Inviare un messaggio

In risposta a:
EU-ANGELO E COSTITUZIONE . "CHARISSIMI, NOLITE OMNI SPIRITUI CREDERE... DEUS CHARITAS EST" (1 Gv., 4. 1-16). «Et nos credidimus Charitati...»

LA LINGUA D’AMORE DEI NOSTRI PADRI E DELLE NOSTRE MADRI COSTITUENTI E LA COSTITUZIONE. Una nota di Federico La Sala

lunedì 8 settembre 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] Il messaggio del patto costituzionale, come quello del patto eu-angelico ...e della montagna è ben-altro!!! La Costituzione è - ripetiamo: come ha detto e testimoniato con il lavoro di tutto il suo settennato il nostro Presidente, Carlo A. Ciampi - la nostra “Bibbia civile”, la Legge e il Patto di Alleanza dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ Costituenti (21 cittadine-sovrane presero parte ai lavori dell’Assemlea) [...] (...)

In risposta a:

> LA LINGUA D’AMORE DEI NOSTRI PADRI E DELLE NOSTRE MADRI COSTITUENTI E LA COSTITUZIONE. --- Una passione (mondiale) per l’italiano (di Dario Fertilio).

mercoledì 9 dicembre 2009


-  La ricerca

-  Uno studio della Fondazione Rosselli mette in evidenza le richieste di chi vuole imparare la lingua
-  Cresce il numero degli eventi organizzati, ma la distribuzione geografica è da rivedere. Gli esempi della Francia e della Spagna

-  Una passione (mondiale) per l’italiano

-   Popolarità in aumento: è la quinta lingua più richiesta
-  Il ruolo e le difficoltà degli 89 Istituti di cultura all’estero

-  di Dario Fertilio (Corriere della Sera, 09.12.2009)

Uno studio della Fondazione Rosselli, realizzato per il Cor­riere della Sera , porta con sé buone nuove sull’immagine interna­zionale dell’Italia. I dati più confor­tanti riguardano la popolarità e l’inte­resse della nostra lingua: siamo quin­ti nella classifica degli idiomi più ri­chiesti dagli studenti. Il che non cor­risponde, naturalmente, alla diffusio­ne reale (colossi come il cinese o l’hindi viaggiano nell’ordine inarriva­bile delle centinaia di milioni di par­lanti).

Ma se consideriamo il numero di coloro che hanno deciso di legge­re Dante o Pirandello nell’originale, oppure per passione culturale o inte­resse economico si sono iscritti ai corsi, ecco che l’onda lunga di cultu­ra, cucina, artigianato, arte di vivere ci porta in alto: seguiamo a distanza, certo, l’inglese (ovvio), lo spagnolo (quasi altrettanto ovvio), e siamo an­che alle spalle del tedesco e del fran­cese; però, subito dopo, ci siamo noi. Da qui la necessità di consolidare una rete adeguata di Istituti di cultu­ra all’estero.

Ma la ricerca della Fon­dazione Rosselli fotografa una situa­zione ambivalente: da un lato cre­scenti successi promozionali, oltre al­l’aumento degli studenti; dall’altro ri­tardi strutturali e, ancor più, manca­te riforme. Lo studio mette in eviden­za le crescenti richieste di chi vuole imparare l’italiano: settemila sono i corsi «venduti» dagli Istituti durante il 2007. Risalta l’aumento degli even­ti collegati alla promozione annuale della cultura, la «Settimana della lin­gua italiana nel mondo»: si è passati dai 309 del 2001 ai mille del 2005, si­no a sfiorare i 1600 l’anno scorso (quest’anno la tendenza alla crescita appare confermata).

Tuttavia, se si analizza la rete globale degli 89 Istitu­ti, salta agli occhi una distorsione ge­ografica. La maggioranza dei centri culturali (54%) è concentrata in Euro­pa (con una punta di otto nella sola Germania). Un po’ come se la batta­glia politico-culturale si continuasse a combattere lungo la Cortina di fer­ro, e come se non esistessero i pro­grammi Erasmus e uno scambio co­stante fra i cittadini della Ue, si imma­gina ancora che gli avamposti del­­l’Italia debbano trovarsi a Londra, Barcellona o Parigi anziché Rio, Nuo­va Delhi, Shanghai o Kazan.

E infatti l’Africa subsahariana ottiene in tutto il 4 per cento delle presenze, quella mediterranea e mediorientale si fer­ma all’11, mentre il blocco Asia-Ocea­nia raccoglie un modesto 10. Bassa in proporzione (21%) la presenza de­gli Istituti di cultura nell’area cultu­ralmente e linguisticamente più affi­ne all’Italia, quella delle Americhe (in molti Paesi, dal Venezuela in giù, l’italiano potrebbe legittimamente aspirare a vedersi riconoscere il ter­zo posto come lingua ambientale, do­po lo spagnolo e il portoghese).



Crescono, insomma, le aspettati­ve, ma l’organizzazione non è all’al­tezza. Un raffronto con i «concorren­ti » (soprattutto inglesi, tedeschi e spagnoli) si conferma problematico. Fuori categoria la Francia, con un nu­mero impressionante di sedi ma una politica linguistica del tutto differen­te, la distribuzione degli enti cultura­li, su scala globale, ci vede lontani dal British Council e dal Goethe Insti­tut, anche se davanti al Cervantes.

Re­sta il fatto che la riforma tanto attesa per rilanciare l’azione del nostro Pae­se continua a languire. La Spagna, ad esempio, ha investito molto nel po­tenziamento della sua rete, con l’obiettivo di rafforzare la «strategia Paese». L’Italia, invece, non ha anco­ra messo a punto la sua riforma. Sul­la quale Renato Cristin, che ha guida­to per anni l’Istituto di Berlino tenen­dovi a battesimo Palazzo Italia, ha al­cune idee precise: «Meglio organizza­re meno eventi ma dare maggiore qualità alle manifestazioni; aumenta­re considerevolmente i direttori di chiara fama, con capacità manageria­li e politico-culturali, riducendo il numero dei promossi per anzianità di servizio e in virtù di carriere inter­ne ministeriali; soprattutto è la presi­denza del Consiglio che dovrebbe in­vestire, e mettere il ministro degli Esteri in condizione di includere la cultura italiana all’estero nelle priori­tà strategiche del Paese».

E poi sareb­be necessaria un’azione capace di coinvolgere tutti gli enti che oggi ci rappresentano: i ministeri (Esteri, Be­ni culturali, Turismo), ed Enit, Ice, Camere di commercio. L’obiettivo: puntare su un’immagine unica e una rete di alleanze con le istituzioni cul­turali e scientifiche più prestigiose.

Su un punto, invece, i progressi appaiono sensibili: nella capacità de­gli Istituti di conquistarsi finanzia­menti e sponsorizzazioni locali.

Pur muovendo da risorse limitate e all’in­terno di un quadro normativo invec­chiato, i direttori degli Istituti sono riusciti complessivamente a svec­chiare l’immagine collettiva del Pae­se. E i dati dimostrano come fra il 2005 e il 2007 sia avvenuta un’inver­sione di tendenza: la crescita dell’au­tofinanziamento ha dapprima avvici­nato, poi quasi pareggiato, infine (nel 2007) superato la cifra comples­siva stanziata dallo Stato.

Un dato di cui gli Istituti possono andare orgo­gliosi, soprattutto se accompagnato dall’altro che riguarda il numero del­le sole manifestazioni culturali, cre­sciute del 19 per cento dal 2007 al 2008. Si è passati infatti da 6049 a 7203, ma qui non è tutto oro quello che luccica: perché il moltiplicarsi de­gli eventi potrebbe essere spia di un certo provincialismo. Meglio punta­re sull’eccellenza, ricalcando dove possibile il modello vincente «Italia in Giappone», già replicato nel 2006 in Cina, e negli anni successivi in Vietnam e Corea.



Resta invece irrisolto il problema del ritardo nel promuovere la cultura scientifica e tecnologica. Dovrà esse­re colmato - sottolinea la ricerca- attraverso eventi che mettano a con­fronto scienziati italiani e stranieri, e favoriscano accordi tra università.



Un ultimo capitolo messo in rilie­vo dalla Fondazione Rosselli riguar­da il dialogo proficuo aperto dagli Istituti con le regioni: nel 2008 sette su dieci hanno realizzato manifesta­zioni culturali sul tema delle identità locali. Qui è ormai alle porte un nuo­vo «Brand Italia» variamente articola­to: c’è il turismo accompagnato dal­l’arte enogastronomica, ma anche un nuovo impulso all’esportazione di prodotti locali. L’Emilia-Roma­gna, attraverso un’esposizione sul Made in Italy, ha promosso la produ­zione della moto Ducati a Tokio; la Confartigianato veneto ha organizza­to all’interno dell’Istituto di Ankara un convegno volto alla promozione del tessuto produttivo locale. 


-  Dove imparare la nostra lingua è una moda
-  Giappone, scelta per 500 mila

di D. Fert. (Corriere della Sera, 09.12.2009)

Se esiste un libro dei sogni per la cultura italia­na all’estero, questo si trova senz’altro in Giappo­ne: è laggiù che si vede come potrebbe essere la nostra immagine nel mondo, se la sfruttassimo in pieno. Così infatti è avvenuto nel 2001, in occa­sione dell’iniziativa «Italia in Giappone», quando il paese del Sol levante venne inondato da circa ottocento eventi distribuiti su quindici mesi, con più di cento milioni di contatti. O in occasione di grandi mostre: due anni fa, con l’Annunciazione di Leonardo capace di attirare quasi novecento­mila visitatori; o anche quest’anno, con l’esposi­zione sull’impero romano.

Del resto, bastano le cifre attuali degli studenti di italiano - che il direttore dell’Istituto di To­kio, Umberto Donati, fornisce senza enfasi - per rendersi conto della portata indiscutibile del fe­nomeno. Seimila iscritti ai corsi trimestrali orga­nizzati direttamente dall’Istituto, con un occhio particolare all’eccellenza e alla «fidelizzazione» degli studenti, insistendo sugli approfondimenti e sui corsi di cultura avanzata. Poi, a un livello più popolare, ci sono le lezioni di italiano orga­nizzate dalla televisione e radio pubblica Nhk (più o meno equivalente alla nostra Rai) rispetto alle quali le vendite abbinate dei testi per la gram­matica e gli esercizi fanno ipotizzare (per difetto) l’esistenza di circa duecentomila studenti.

Ancora: ottantamila giovani studiano l’italiano presso scuole e università che ne prevedono l’in­segnamento (sono centoventi). Aggiungiamo du­ecento scuole private in tutto il Paese, dove trovia­mo altri cinquantamila allievi, e infine coloro che scelgono lo studio solitario della lingua, spesso motivato dalla passione per la musica lirica, la cu­cina o semplicemente perché lavorano nei nume­rosi ristoranti italiani (sono tremila nella sola To­kio). Così si arriva a un dato complessivo compre­so fra i quattrocentomila e il mezzo milione di giapponesi che, a vario titolo e in forme diverse, hanno un rapporto con la lingua italiana.

Esaurito il boom degli anni Ottanta e Novanta, si può forse parlare - spiega il direttore Donati - di un calo dei principianti, ma di un sensibile rafforzamento del legame con l’Italia da parte dei progrediti. Non più dunque, come in passato, corsi brevi e immersioni nella lingua per qualche mese soltanto, ma partecipazione attiva a corsi sulla civiltà classica, l’arte, l’opera, la gastrono­mia, la storia, la letteratura. Con alcuni cammei culturali che danno il senso dell’innamoramento giapponese: corsi di ricamo al punto antico per signore, di chitarra per giovani e poi di incisione e gioielleria. E ancora, sessioni di lingua col kara­oke o con il metodo sperimentale della «sugge­stopedia ». Perché quando si ama una cultura - ecco il ful­cro dell’insegnamento che viene dal Sol levante - si ammira tutto ciò che vi è mentalmente asso­ciato: eleganza, bellezza, raffinatezza, il gusto idealmente «rinascimentale» di vivere. Un sentimen­to abbastanza diffuso da esprimersi visibilmente nel panorama urbano nipponico: l’italiano è usa­to assai spesso nelle insegne degli esercizi com­merciali (ristoranti, bar, negozi) e per battezzare prodotti industriali (l’auto «Serena» della Nissan, i termini «premio», «porte», «passo» per la Toyo­ta; una moto della Yamaha è diventata addirittura «Dio». E non si contano le riviste dai nomi italia­ni: «Uomo», «Ciao», «Grazia», «Viaggio»).

Probabilmente è da qui, da questa passione giapponese e dall’uso non solo pratico della no­stra lingua, che si deve partire per spiegare - co­me sottolinea l’ambasciatore Vincenzo Petrone - il fenomeno degli eventi concepiti dall’Italia ma finanziati prevalentemente sul mercato giap­ponese (soltanto quest’anno per due milioni e mezzo di euro). Succede infatti che i grandi gior­nali come lo Yomiuri Shimbun o le televisioni pubbliche e private organizzino direttamente grandi eventi, si preoccupino di trovare gli spon­sor tra i loro inserzionisti e raggiungano il pareg­gio economico tramite la vendita di biglietti, cata­loghi e merchandising. Significativo qui il ruolo della Fondazione Italia-Giappone, presieduta dal­l’ambasciatore Umberto Vattani, dove convivono enti e aziende pubblici e privati.


Questo forum è moderato a priori: il tuo contributo apparirà solo dopo essere stato approvato da un amministratore del sito.

Titolo:

Testo del messaggio:
(Per creare dei paragrafi separati, lascia semplicemente delle linee vuote)

Link ipertestuale (opzionale)
(Se il tuo messaggio si riferisce ad un articolo pubblicato sul Web o ad una pagina contenente maggiori informazioni, indica di seguito il titolo della pagina ed il suo indirizzo URL.)
Titolo:

URL:

Chi sei? (opzionale)
Nome (o pseudonimo):

Indirizzo email: