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Sul filo del messaggio evangelico, di Gioacchino da Fiore, Francesco d’Assisi e Dante Alighieri....

PAVEL FLORENSKIJ. LE PORTE REGALI - ICONOSTASI. Una recensione di Michele Dolz di una nuova e più completa versione dell’opera del pensatore russo - a cura di Federico La Sala

domenica 27 luglio 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] Giuseppina Giuliano appronta una nuova versione in base alla ricostruzione integrale del testo russo di Iconostasi
pubblicato nel 1994. Sì, perché quest’opera, che l’autore non vide mai stampata, è un singolare puzzle di vari testi, a loro volta soggetti a una non facile storia critica. Per la prima volta in Italia, quindi, quel che si può ritenere il vero e completo scritto di Florenskij. Non solo: le ultime edizioni critiche russe delle altre
opere del pensatore permettono di (...)

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> PAVEL FLORENSKIJ. LE PORTE REGALI - ICONOSTASI. ---- "NON DIMENTICATEMI"... le lettere che Pavel Florenskij scrisse ai suoi cari da un lager sovietico negli anni Trenta fino alla vigilia della sua fucilazione nel 1937..sono la scoperta di una realtà superiore alla dura quotidianità carceraria e alla stessa asperrima realtà storica, della quale il lager era l’espressione (rec. di Vittorio Strada).

domenica 27 luglio 2008

Florenskij, missive dall’inferno sovietico

Il filosofo e teologo russo

di VITTORIO STRADA (Corriere della Sera, 04.05.2001)

Al di là della carneficina dei conflitti totali dello scorso secolo, che quasi nulla hanno più di comune con le guerre di una tradizione millenaria, sono gli stermini pianificati dei lager a dare un nuovo senso dell’orrore rispetto ad ogni altra manifestazione di violenza e ferocia collettiva, tanto più se si pensa che loro teatro sono state due nazioni europee di grande cultura come la Russia e la Germania. Le voci dirette di testimonianza delle vittime di questi eccidi spezzano la nostra relativa serenità di posteri di quell’orrore, anche quando di esso non rendono gli aspetti più atroci, ma registrano una prodigiosa sopravvivenza interiore di chi lo ha subito là dove tutto congiurava per spegnere ogni barlume di vita. In questo senso le lettere che Pavel Florenskij scrisse ai suoi cari da un lager sovietico negli anni Trenta fino alla vigilia della sua fucilazione nel 1937, ora pubblicate in un’organica scelta da Mondadori a cura di Natalino Valentini e Lubomir Zak col titolo Non dimenticatemi (pagine 419, lire 36.000), sono qualcosa di diverso e di più di un documento sul mondo concentrazionario comunista: sono la scoperta di una realtà superiore alla dura quotidianità carceraria e alla stessa asperrima realtà storica, della quale il lager era l’espressione.

L’autore delle lettere, presbitero della Chiesa ortodossa, è animato, anche in quelle condizioni estreme, da una forza spirituale, da un’energia intellettuale e da un vigore morale che è difficile trovare in altri epistolari del genere, qualità tanto più preziose in quanto non sostenute da un’effimera ideologia politica, ma ispirate da una certezza religiosa che si accompagnava a una mente critica genialmente esercitata nel sapere scientifico.

Chi già conosce Florenskij filosofo e teologo attraverso le sue opere maggiori (edite da Adelphi) La colonna e il fondamento della verità e Lo spazio e il tempo nell’arte (e altre pubblicate da Rusconi e Piemme) non si stupirà leggendo queste lettere, ricche di intuizioni culturali, ma soprattutto feconde di una luce dell’anima che, al di là di ogni astratta diatriba sul rapporto tra ragione e fede, sgorga da due fonti cristalline: quella del sapere e quella del credere, per rischiarare limpidamente il mondo umano nella sua insondabile molteplicità di forme, anche religiose.

Il cristianesimo di Florenskij era quello ortodosso, orientale e la sua posizione filosofico-teologica si apparentava, pur nella sua originalità, a certi momenti della riflessione slavofila, alla critica di un razionalismo, proprio della cultura europeo-occidentale, considerato incapace, nel suo rigido formalismo, di cogliere e accogliere la debordante complessità della vita nella sua dimensione spirituale. Da questo punto di vista il pensiero di Florenskij può essere accostato a certi aspetti della occidentale filosofia della crisi, con la quale tuttavia è impossibile identificarlo poiché la scepsi florenskiana perviene organicamente a una visione metafisica fondata sulla ricchezza spirituale e concettuale del cristianesimo di stampo bizantino e della sua intensa liturgia, della quale è parte essenziale l’icona, oggetto di una splendida riflessione da parte di Florenskij.

Senza percorrere questo terreno, estremamente complesso, nel quale Florenskij spicca come una delle figure più affascinanti ed enigmatiche, ma anche controverse, della ricerca filosofico-religiosa russa del primo Novecento, la sua fisionomia etico-intellettuale si delinea se si legge ciò che egli scrisse di sé, individuando il tema centrale delle sue concezioni storico-culturali in una visione "ritmica" di due tipi fondamentali di cultura, "medievale" l’una, "rinascimentale" l’altra: la prima caratterizzata da "organicità, oggettività, concretezza, concentrazione", la seconda da "frammentarietà, soggettività, astrezza e superficialità". Rispetto a questi due "tipi ideali" Florenskij dichiarava di appartenere al primo, quello "medievale" e riteneva che all’inizio del XX secolo il tipo "rinascimentale" fosse giunto ad un punto di crisi. Naturalmente, quando Florenskij definisce il suo stile di pensiero come affine a quello del Medioevo russo, non va preso alla lettera; il suo "medievismo" è chiaramente "postrinascimentale", penetrato da tutto il pensiero moderno kantiano e postkantiano e animato dal sapere scientifico, in vari campi del quale egli operò in modo altamente fruttuoso. La sua critica del razionalismo europeo-occidentale non sfocia in un cieco irrazionalismo, ma porta, per così dire, a un razionalismo ragionevole, consapevole delle molteplicità delle "ragioni" e aperto alla metarazionalità della fede.

Nell’inferno del lager, Pavel Florenskij mantenne così dentro di sé il suo paradiso spirituale, che non lo aveva reso cieco di fronte a una volontà di male, allora trionfante nella sua Russia, una malefica volontà che, pur facendo di lui una tra le più grandi delle sue innumerevoli vittime, non riuscì vincitrice, sconfitta già dalla superiore umanità di quell’inerme sacerdote.


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