È morto Gianni Baget Bozzo. Aveva 84 anni.
di Bruno Gravagnuolo *
Poco dopo la vittoria del centrodestra, nel giugno 2001 a Firenze, capitò a Don Gianni Baget Bozzo di appressarsi alla tribuna di una kermesse di Forza Italia. Tremolando, incespicò. Ma prontamente sorretto, si avviò al proscenio, dove lo aspettava Silvio Berlusconi in persona. Che disse subito: «Lo Spirito Santo è tra di noi... ma è caduto». Per poi aggiungere tra gli applausi: «Lo Spirito Santo si è rialzato!». Battuta affettuosa e niente affatto maliziosa. Che la diceva lunga sul lungo cammino di quello spirito e sul suo approdo finale. Culminante in un’amicizia personale e in un sodalizio politico per nulla casuali.
Oggi che Don Gianni se ne è andato - a 84 anni per un infarto notturno nella sua casa genovese - quel piccolo episodio ci torna alla mente. Così come ci tornano alla mente tante altre immagini di don Gianni, che avevamo avuto occasione di conoscere personalmente negli anni 80 a Rinascita, le cui tavole rotonde frequentava riverito. E anche nella sua casa di Genova sul mare, con altare ed assistente, dove eravamo andati a trovarlo per un’inchiesta sul futuro della città «deindustrializzata» («Senti Baget« mi avevano detto, come di prammatica). Certo era un Don Gianni molto diverso da quello che abbiamo conosciuto molto dopo, prevalentemente in libri, articoli ed editoriali del Giornale. Ma c’era qualcosa in lui, pur così mutato da sinistra a destra, di fortemente perdurante. Il sentirsi - parole sue tipiche - «tutto penetrato da Dio», come ci disse una volta in aereo, conversando di religione e vita quotidiana. Che significava, ci siamo chiesti allora e tante volte in seguito? Senz’altro un sentimento, un vissuto totale e personale, in un uomo profondamente religioso. Ma anche qualcosa di più, a scorrere la sua biografia, le sue scelte, le sue impennate. Intanto era un carattere, insieme radicale e prensile. La voglia di essere un po’ in tutto. In Dio e con Dio, ma anche con la storia, la vita, la parola, l’esperienza. Di là delle contraddizioni della vita, e anzi malgrado queste ancor di più, nel fluire del presente.
Diamo uno sguardo rapido alla sua biografia. Nato a Savona nel 1925, laureato in legge e consigliere comunale della Dc. Teologo nel 1967 e ordinato sacerdote nel 1967. Dal cardinal Siri, suo grande protettore. All’ombra di Siri si era opposto al Concilio, dopo essere stato dossettiano. E insieme si era opposto alle sinistre, tifando in Curia per il governo Tambroni, strada su cui dialogherà coi neofascisti pacciardiani alla Giano Accame. Poco a poco però si avvicina alla sinistra e negli anni del Compromesso storico è ormai su posizioni rodaniane. Intravedendo in Berlinguer l’occasione di un cattocomunismo salvifico, capace di inverare teologia ed escatologia del cattolicesimo sociale. Erano gli anni in cui scriveva anche per l’Unità, e cose non da poco. Tipo: Marxismo e socialismo «da concepire con mezzi puri» e che i cristiani dovevano «intendere come un problema interno al loro essere cristiani». Anni di disaccordo con le logiche riformiste, e di un marcato «desiderio di altro che non sta ai patti». Di invocazione a «un gigantesco combattimento tra servo e padrone». Fino al pacifismo radicale del 1994, contro le basi Usa, malgrado la conversione craxiana e presidenzialista (quando fu sospeso a divinis). Poi Forza Italia. Di cui nel 1997 diviene «responsabile formazione», a seguito della nuova amicizia con Silvio Berlusconi.
Ma in mezzo, dicevamo c’è il craxismo, laico e avverso al cattolicesimo sociale. Quel craxismo che lo portò diritto al Signore di Arcore e per fascinazione plebiscitaria. E qui i nodi della parabola di don Gianni venivano davvero al pettine. E in due sensi. Da un lato don Gianni si ricollegava a una parte dei suoi esordi: il tradizionalismo anticonciliare e laicamente anti-laico. Dall’altro scopriva o riscopriva l’istanza salvifica moderna, in grado di riconciliare tradizione e innovazione. Che era il suo chiodo fisso. La cifra della sua ubiquità e del suo presenzialismo. Che lo spingeva a ritrovare Dio comunque e ovunque. In un’Entità terrena fondativa e autoritativa, fosse essa di destra o di sinistra. Entità presentita, toccata, predestinata. In uno col suo sentirsi predestinato e profetico. Fu così che vide in Silvio la Libertà e l’Autorità. L’enigma risolto della democrazia. L’Occidente. Il sacro e il profano. Il cadere e il rialzarsi... Come in quel giugno 2001, quando cadde e si rialzò.
* l’Unità, 08 maggio 2009