L’ultimo valore
di MASSIMO GIANNINI *
Se occorreva una lettura alta e forte del "sommario di decomposizione" politica, civile e culturale che l’Italia sta vivendo in questo tempo di egemonia della "nuova destra", quella di Giorgio Napolitano non poteva essere più vera, anche se più amara. In quale altro Paese d’Europa un Capo dello Stato è costretto ad ammettere che non tutti gli italiani "si identificano nella Costituzione repubblicana"? Forse solo nei Balcani.
C’è un pezzo di destra berlusconiana, priva di retaggi ideali e di ancoraggi politici con la grande tradizione liberal-conservatrice dell’Occidente, che concepisce la politica come epifania personale, e non come servizio reso al Paese nel rispetto dei suoi valori fondativi. C’è un pezzo di destra post-fascista, non rassegnata a spegnere la fiamma dentro il mare indistinto del popolarismo europeo, che rifiuta una memoria condivisa della storia perché coltiva un’altra idea della democrazia. C’è un pezzo di destra leghista, non rassegnata a declinare la devolution come federalismo solidale, che rifiuta il primato della Repubblica perché insegue la primazia della Padania.
Per questa Italia la prima parte della Costituzione è quasi un "relitto". Con quel suo carico di diritti pre-moderni (l’uguaglianza, l’equità, la solidarietà, il lavoro...) che imbrigliano l’economia e imbrogliano i cittadini. "Costituzione sovietica": non la definisce così il Cavaliere? La seconda parte è quasi un "delitto". Con quel suo apparato di bilanciamenti istituzionali (il ruolo del Parlamento, le prerogative del Capo dello Stato, l’autonomia della magistratura) che minano il potere politico e minacciano il potere esecutivo. Non è per questo che, sempre per il Cavaliere, si rende necessario il presidenzialismo e si deve "riformare" il Csm? È grave questo uso spregiativo della Costituzione. Ma ancora più grave è che, secondo il falso spirito "modernizzatore" dominante, si vuol far passare per arcaico (e dunque politicamente irrilevante) anche chi la Costituzione la invoca e la difende. Per questo dobbiamo essere grati, una volta di più, a Giorgio Napolitano.
* la Repubblica, 11 settembre 2008.