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EV-ANGELO, COSTITUZIONE... E L’UNTO DEL SIGNORE: L’ITALIA COME VOLONTA’ E RAPPRESENTAZIONE DI UN SOLO PARTITO: "FORZA ITALIA"!!!

L’IDEOLOGIA CATTOLICO-FASCISTA DEL MAESTRO UNICO E L’ART. 7 DELLA COSTITUZIONE, UN BUCO NERO CHE DISTRUGGE L’ITALIA E LA STESSA CHIESA CATTOLICA. Per un ri-orientamento teologico-politico. Una nota - di Federico La Sala

Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio ... un cattolicesimo-ROMANO che ha sempre e per lo più confuso "Erode" con Cesare e Dio con "Mammona"!!!
mercoledì 25 aprile 2012 di Maria Paola Falchinelli
[...] Il messaggio del patto costituzionale, come quello del patto eu-angelico ...e della montagna è ben-altro!!! La Costituzione è - ripetiamo: come ha detto e testimoniato con il lavoro di tutto il suo settennato il nostro Presidente, Carlo A. Ciampi - la nostra “Bibbia civile”, la Legge e il Patto di Alleanza dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ Costituenti (21 cittadine-sovrane presero parte ai lavori dell’Assemlea), e non la ’Legge’ di “mammasantissima” e (...)

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> L’IDEOLOGIA CATTOLICO-FASCISTA DEL MAESTRO UNICO E L’ART. 7 DELLA COSTITUZIONE, UN BUCO NERO CHE DISTRUGGE L’ITALIA E LA STESSA CHIESA CATTOLICA. --- Dall’etica al fisco, l’irresistibile avanzata della Chiesa (di Filippo Ceccarelli) - L’arrembaggio alla Costituzione (di Andrea Manzella).

lunedì 9 febbraio 2009


-  Prelati d’attacco e politici in ginocchio a 80 anni il Concordato è "invisibile"

-  Dall’etica al fisco, l’irresistibile avanzata della Chiesa

-  Mercoledì ricevimento in ambasciata: cardinali a fianco del governo
-  Le rivendicazioni ecclesiastiche arrivano a condizionare le nomine nella tv di Stato

di Filippo Ceccarelli (la Repubblica, 09.02.2009)

Gli anniversari ballano, gli anniversari scherzano e quindi a volte finiscono precisamente per cadere, certi anniversari, nel momento della verità. Dopodomani 11 febbraio il Concordato compie dunque 80 anni.Ma non è mai apparso così malridotto. Nulla probabilmente cambierà nella rappresentazione della ricorrenza: dicasteri vaticani imbandierati, soporifere cerimonie e dotte articolesse commemorative, bisbigli, tartine e cordiale ipocrisia al ricevimento nella Palazzina Borromeo, sede dell’ambasciata italiana presso la Santa Sede, là dove ogni anno porpore e grisaglie si ritrovano a celebrare, insieme all’antica sapienza del potere, le risorse dello stile diplomatico che vela e camuffa gli eventi, le fatiche, le magagne, le inimicizie.

Ma chi abbia un filo di onestà non può stavolta, nei giorni di Eluana, far finta che tra Cesare e Dio, o per lo meno fra i loro pretesi rappresentanti, le cose filino proprio lisce. Mai come oggi il Vaticano è parte in causa, perciò si scopre, attacca, ripiega, cerca alleati; mai come adesso l’Italia sembra così compiutamente immersa in una turbinosa realtà post-lateranense. Ma quali stati "indipendenti e autonomi"! Non solo sbiadiscono le istantanee di Mussolini e Craxi, la firma antica del 1929 e quella ormai pure remota del 1984, ma di colpo suonano vuote anche espressioni come "laicismo" o "interferenze".

L’altro giorno il giornale dei vescovi parlava di "assassinio" e davanti alla chiesa di Gesù operaio hanno fatto scoppiare una bomba carta: cosa si vuole di più per riflettere sulle condizioni del Concordato? Sconcordato, piuttosto: un patto rotto, un accordo in evidente stato di confusione, un attrezzo inservibile, nel migliore dei casi un simulacro. Non lo si dice qui per polemica, al modo dei radicali. Sono i fatti degli ultimi anni che parlano da soli, e danno la misura dello strappo, degli strappi: fecondazione assistita, istruzione privata, astensionismi, vittimismi, aborto, unioni civili, pressioni, anatemi. I

l contenzioso si allarga mese dopo mese, c’è sempre chi ci marcia e lo estende all’Ici, alle moschee, o all’immigrazione e a persino a una sorta di franchigia ecclesiale nella legge sulle intercettazioni telefoniche. Le sacre immagini sugli stendardi e i torpedoni al Family day, il Pontefice impedito di entrare all’università, i politici in preghiera e in passerella a piazza San Pietro, l’evocazione di "diavoloni frocioni" a piazza Navona. E baci berlusconiani all’anello pontificio, genuflessioni, commistioni di ruoli: l’altro giorno nella cappella Sistina, per un concerto in onore del fratello del Papa, c’era Gianni Letta - e vai a sapere se stava lì, e poi pure in foto sull’Osservatore romano, come sottosegretario alla presidenza o come Gentiluomo di Sua Santità.

Si sono smarriti i confini, ma questo complica le cose. Il sindaco di Roma invoca la benedizione papale sugli atti del Comune; il Cardinale Segretario di Stato celebra all’interno della Camera una messa "d’inizio legislatura"; la Binetti arruola il Signore nei risultati d’aula. E allora dal balcone di Montecitorio si sventola per polemica la bandiera vaticana; al concertone del primo maggio si prende di mira il Papa; al Gay Pride si oltraggiano i sacramenti. Così va, ritorsione dopo ritorsione.

E allora ecco Ratzinger nel video di Storace, poi sulle bandiere di Borghezio, "saremo le guardie svizzere del Pd" promettono i teo-dem, e "Il Vaticano tifa Pera" recita, testualmente, un titolo de Il Tempo, giornale tutt’altro che laicista. No, davvero non si invidiano i potenti italiani e i dignitari pontifici che nel bel mezzo della storia angosciosissima di Eluana e dell’aspro conflitto che ne deriva s’incontreranno sotto la loggia del Sansovino per poi sedersi sulle poltroncine di raso rosso e spalliera dorata, come se nulla fosse.

Come se davvero al giorno d’oggi bastasse un Concordato inserito a sorpresa da Togliatti nella Costituzione e trionfalisticamente revisionato 25 anni orsono da una partitocrazia già ansimante, per rimettere a posto le cose: là dove il vuoto ideologico sembra già colmato da un pieno di generici e sospetti "Valori" che ognuno, oltretutto, si tira spudoratamente dalla propria parte.

Eh no, stavolta è diverso, stavolta non mancano spunti per una quantità e varietà di conflitti. Codice da Vinci, crocifisso nelle aule, presepi identitari e creativi, ora di religione, scritte sui muri, filmati sui preti pedofili, commemorazione degli zuavi, rane crocifisse. Non c’è vicenda che non implichi un disagio, una frizione, un cortocircuito fra Stato e Chiesa. In provincia hanno ricominciato a litigare sulle ore in cui sciogliere le campane; la Littizzetto disturba oltre il Portone di bronzo; le nomine Rai debbono tenere presente i gusti dei tele-prelati; si torna a parlare dei peccati e pure del diavolo; sembra uno scherzo onomastico, una trovata felliniana per far colpo sugli stranieri, ma adesso c’è perfino il segretario della Cei che di cognome fa Crociata: monsignor Crociata, sul serio.

Serve a nulla rimpiangere la Dc, che per quasi mezzo secolo ha fatto da cuscinetto alle richieste vaticane. Al corto di idee e di progetti il centrodestra indossa i paramenti, si attacca alla mantella del Papa; mentre fin troppe volte il centrosinistra è paralizzato, subalterno, confuso. Tanti anni fa, per indicare un’auspicabile distanza, Giovanni Spadolini lanciò l’immagine del "Tevere più largo". Oggi non è nemmeno più stretto. Sembra un fiume in piena, grigio, gonfio e anche un po’ pauroso - come quello che s’è visto a Roma nel novembre scorso.


L’arrembaggio alla Costituzione

di Andrea Manzella (la Repubblica, 09.02.2009)

Negli ultimi quindici anni, l’unica vera e grande sconfitta del centro-destra avvenne il 25 e il 26 giugno del 2006: quando il 61,7 per cento degli elettori bocciò il progetto di revisione costituzionale del terzo governo Berlusconi.

Uno scarto di voti che non si era mai verificato prima, non si verificherà mai dopo. Chi percorse l’Italia, meno di tre anni fa (non di tre secoli fa) ricorda la modestia di quella campagna per il «no»: passaparola, riunioni mai troppo affollate, partiti distratti. Vi era però anche una accorata partecipazione cittadina, l’attenzione di chi rischia di perdere la propria carta d’identità. Queste qualità si capirono poi, in quella data d’estate che sembrava proibitiva e senza vincolo di quorum: quando andò a votare invece il 53,6% dei cittadini iscritti.

Sarebbe bene che di quei giorni e di quei conti si ricordasse il presidente del Consiglio che dichiara oggi una seconda guerra contro la Costituzione. Momento e terreno sono stati scelti con il consueto istinto. La strapotenza numerica parlamentare non vede flessioni di sondaggi. Il campo è quello vasto delle incertezze bioetiche. È in corso un lacerante dramma di coscienza popolare. Non c’è qui neppure l’ombra del pervasivo conflitto di interessi. Eppure, eppure.

Quando, com’è fatale, il casus belli si sarà allontanato e separato dal conflitto istituzionale di fondo. Quando le alleanze stipulate sulla tragedia di Udine rifiuteranno di estendersi ad un avventuroso disegno di potere senza garanzie. Quando questo, tra poco avverrà, riappariranno allora, con la loro forza impeditiva (al di là di quello che potrà fare l’opposizione parlamentare) le debolezze culturali ed etico-nazionali di un tale progetto di arrembaggio alla Costituzione. Vecchi e nuovi alleati obietteranno. Sarà chiaro a tutti che dal predellino di un’auto si possono cancellare vecchi partiti e inventarne uno nuovo. È più difficile cancellare una Costituzione e imporne una diversa.

Sarebbe bene però che di quelle giornate del giugno 2006 si ricordasse anche chi oggi ha il diritto-dovere dell’opposizione costituzionale (un aggettivo tradizionale che acquista ora una intensità di significato che non aveva prima). Non per cullarsi nell’illusione che alla fine avrà la meglio il radicamento popolare di istituzioni e libertà.

Nell’anno appena trascorso, il grande seminario popolare per i sessant’anni della Costituzione ci ha infatti detto, al di là della inevitabile retorica di certe celebrazioni, che abbiamo a che fare, nella vita politica e di ogni giorno, con una Costituzione problematica, con una Costituzione inquieta che chiede nuove letture: magari più radicali di nuove riscritture. Non è un testo che ci può fare addormentare tranquilli nel suo tran tran, nelle sue formule felici, ma è una «sentinella» che ci impone di stare svegli sui suoi principi e sui suoi equilibri: perché i pericoli sono cresciuti e le antiche difese si sono abbassate.

Ecco perché un’opposizione che voglia far fronte a questa nuova guerra, deve darsi una regola, un programma, un suo pensiero costituzionale, appunto. Che questo debba partire dalle garanzie è cosa da tempo evidente: non per impedire ma per consentire il «governo democratico» dello stato di eccezione permanente in cui viviamo. Di questo programma, di questo pensiero non si è vista finora traccia alcuna.

Da questo punto di vista, il presidente del Consiglio ha reso un servizio utile al paese. Rivelando il suo disegno punitivo della Costituzione, ha forse rotto le uova nel paniere di tanti suoi accorti negoziatori. Ma certo ha ridicolizzato quell’opposizione che, malata di cecità istituzionale, si accingeva a scambi ineguali, a patti leonini (con il leone), a cambiali in bianco. Da oggi tutto si svolge in clima di grande chiarezza: dopo che il premier ha rovesciato il tavolo degli equivoci, la trattativa sulle regole può ricominciare. Ma da oggi peseranno irreversibilmente: perché legate, per contrappasso, al ricordo irreversibile dell’attuale dramma alcune cose.

La prima cosa è che il premier rifiuta la garanzia del capo dello Stato. La rifiuta nella forma riservata che era ormai consuetudine repubblicana (Luigi Einaudi, chiuso il suo mandato, aveva raccolto, nel 1956, quei suoi «pareri» in un libro famoso: «Lo scrittoio del presidente»). La rifiuta come controllo di legittimità preventiva sul più «pericoloso» dei poteri del governo: decreti per fare norme legislative che entrano in vigore, prima ancora che il Parlamento se ne possa occupare.

La seconda cosa è che il premier ritiene che con un atto normativo urgente di governo sia possibile impedire l’attuazione, su una vicenda umana, di sentenze definitive emesse da tre ordini di giudici (civili, amministrativi, costituzionali) sulla base di principi della Costituzione, dopo un «giusto processo» iniziato nel 1999. Senza che il legislatore sia in tutto questo tempo intervenuto.

La terza cosa è che il premier considera che il metodo naturale per governare sia quello per decreto. Il ruolo del Parlamento viene dopo, a norme fatte e a rapporti giuridici iniziati sulla loro base.

La quarta cosa è che il premier contesta la stessa legittimazione originaria della Costituzione, scritta «con la presenza di forze che hanno guardato alla Costituzione sovietica come a un modello». Certo: si tratta di una vecchia manipolazione, ricorrente come i «protocolli di Sion».

Ed è inutile ricordare che l’influenza «sociale» dei cattolici e dei social-comunisti poté manifestarsi solo nei «compromessi» delle norme programmatiche della Costituzione: non certo sulle garanzie istituzionali. È inutile anche ricordare che quando la Costituzione fu votata, i social-comunisti erano già stati espulsi dal governo De Gasperi: e anzi era cominciata la loro esclusione «strutturale» dai governi del paese. È inutile pure ricordare che il 22 dicembre 1947 votarono per la Costituzione: Pietro Nenni e Palmiro Togliatti, ma anche Luigi Einaudi e Alcide De Gasperi; Giorgio La Pira ed Epicarmo Corbino; Aldo Moro ed Amintore Fanfani; Benedetto Croce e Giuseppe Dossetti.

È inutile ricordare tutto questo perché sono cose scritte anche nel più elementare dei libri di scuola. Se il premier preferisce invece la contrapposizione del non-vero è perché capisce che solo la collaudata tecnica propagandistica anticomunista può aiutarlo a tirar via dall’aria del paese un elemento, come la Costituzione, che vi è entrata quale fattore costitutivo e vissuto di cittadinanza: anche per chi non l’ha mai letta.

Ecco, con queste avvertenze, il dialogo può anche ripartire. Gli ultimi fatti italiani ci dicono, anzi, quanta misura di sicurezza istituzionale si debba ancora ricercare assieme.


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