Violenza e religione, sullo sfondo interrogativo del dopo 11 settembre
di Marco Pacioni (“Alias”/il manifesto, 24 giugno 2012)
Quello di René Girard è il caso di una figura posseduta totalmente da un tema. Tutte le fonti e metodologie che si incrociano nella sua ricerca si coagulano sempre intorno a un nucleo.
E tuttavia, i tanti e disparati riferimenti nella sua opera rendono difficile una definizione disciplinare dello studioso francese e americano d’adozione. Con il passare del tempo e con la diffusione della sua teoria del capro espiatorio e della violenza mimetica anche l’appellativo di antropologo, quello più spesso attribuitogli, è venuto cadendo.
Oggi, e in particolare da dopo l’11 settembre 2001, Girard è più genericamente, ma non meno significativamente, un «intellettuale autorevole». A partire dalle torri gemelle, la sua riflessione su La violenza e il sacro (Adelphi, 1992), libro del 1972 che lo ha reso famoso, si è innestata al filone neo-apocalittico della riflessione politica.
I testi raccolti sotto il titolo Violenza e religione Causa o effetto? (a cura di Wolfgang Palaver, trad. it. di Anna Castelli, Raffaello Cortina, pp. 85, € 11,00), per il fatto di coprire un arco temporale che va da poco prima l’11 settembre al periodo di elaborazione del suo più importante lavoro degli ultimi anni e cioè Portando Clausewitz all’estremo (Adelphi, 2008), costituiscono un valido riferimento per capire l’evoluzione del suo pensiero e la dinamica di Girard intellettuale nella riflessione culturale odierna. Nel testo più importante che dà anche il titolo generale a questa raccolta, Girard ripercorre i momenti principali della sua teoria per stabilire se le religioni arcaiche e cioè quelle fondate sul sacrificio di un capro espiatorio siano o meno la causa della violenza umana.
La risposta di Girard è che non lo sono. Anzi, esse hanno costituito un argine al parossismo della violenza innescata dal desiderio di imitazione e competizione connaturato agli esseri umani.
Lo smascheramento del cristianesimo dell’ingiustizia del capro espiatorio attraverso la crocifissione di Gesù ha da un lato diminuito la violenza sacrificale nella civiltà odierna, ma dall’altro ha anche contribuito a rendere più fragile l’argine che la stessa violenza sacrificale esercitava su quella mimetica - cioè su quella violenza che nella teoria di Girard ha la forza di distruggere le comunità e ora, apocalitticamente, tutto il genere umano. È per questa ragione che, secondo lo studioso, la nostra epoca è paradossalmente e simultaneamente meno violenta e più violenta.
È noto che Girard vede nella forza demitizzante del cristianesimo non soltanto una dinamica antropologica, ma anche una verità di fede. Anche in questi scritti è forse proprio tale aspetto confessionale, che in qualche frangente si è sintonizzato sulle sirene dello scontro di civiltà, a impedirgli di chiarire fino in fondo se lo stesso cristianesimo, per denunciare l’ingiustizia del sacrificio del capro espiatorio, abbia determinato quell’accumulo di violenza mimetica che, come lo stesso Girard sottolinea, rischia ora di esplodere planetariamente.