e evoluzione. Ci aiuta a definire con maggiore precisione in che cosa consista il lascito musicale di Nono? Credo che l’eredità di Nono vada cercata in tre direzioni diverse. La prima è il rapporto del tutto nuovo che ha istituito con le musiche del passato. Una relazione che definirei visionaria e «animistica». Nella sua visione i fossili, i frammenti del passato diventano infatti oggetti parlanti. E il compositore diventa una sorta di medium, di rabdomante che coglie le risonanze di quel mondo. La seconda direzione è un nuovo modo di intendere il rapporto con il testo. Quando Nono si avvicina a un testo non ha mai l’intenzione di rivestire le parole con la sua musica, bensì di trasformare quelle parole in musica. Rifiuta la prassi corrente di descrivere un testo attraverso la musica, piuttosto lo fa esplodere o implodere, rivelandone così tutte le implicazioni sonore che possiede. Non cerca insomma una connessione descrittiva della musica rispetto alla parola, ma nutre l’ambizione di arrivare a cogliere la natura stessa del suono dentro le parole. La terza direzione è quella rappresentata dalla sua concezione di musica. Il «suono organizzato» possiede sempre per lui una valenza inevitabilmente etica e dunque è e rimane uno strumento per cambiare il mondo. Ed è rivoluzionario non per ciò di cui parla bensì perché è rivoluzionario il suo linguaggio, che mette al centro di tutto la dimensione cruciale e politica dell’ascolto.

È esattamente la dimensione dell’ascolto, infatti, il centro di gravità delle riflessioni di Nono sulla musica. Perché solo in questa dimensione la prassi sonora diventa azione collettiva, sociale e dunque politica. Ma come è possibile - si chiede il compositore nel documentario «Archipel Nono» di Olivier Mille - percepire le vere qualità del suono? Ora è Nono a parlare, la sua risposta è illuminante. A volte, a Venezia, con la nebbia arrivano da varie direzioni i rintocchi delle campane nella laguna. Si vengono a creare dei campi sonori di una magia senza fine che porta alla necessità di sviluppare molto più l’ascolto, la capacità di riuscire a cogliere tutti questi suoni insieme alle voci dei gabbiani, altri suoni che arrivano come questi, assieme a quelli del lavoro dei cantieri che stiamo ascoltando, che sono diventati sempre più rari.


LUIGI NONO

PROMETEO. TRAGEDIA DELL’ASCOLTO

fls


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