UNA CITTÀ n. 233 / 2016 settembre
Intervista a Nadia Urbinati
LA DEMOCRAZIA APATICA
realizzata da Gianni Saporetti
Nel tuo ultimo libro, scritto insieme a David Ragazzoni, ricostruisci le origini e il percorso compiuto in Italia dall’idea della "Seconda Repubblica”, un’idea per lungo tempo minoritaria e poi, via via, affermatasi sempre più...
Sì, nel libro che ho scritto con Ragazzoni dimostriamo che l’espressione "Seconda Repubblica”, che secondo le nostre ricerche appare per la prima volta nel ’58 con la caduta del monocolore democristiano di De Gasperi, è una categoria politica vera e propria che contiene già tutti gli elementi che poi caratterizzeranno la Seconda Repubblica alla sua nascita. E a parlarne sono alla fine degli anni Cinquanta Randolfo Pacciardi, repubblicano cacciato dal partito, Giorgio Pisanò, fascista, e Baget Bozzo del partito democristiano, il quale parla di democrazia plebiscitaria e del bisogno di un leader della provvidenza. Quando Renzi dice che è da settant’anni che si aspetta la riforma in qualche modo ha ragione perché già nella Costituente c’era un gruppo di ex monarchici come Lucifero, o comunque antidemocratici come i rappresentanti dell’Uomo qualunque che pensavano che la democrazia parlamentare fosse una iattura per l’Italia, capace di produrre solo un pessimo governo, litigi, compromessi e governi di coalizione, ovvero tutto quello che secondo Hans Kelsen denotava la democrazia parlamentare moderna. Per loro il bicameralismo e la repubblica assemblearista, come la chiamavano, era solo il frutto della reazione contro il fascismo. Il fascismo si fondava sulla centralità dell’esecutivo: la repubblica, per reazione si doveva fondare sulla centralità del parlamento, ma non andava bene.
Quindi quest’idea che ci voglia l’uomo della provvidenza non è per niente una banalità, è conseguente a una concezione della politica profondamente critica del liberismo individualista e soprattutto timorosa della modernità, ovvero della visione politica che vede nella orizzontalità dello Stato moderno (di matrice Hobbesiana) ereditato dalla liberaldemocratica un grande problema.
La caduta del monocolore democristiano, con le dimissioni di De Gasperi nel ’58, coincide con l’avvento in Francia di De Gaulle, che in quattro anni con quattro plebisciti vara la Quinta repubblica, cambiando la costituzione in senso presidenzialista da parlamentarista che era. Questi due elementi insieme, caduta del monocolore e modello gollista, si sposano, e dentro la Dc, sommessamente prima (in una piccola minoranza), poi sempre di più (soprattutto negli anni Sessanta, a fronte di una società civile che ribolle di movimenti, sembra essere anarchica, disobbediente, problematica) si fa strada l’idea della necessità di un rafforzamento dell’esecutivo; allora, quella idea gollista sembra poter essere la soluzione a tutti i problemi di instabilità, come loro la chiamano. È un’idea che si fa avanti, sempre di più. Basta pensare a Craxi.
Da quella tradizione viene Barbera, viene Ceccanti, vengono tutti coloro che oggi vogliono mettere fine finalmente alla repubblica antifascista e fare una repubblica realmente postfascista, che non abbia bisogno di essere così orizzontalista o, come la chiamano, assemblearista. A loro avviso ci si può permettere, dopo tanto tempo, di avere una visione verticistica senza il timore di cadute fasciste.
Fino ai due partiti più grandi, la Dc e il Pci?
Ci sono alcuni momenti decisivi, noi l’abbiamo riscontrato analizzando i documenti: prima la morte di Moro, che era un grande parlamentarista orizzontalista (ammiratore di Kelsen), poi quella di Berlinguer che, benché non disconoscesse la possibilità di un monocameralismo (come tutti i giacobini d’origine, del resto) era profondamente antipresidenzialista e contrario alla centralità dell’esecutivo e convinto proporzionalista (proprio in quando monocameralista). La scomparsa di questi due grandi protagonisti della scena politica ha liberato coloro che non avevano fin lì avuto spazio o legittimità, e messo in moto all’interno dei due rispettivi partiti uno sviluppo libero, senza autocensure, di questa visione presidenzialista, detta in modo più o meno esplicito, ma comunque leaderistica, o "per un premierato forte”, come si usa dire ora. Ci hanno provato in vari modi a realizzarla. Prima attraverso le commissioni, come sappiamo, dal 1983, con la prima commissione Bozzi e le seguenti, ma senza mai riuscirci. Fino a che il problema è rimasto dentro il parlamento, quindi con i partiti che si facevano lotta l’uno contro l’altro per non dare a nessuno, diciamo così, il riconoscimento della vittoria, i veti incrociati hanno impedito che andasse in porto. Quando l’iniziativa è partita dal governo ce l’ha fatta in tutti e due casi, con Berlusconi prima e adesso con Renzi. Partite dal governo, queste proposte riescono ad avere maggioranza parlamentare. Però è significativo che fino a che la discussione sulla Seconda Repubblica sta dentro il parlamento il presidenzialismo non riesce a nascere; perché nasca (in forma esplicita o implicita, come quella odierna) c’è bisogno che sia il capo dell’esecutivo e il suo governo a mettersi alla testa della revisione costituzionale per farla passare.
Ma gli stessi partiti, per come erano organizzati, erano forse un deterrente al presidenzialismo...
Infatti e questa è la seconda cosa interessante da sottolineare: tutto questo processo di Seconda Repubblica, ovvero di fine della repubblica assemblearista, o parlamentarista pura, non corretta dal carisma (come accennavo prima, questo adesso solamente implicito, ma basterebbe un tocco di mutamento e sarebbe già un presidenzialismo vero) si è fatta avanti man mano che i partiti sono decaduti nella loro dialettica, nella loro legittimità. Quindi più i partiti erano forti o di massa più questa idea era debole; più i partiti si sono indeboliti e fatti solo di eletti o amministratori più questa idea si è fatta avanti, quasi autonomamente, come una macchina che prende velocità. Dopo il ‘92 i partiti che non sono scomparsi, sono sfibrati e senza legittimità politica, usano l’ideologia della Seconda Repubblica come salvagente per costruire progetti politici che non hanno più. Non è un caso che questa riforma sia passata in parlamento in maniera vergognosa, con varie maggioranze, addirittura con voti di fiducia!, dove tutti, in pratica, hanno contribuito a farla, perché è stata vista come la salvezza per partiti che ormai sono solo partiti istituzionali, "partiti cartello” che hanno nelle istituzioni l’unico loro aggancio di potere, un aggancio che deve essere tanto più forte quanto più debole è quello con la società; quindi fortissimo, perché fuori i partiti non ci sono più. I circoli del Pd sono una cosa di facciata. Quindi solo se incardinati nelle istituzioni, istituzioni cambiate all’uopo ovviamente, i partiti hanno l’unico modo per salvare se stessi. La maggioranza ottenuta in un’elezione, quale che sia la partecipazione elettorale, cosa completamente irrilevante, si dovrà incardinare fortemente, strutturalmente all’interno dello Stato attraverso un meccanismo per cui chi vince prende tutto o quasi. E lo prende senza bisogno che nella società sia presente o sia qualcosa. Può essere anche niente nella società. Un signor no può arrivare a costruire la sua maggioranza e avrà un potere straordinario nelle istituzioni senza esistere fuori.
Questa cosa è molto interessante perché partiti così evanescenti dal punto di vista della presenza nella società civile avranno la possibilità di incardinare se stessi nelle istituzioni, quando vincono; ma quando perdono e diventano completamente irrilevanti in parlamento, cercheranno di esercitare l’unico potere che potranno ancora esercitare, quello di ricatto, che sarà sempre più forte perché anche le maggioranze monocolori o granitiche come le prefigura il premier Renzi saranno attraversate da fazioni, ricatti, pretese... Questa sarà la logica oligarchica della Seconda Repubblica, una logica antidemocratica nello spirito, con partiti ombra di se stessi, ridotti a essere un insieme di personaggi di potere.
Rispetto a questo problema penso che la spaccatura tra istituzioni e cittadini e tra partiti istituzionali e cittadini sia tale che votare "no” oggi significhi votare per la nostra cittadinanza. Noi abbiamo già visto cosa vuol dire avere una cittadinanza senza voce. L’abbiamo visto coi referendum, l’abbiamo visto con l’astensionismo elettorale che arriva al 70 per cento in alcune regioni come l’Emilia-Romagna, che però non fa assolutamente più notizia, non incide più. In questo senso la riforma della Costituzione è una presa d’atto, è una codificazione di un fenomeno e di un processo che già esiste in società, profondo, quello di una forma di eletto-oligarchia. E questo sarà un problema serissimo per l’intera legittimità del sistema.
Perché questo?
Ma perché in questo bailamme di distruzione dell’etica pubblica, finora almeno le istituzioni avevano retto. Hanno retto con vent’anni di schifezza berlusconiana, e prima di allora hanno saputo resistere al terrorismo e sconfiggerlo, hanno retto negli anni di Mani pulite. E hanno mantenuto ancora un’aura di imparzialità e di superiorità rispetto alle parti. Ma quando le parti le occuperanno direttamente, come avverrà con questa riforma combinata elettorale e costituzionale, lo Stato stesso perderà la sua aura di imparzialità e superiorità rispetto alle parti; e a quel punto la crisi di legittimità dalla opinione tracimerà alle istituzioni. Allora, perché io devo obbedire o devo sentire di avere dei doveri rispetto a chi? A chi occupa le istituzioni? A chi fa leggi per sé?
Quindi il rischio che a una crisi dei partiti risolta in questo modo occupazionale delle istituzioni, segua anche la crisi di legittimità delle istituzioni statali è fortissimo.
Tu stessa dici che il bicameralismo perfetto potrebbe essere anche corretto. Il Senato proposto va nella direzione di cui stiamo parlando o è solo una cosa sconclusionata?
È vero che la democrazia rappresentativa non deve necessariamente essere bicamerale. Come ho già detto noi abbiamo avuto due grosse tradizioni del Settecento, una liberale, profondamente timorosa delle maggioranze e delle tirannie delle maggioranze, che vuole due camere, una di legislazione e una di contenimento, di limitazione e di controllo, e abbiamo avuto l’altra tradizione, quella giacobina, favorevole a una camera sola. A parte che forse non abbiamo amato molto gli esiti giacobini della democrazia rivoluzionaria, ma essi stessi sono stati corretti nel corso del tempo con forme di limitazione del potere della maggioranza parlamentare monocamerale. Quindi non c’è dubbio che il bicameralismo aumenta la funzione di controllo. Ora, cosa succede con la riforma Renzi-Boschi? Intanto non è vero che scompaiono le due camere, le due camere restano, resta il Senato, però con una funzione che non è solo confusa (e lo è tanto, visto che avrà bisogno di una legge ordinaria per diventare effettiva; anche questo è un fatto straordinario, che una legge costituzionale sia zoppa di suo quando nasce e rimandi a una legge ordinaria è veramente un ossimoro) ma certamente non ha la funzione di limitare il potere del governo, perché non entra nella questione di fiducia. Quello che può fare è allungare i tempi di decisione parlamentare; questo sì, perché le procedure di intervento che può mettere in atto, per bloccare e far riaprire una discussione di legge, sono varie. Quindi questa seconda camera potrà bloccare l’attività del parlamento per lungo tempo. Altro che celerità! Ma questo al governo non interessa, anzi! Va bene purché non vada a limitare il potere del governo, come appunto sarà. Il governo sarà libero di fare quello che vuole, è il parlamento che sarà sempre più impotente e con un Senato confuso e che però potrà allungare i tempi del suo lavoro... e portare l’acqua al mulino dell’esecutivo, che potrà invece vantare celerità.
La seconda caratteristica di questo Senato, a mio avviso è che questi personaggi che lo comporranno, pur non avendo alcun potere di partecipare alla legislazione in maniera diretta, hanno quello di condizionarla indirettamente, rallentandone i lavori, ricattando, e godranno inoltre dell’immunità parlamentare. Qualcuno ne capisce la ragione? Come amministratori regionali non sono immuni, ma quando arrivano a Roma diventano immuni! La ragione che loro adducono è che a Roma sono considerati per la loro funzione senatoriale non per la loro funzione regionale. Ma sono le stesse persone che si portano dietro lo stesso carico di più o meno marcata disonestà!
La terza caratteristica di questo brutto bicameralismo è il fatto che questi senatori, pur non avendo alcun potere di fermare l’esecutivo, avranno la possibilità di intervenire direttamente sulla Costituzione. Io questo lo trovo addirittura scandaloso. Non essendo eletti, se non indirettamente, cioè nominati, non provenienti dal seme della sovranità nazionale, potranno intervenire sul testo più importante, la Costituzione. Non potranno intervenire sull’attività del governo ma sulla nostra Costituzione sì, senza che noi li abbiamo eletti direttamente. Anche questo alla fine dimostra una cosa sola: che per questa riforma costituzionale la priorità è l’azione del governo e tutto il resto è secondario. E la secondarietà è tanto più forte quanto più i partiti sono solo nelle istituzioni, lontani da noi. In primo piano c’è l’esecutivo, in secondo piano il parlamento, in terzo piano i cittadini e la Costituzione, e quest’ultimo è il piano su cui potranno intervenire i senatori, ma sul presidente del consiglio no. C’è una preferenza chiara per il potere delegato, per il governo cioè. Il governo non è democraticamente eletto, è formato dal parlamento, non viene direttamente da noi, ed è un potere che ha a che fare con la gestione delle forze repressive e coercitive e che opera nel settore dell’amministrazione, nella struttura, cioè, più antidemocratica dello Stato. Lì va la preferenza di questa riforma. Tutto quello che è democraticamente eletto è di secondaria importanza. La nuova normativa parla da sola.
Quarta ragione per essere preoccupati per questo nuovo Senato è il numero. Non sappiamo ancora quanti saranno i senatori. Anche qui: si dice che verranno dati in rapporto alle regioni, ma ci sono regioni con milioni di abitanti e regioni con centinaia di migliaia di abitanti. Questo sarà un problema serissimo; non siamo una federazione, non abbiamo un Senato americano dove ogni regione indipendentemente dal numero di abitanti ha due senatori. Ci sarà un problema serio nell’attribuzione del numero dei senatori. Poi le città metropolitane: quante sono? Anche quelle avranno la loro rappresentanza. E chi abita fuori dai confini delle città metropolitane?
Infine, l’ultimo aspetto, che forse grida più vendetta di tutti: il Presidente della repubblica senza alcuna ragione o giustificazione potrà nominare cinque senatori che non sono a vita ma decadranno con lui. Avrà cioè un borsino di cinque voti. Ma perché il Presidente deve avere una sua rappresentanza personale in Senato? Chi saranno poi? Personaggi riconosciuti, celebri o comunque che danno lustro allo stato? Ma se danno lustro non lo danno per cinque o sette anni, lo danno per sempre. Io già ero contraria ai senatori a vita, ma ora c’è un aspetto che sembra patrimonialista come il dare al Presidente un possesso di cinque voti. Quindi il Presidente avrà un potere di trattativa e anche di ricatto all’evenienza.
Considerando poi il traino che, con la nuova legge elettorale, la maggioranza eserciterà sulle cariche elettive istituzionali, dalla presidenza della repubblica ai membri laici della Corte costituzionale, a questo punto noi abbiamo disegnato un nuovo stato. Non è una semplice revisione costituzionale. Questa è un’altra Costituzione.