Inviare un messaggio

In risposta a:
Il Figlio dell`uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, intenda!

TRAPIANTI... E STRIDORE DI DENTI. VITA, MORTE, E INFERNO: UNA DISCUSSIONE LUCIFERINA TRA L’ OSSERVATORE E IL VATICANO. Chiuso il Libro con Wojtyla, la notte è scesa sulla gerarchia della Chiesa Cattolico-romana - a cura di Federico La Sala

mercoledì 3 settembre 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] Il Pontificio consiglio prosegue: "Non è cambiato niente nella dottrina su questo punto. Donare gli organi è una cosa buonissima e la Chiesa lo ha sempre sostenuto. Certo la questione è delicata perchè come si sa gli organi devono avere ancora dei segni di vita per essere espiantati" [...]

Il Pontificio consiglio replica al giornale ufficiale della Santa Sede
Un editoriale di ieri dubitava della validità della morte celebrale
Il Vaticano (...)

In risposta a:

> TRAPIANTI... E STRIDORE DI DENTI. VITA, MORTE, E INFERNO: UNA DISCUSSIONE LUCIFERINA TRA L’ OSSERVATORE E IL VATICANO. Chiuso il Libro con Wojtyla, la notte è scesa sulla gerarchia della Chiesa Cattolico-romana - a cura di pfls

mercoledì 3 settembre 2008

l’Unità 3.8.08

-  Morte cerebrale, per l’Osservatore non basta
-  Il quotidiano della Santa Sede: l’encefalogramma piatto non stabilisce il decesso.
-  Poi il Vaticano smentisce

di Roberto Monteforte

LA DICHIARAZIONE di «morte cerebrale» non può sancire più la fine di una vita. Affermazione secca e perentoria che appare in bella evidenza sulla prima pagina del quotidiano della Santa Sede, l’Osservatore Romano. L’articolo a firma della storica e filo sofa Lucetta Scaraffia è dedicato ai 40 anni del «Rapporto Harvard» con il quale si modificò la definizione di morte, passando da quella basata sull’arresto cardiocircolatorio a quella determinata dall’encefalogramma piatto. Una definizione sulla quale studiosi di formazione cattolica, la stessa Chiesa e la cultura scientifica laica avevano finito per convenire. Ora la Scaraffia che è anche membro del Comitato per la bioetica ed è stata vice presidente dell’Associazione Scienza e Vita la mette seriamente in discussione: «Quella definizione - afferma - va rivista in nome delle nuove ricerche scientifiche», per le quali - insiste citando studi recenti - «va messo in dubbio che la morte del cervello provochi la disintegrazione del corpo».

Visto che la Chiesa è tenuta a muoversi in coerenza con la sua stessa dottrina a proposito del concetto di persona, comprese «le sue stesse direttive nei confronti dei casi di coma persistenti», allora dovrebbe rivedere la sua posizione sui trapianti di organo. Un esplicito stop ai trapianti. Questa sarebbe la sua conclusione. Infatti ricorda come proprio il fatto di accettare la definizione di morte celebrale abbia avuto per la Chiesa quella di proclamarsi favorevole al prelievo degli organi da pazienti cerebralmente morti. «L’accettazione del prelievo degli organi da pazienti cerebralmente morti, nel quadro di una difesa integrale e assoluta della vita umana, si regge soltanto sulla presunta certezza scientifica che essi siano effettivamente cadaveri». Ora, visto che i risultati più recenti della ricerca scientifica avrebbero acclarato che «la morte cerebrale non è la morte dell’essere umano» e messo in dubbio «il fatto che la morte del cervello provochi la disintegrazione del corpo» - è la sua conclusione - tutto andrebbe ridiscusso. Insomma, non basterebbe più l’encefalogramma piatto per espiantare un organo, quando altri organi darebbero segni di vita. Si finirebbe così per «identificare la persona con le sole attività celebrali» e questo - assicura - «sarebbe in contraddizione con il concetto di persona secondo la dottrina cattolica, e quindi con le direttive della Chiesa nei confronti dei casi di coma persistente».

L’articolo dell’Osservatore lancia più di una provocazione. Si ipotizza anche che «forse aveva ragione chi sospettava che la nuova definizione di morte, più che da un reale avanzamento scientifico, fosse stata motivata dall’interesse, cioè dalla necessità di organi da trapiantare». Lo fa richiamando le preoccupazioni espresse nel lontano 1991 in un concistoro speciale dall’allora cardinale Joseph Ratzinger.

Sulla frontiera delicatissima della bioetica si vuole aprire un nuovo fronte polemico con il mondo laico, con la comunità scientifica, oltre che interno alla Chiesa? È una preoccupazione legittima visto che le teorie espresse sono più di un sasso lanciato nello stagno del confronto scientifico. Finiscono per avere un peso politico, tanto più che alle Camere è in discussione il tema del testamento biologico, delicato anche per il mondo cattolico con settori della Chiesa nettamente contrari perché temono si scivoli verso l’eutanasia ed altri impegnati a definire il limite tra accanimento terapeutico e le necessarie pratiche di mantenimento dei malati terminali.

Prima che la polemica monti eccessivamente la Santa Sede si è affrettata a chiarire che la dottrina della Chiesa sull’espianto degli organi non cambia. «Le riflessioni pubblicate dall’Osservatore Romano in un articolo sul tema sono ascrivibili all’autrice del testo e non impegnano la Santa Sede», ha precisato il direttore della Sala Stampa vaticana padre Federico Lombardi. «L’articolo in questione - ha sottolineato - non è un atto magisteriale nè un documento di un organismo pontificio». «Non dico nulla sul contenuto dell’articolo - ha aggiunto -, che non è un’editoriale, se non che è firmato da una persona e che dunque porta l’autorevolezza della testata e di quella persona». Sul punto eticamente sensibile dei trapianti di organi, almeno per ora, la Chiesa non cambia linea.


l’Unità 3.8.08

Dove comincia la morte

di Carlo Defanti, Primario neurologo emerito

Il quarantennale del documento con cui una Commissione dell’Università di Harvard propose di considerare quello che al tempo veniva denominato «coma irreversibile» come un nuovo criterio di morte (e che da allora chiamiamo «morte cerebrale»), promette di essere foriero di tempeste nel già tormentato terreno della bioetica italiana. L’ultima l’ha sollevata ieri un articolo de l’Osservatore Romano (non un «editoriale» come ha precisato in serata il capo della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi, nel prendere le distanze da quanto scritto) a firma di Lucetta Scaraffia.

L’autrice argomenta la difficoltà di mantenere oggi questo concetto, le cui basi sono state minate da una serie di nuovi dati, fra i quali spicca il fatto che una donna incinta in morte cerebrale può essere mantenuta biologicamente viva anche per diverse settimane in modo da permettere la maturazione del feto e la nascita di un bambino sano. Gli oppositori del concetto di morte cerebrale, di cui il filosofo Hans Jonas è stato il precursore, sostengono che tale definizione fu concepita al solo scopo di rendere possibile il prelievo di organi. La conclusione , è che sia stato un errore voler “risolvere un problema etico-giuridico con una presunta definizione scientifica”, cioè ridefinendo la morte, mentre sarebbe stato più corretto “elaborare criteri eticamente e giuridicamente sostenibili e condivisibili” per l’attività di trapianto. L’autrice prosegue chiedendosi se allo stato dell’arte la Chiesa possa continuare a sostenere il concetto di morte cerebrale, come sostanzialmente ha fatto finora, e cita un vecchio intervento del cardinale Ratzinger (1992) in cui si criticava la “messa a morte” dei malati in coma allo scopo di prelevarne gli organi.

Che cosa pensare a questo punto? Rifletto su questo tema da oltre vent’anni e ho scritto su questo un libro (Soglie, Bollati Boringhieri 2007) nel quale ho esposto in modo approfondito la storia e il concetto della morte cerebrale e ho concluso auspicando una ridiscussione pubblica di questo tema che sembrava fin qui “assestato”. Tuttavia non prevedevo che la Chiesa volesse sollevare la questione in questo momento, anche se conoscevo le perplessità espresse da studiosi cattolici in seno alla Pontificia Accademia delle Scienze. In effetti se questo intervento desse il via a un nuovo dibattito sul tema e se si dovesse raggiungere la conclusione (da me condivisa) che il concetto di morte cerebrale non è scientificamente inattaccabile, ne discenderebbe per il Magistero, da sempre fautore della assoluta sacralità della vita, la non liceità dei prelievi di organo dai “cadaveri a cuore battente” e un danno incalcolabile per l’importantissima attività dei trapianto di organi (alla quale io sono invece del tutto favorevole). Credo che l’articolo in oggetto dimostri come l’intero argomento della fine della vita sia in piena evoluzione (e la precisazione in serata del portavoce della Santa Sede ne è, per altri aspetti, una ulteriore conferma). Il fatto fondamentale è che oggi, nelle nostre società la morte non è quasi mai un evento istantaneo, ma un processo più o meno lungo che viene profondamente influenzato dall’intervento medico. Si creano in questo processo diverse “soglie”, una delle quali è appunto la “morte cerebrale”; essa non coincide con la morte dell’organismo come un tutto (che si verifica solo dopo l’arresto cardiocircolatorio), ma è certamente un “punto di non ritorno” al di là del quale è superfluo continuare le terapie rianimatorie e al di là del quale è possibile, col previo consenso del malato o dei suoi familiari intesi come suoi portavoce, prelevare gli organi a scopo di trapianto.


l’Unità 3.8.08

Marino: quando il cervello si spegne l’individuo muore

di Natalia Lombardo

«Affermazioni di questo tipo possono causare gravi conseguenze su attività cliniche che ogni giorno salvano centinaia di vite umane», avverte Ignazio Marino, senatore del Pd, chirurgo e docente universitario specializzato in trapianti d’organo, capogruppo Pd in commissione Sanità.

Secondo lei mettere in discussione la morte cerebrale come fine della vita vuol essere una indicazione ai legislatori? «Credo sia la posizione personale espressa da Lucetta Scaraffia, una persona che si occupa di bioetica e non una teologa; del resto la Santa Sede ha chiarito che non è una posizione ufficiale. Se così fosse, da domani non si potrebbero più prelevare degli organi da persone la cui morte cerebrale è stata accertata con criteri che derivano dal lavoro svolto nel ‘68 dall’Ad Hoc Committee di Harvard».

Criteri superati, per l’articolo dell’Osservatore Romano. «Sono principi usati fino ad ora. Fino al ‘68 la morte era stata identificata con l’arresto del cuore e i conseguenti segni biologici, fino alla putrefazione. Nel ‘68, con i primi interventi di bypass, si fermava il cuore, si operava e lo si faceva ripartire; allora si è capito che la fine della vita non corrispondeva all’arresto del cuore, bensì al danno irreversibile al cervello, la morte cerebrale. Per accertare questa intuizione è stato riunito un comitato con medici e scienziati, uomini di legge e teologi. Ne uscì un lavoro molto rigoroso, una pietra miliare che da quarant’anni ha cambiato la definizione della morte e il modo di lavorare in ospedale. Da studente di medicina all’inizio degli anni ‘70 ricordo che si faceva un elettrocardiogramma di venti minuti prima di stabilire la morte. Oggi farebbe sorridere. I criteri di Harvard hanno cambiato anche la cultura: nell’arte e nella letteratura si è considerata la morte dell’uomo come la morte del cuore, spaccato dal dolore o fermato di colpo».

Nell’articolo si sospetta un interesse del comitato di Harvard, una sorta di fabbrica di trapianti. Un’offesa? «Be’ sarebbe riduttivo pensarlo. Come se gli scienziati, insieme a teologi e avvocati, si riunissero per trovare una giustificazione a quello che vogliono fare. Questa visione di una scienza che agisce nell’interesse di se stessa e non dell’uomo non è giusta».

Quante sono le vite salvate grazie ai trapianti? «Siamo quasi al milione di vite salvate dal 23 dicembre 1954, con il primo trapianto di rene avvenuto con successo. Poi sono diventati una terapia corrente a fine anni ‘70». Una dichiarazione del genere può essere pericolosa in un’epoca in cui si vuole rivedere tutto? «Prendiamola come una provocazione, un’indicazione intellettuale e non morale. Se fosse morale io stesso, che ho dedicato venticinque anni della mia vita al trapianto di fegato, e tanti chirurghi nel mondo, dovremmo porci subito un quesito : se non fosse più valido l’accertamento di morte con l’elettroencefalogramma piatto ripetuto dopo sei ore, più una visita specialistica, vorrebbe dire fermare i trapianti e assumersi la responsabilità morale di migliaia di vite che morirebbero, senza più speranza».

E quello sì che sarebbe contrario a una logica cristiana... «La Chiesa infatti ha sottolineato più volte l’importanza della solidarietà e della carità cristiana con la donazione degli organi. Far tornare a sorridere un bambino nato con un fegato malato è uno dei più straordinari passi fatti dalla scienza negli ultimi cento anni. Lucetta Scaraffia cita la donna alla quale è stata protratta la vita biologica per portare avanti la gravidanza: una scelta drammatica, ma quella donna era morta, il suo cervello si era spento e non si è risvegliato».

Un’attività biologica prolungata con la tecnica, mentre i trapianti restituiscono la vita. Non è una contraddizione per un cattolico? «Io sono un credente, ho lavorato con i maggiori esperti di trapianti nella storia, come Thomas Starzl, anche atei, ma la definizione di morte cerebrale è solo scientifica: se il cervello è morto, lo è l’individuo».

Questo ripropone il problema del testamento biologico sul quale ha ripresentato la proposta di legge. «Sì, firmata da 101 senatori, anche di centrodestra. Il fatto che esista una tecnologia non vuol dire che la si debba usare per forza. Se io posso dire che voglio spegnermi in modo naturale nel letto di casa mia, circondato dagli affetti, piuttosto che prolungare la mia agonia con una macchina, ecco, non credo che alcuna categoria morale possa impormi l’uso di una tecnologia. L’esaltazione della tecnica può diventare un’idolatria della scienza e, forse, una rinuncia all’umanesimo e alla carità cristiana».


l’Unità 3.8.08

Creare panico

di Maurizio Mori

La Consulta di Bioetica condivide che si debba ridiscutere la definizione di morte, come molti altri presupposti della tradizionale etica medica ippocratica. Ad esempio, si deve riconoscere che l’alimentazione e idratazione artificiali sono terapie mediche e possono essere sospese nei casi di SVP come Eluana Englaro. Forse si deve anche riconoscere che l’esatto confine del concetto di morte dipende da decisioni etiche più che da osservazioni fattuali - come osservato dal neurologo Carlo Defanti nel volume Soglie. Medicina e fine della vita (Bollati Boringhieri, 2007).

Riteniamo che la bioetica comporti un ampio dibattito per rivedere proprio il tradizionale paradigma ippocratico, che non funziona più e va sostituito. Pertanto auspichiamo una più approfondita riflessione su tutte le questioni, avendo di mira l’ampliamento delle libertà individuali e la tutela delle persone.

Ma riteniamo altresì che l’articolo pubblicato da l’Osservatore Romano riveli la situazione di sbando della chiesa cattolica romana: non sapendo più come gestire le nuove tecniche e trovandosi in serissime difficoltà sul caso Englaro, preferisce gettare discredito su tutte le nuove tecnologie, venendo anche a rimettere in discussione i trapianti d’organo. Piuttosto che cedere su un punto, meglio distruggere tutto: muoia Sansone con tutti i filistei! Una tecnica antica per creare panico e favorire svolte conservatrici. L’obiettivo ultimo è chiaro: bloccare il caso Englaro e fissare delle barriere alla possibile legge sul testamento biologico, che sarà tanto restrittiva da essere inutilizzabile. In breve qualcosa di peggio della legge 40/2004.

La Consulta di Bioetica ritiene che ormai la chiesa cattolica stessa si ponga contro il progresso civile: è positivo che emerga lO spirito conservatore promosso dalle gerarchie ecclesiastiche, ed invita a difendere i nuovi valori di libertà che vanno affermandosi nella società.

Presidente della Consulta di Bioetica Onlus


l’Unità, 3.8.2008

A rischio 3000 trapianti l’anno se passa il Verbo della Chiesa

di Cristiana Pulcineli

Nel 2001 Adriano Celentano dichiarò, durante una trasmissione televisiva, di non credere al criterio di morte cerebrale. Nei giorni successivi i medici dei reparti di terapia intensiva degli ospedali di tutta Italia dovettero constatare una brusca caduta nella donazione degli organi. La cosa fu talmente clamorosa che è rimasta nella memoria degli addetti ai lavori con il nome di «effetto Celentano».

«Nei giorni successivo alla trasmissione - ricorda Mario Riccio, l’anestesista medico di Welby - mi trovai a chiedere al parente di un paziente l’autorizzazione per l’espianto degli organi. Il parente rifiutò dicendomi: ma ha sentito Celentano? L’effetto Celentano produsse nel giro di una settimana un crollo nelle donazioni che si tradusse nella morte di molte persone». Per ovviare al problema dovettero scendere in campo Umberto Veronesi, Renato Dulbecco e altri nomi della scienza italiana spiegando, dagli schermi televisivi, che la morte cerebrale è un criterio condiviso dai medici di tutto il mondo.

«Un effetto simile potrebbe essere prodotto dall’editoriale dell’Osservatore Romano», aggiunge Riccio. «Bisogna considerare che c’è moltissima gente che ha bisogno di un organo, e molti di essi non possono aspettare».

Ci sono due tipi di trapianti: quelli per i quali si può aspettare e quelli d’urgenza. Tra i primi c’è il trapianto di reni: il paziente può aspettare anche anni perché nel frattempo fa la dialisi. Tra i secondi ci sono una buona parte dei trapianti di cuore e di fegato. Ad esempio, un paziente con un’epatite fulminante che aspetta un trapianto di fegato non può aspettare oltre 48 ore. Un paziente con alcune patologie cardiache ha una settimana di tempo prima che il suo cuore ceda. In tutti questi casi un tentennamento dell’opinione pubblica che duri anche solo qualche giorno può essere fatale.

Come tutti sanno, del resto, la domanda di organi supera di molto l’offerta. In Italia si fanno oltre 3000 trapianti l’anno. La metà sono trapianti di rene, circa 1000 di fegato, 300 di cuore, 100 di polmone e solo una cifra esigua di pancreas e intestino.

Ma i trapianti dovrebbero essere molti di più: le liste d’attesa sono lunghe. Secondo i dati più recenti, 9400 pazienti italiani oggi aspettano un organo. Quelli che hanno bisogno di un rene sono 6813 e aspettano in media 3,1 anni. Per il fegato sono il lista d’attesa 1469 pazienti e attendono in media 1,9 anni. Per il cuore ci sono 864 pazienti e la loro attesa è di 2,5 anni. Eppure, il criterio di morte cerebrale è stato stabilito quarant’anni fa e da allora non è stato messo in discussione. «Anche la Chiesa ha sposato il criterio di morte cerebrale», continua Riccio. Prima di quello spartiacque che fu il «rapporto di Harvard», la morte veniva diagnosticata quando il cuore smetteva di battere. Il 5 agosto 1968 la rivista scientifica JAMA pubblicò una ricerca della Harvard Medical School nella quale si riconosceva come alcuni casi di coma, la perdita irreversibile di qualsiasi funzionalità cerebrale e l’impossibilità di una respirazione autonoma fossero i nuovi criteri in grado di spostare il concetto di morte dal cuore al cervello. Un evento che ebbe un’importanza storica per i trapianti d’organo. Gli organi, infatti, possono essere prelevati solo da un cadavere «a cuore battente»: se l’organo, che sia cuore, polmone o fegato, non viene irrorato dal sangue, muore e diventa inservibile. «Del resto, la morte cerebrale è uno stato transitorio che dura un periodo di tempo limitato e si conclude inevitabilmente con l’arresto cardiaco», spiega Riccio. A differenza dalla morte corticale, la morte cerebrale comporta il fatto che la persona non respira più autonomamente e perché il suo cuore batta è spesso necessario l’apporto dei farmaci. «Oggi le regole in Italia per l’accertamento di morte cerebrale sono molto rigide. Ad esempio, dobbiamo tenere il soggetto adulto in osservazione per 6 ore prima di dichiararne la morte cerebrale. In altri paesi, ad esempio l’Inghilterra, i criteri sono meno stretti».

Le linee guida del resto sono in continua evoluzione: nell’aprile scorso un decreto ha aggiornato i criteri per l’accertamento della morte cerebrale. Tra i nuovi obiettivi c’è quello di rendere possibile l’esecuzione di tecniche strumentali diagnostiche permesse dell’odierno sviluppo tecnologico, inesistenti all’epoca del decreto originale.

Ma il tema è ancora molto delicato tanto che la famosa legge del 2001 riguardo il consenso al prelievo (la famosa regola del silenzio assenso) è bloccata. I decreti attuativi non sono ancora operativi e oggi l’assenso al prelievo degli organi (o, per maggiore precisione, la dichiarazione di non opposizione al prelievo) può essere data solo da un parente di chi si trova nello stato di morte cerebrale.


Questo forum è moderato a priori: il tuo contributo apparirà solo dopo essere stato approvato da un amministratore del sito.

Titolo:

Testo del messaggio:
(Per creare dei paragrafi separati, lascia semplicemente delle linee vuote)

Link ipertestuale (opzionale)
(Se il tuo messaggio si riferisce ad un articolo pubblicato sul Web o ad una pagina contenente maggiori informazioni, indica di seguito il titolo della pagina ed il suo indirizzo URL.)
Titolo:

URL:

Chi sei? (opzionale)
Nome (o pseudonimo):

Indirizzo email: