Le due cose da ricordare su René Girard
di Armando Massarenti (Il Sole-24Ore, Domenica, 8.11.15)
René Girard è morto nei giorni scorsi all’età di 91 anni. Le sue opere più importanti sono Menzogna romantica e verità romanzesca (Bompiani), del 1961, e La violenza e il sacro (Adelphi), del 1972. Nella prima Girard teorizza il «contagio delle passioni» e il «desiderio mimetico», di cui il cosiddetto “bovarismo” è l’esempio più chiaro. La giovane Emma Bovary non sa che cos’è l’amore e impara a desiderare solo attraverso le eroine di cui legge. Allo stesso modo Don Chisciotte rinunciava a desiderare in proprio affidandosi interamente al modello della letteratura cavalleresca. Il «desiderio mimetico» è dunque un «desiderio triangolare», presuppone l’esistenza di un mediatore.
A partire da questo semplice schema Girard ha analizzato molte opere letterarie e svolto analisi assai sottili su concetti come risentimento, gelosia, invidia. L’unico modo di sottrarsi a questo modo falso di desiderare è la passione, indirizzata direttamente all’oggetto del proprio desiderio. La troviamo teorizzata nel saggio Dell’amore, di Stendhal, i cui romanzi comunque non sfuggono alla regola di Girard.
Ma se pure i grandi romanzieri non si sottraggono a quella legge inesorabile, possono avere il pregio di palesarne il meccanismo. La passione potrà realizzarsi dopo aver superato il meccanismo grazie alla consapevolezza del suo funzionamento. E i romanzieri, se vogliono che la loro opera sopravviva alla transitorietà delle mode divenendo dei classici, devono scoprire questa sorgente essenziale del conflitto umano.
Girard ci ha anche mostrato quanto essenziale sia, per il senso religioso, la nozione di vittima sacrificale, di «capro espiatorio». Come ha scritto ne Il sacrificio (Cortina), a lungo l’umanità ha consumato sacrifici umani. Aver pensato di sostituirli con animali, o di renderli del tutto simbolici, ha costituito un primo progresso per la religione e la civiltà.
Ma il salto più grande, sostiene Girard, l’ha fatto colui che autoimmolandosi, e dichiarandosi l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo, ha voluto smascherare per sempre il meccanismo che spinge gli uomini - anche nella vita quotidiana - a sacrificare di quando in quando una vittima, convogliando su di lei una serie di colpe che non ha.
La necessità di una vittima sacrificale è profondamente radicata nella psiche umana. Ma il progresso morale, religioso, civile, giuridico, consiste proprio nel saperla neutralizzare. Ce lo ha insegnato niente meno che il fondatore del cristianesimo. Che a non cogliere la centralità, e la carica rivoluzionaria, di questa idea siano spesso proprio i cristiani è stato uno dei crucci del pensatore francese, che avrebbe ben potuto riassumere il suo ideale di civiltà in un semplice slogan: «Mai più vittime innocenti!».