Inviare un messaggio

In risposta a:
AL DI LA’ DELLA TRINITA’ EDIPICA. "DIO NON E’ CATTOLICO" (Carlo M. Martini). E LA "CHARITAS" NON E’ LA "CARITAS" (Benedetto XVI, Deus caritas est, 2006)!!!.

LA VITA, L’ETICA E LA VERITA’ E IL LORO FONDAMENTO NASCOSTO, L’AMORE (DEUS CHARITAS). Come un "padre" diventa "figlio del suo figlio" - e il figlio "padre del suo padre" ... Una parabola per riflettervi - a cura di Federico La Sala

sabato 13 settembre 2008 di Maria Paola Falchinelli
«Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei (...)

In risposta a:

> LA VITA, L’ETICA E LA VERITA’ E IL LORO FONDAMENTO NASCOSTO --- Il coraggio del figliol prodigo di sfidare il padre (di M. Recalcati)

domenica 10 aprile 2016

AL DI LA’ DELLA TRINITA’ EDIPICA. "DIO NON E’ CATTOLICO" (Carlo M. Martini). E LA "CHARITAS" NON E’ LA "CARITAS" (Benedetto XVI, Deus caritas est, 2006)!!!


I tabù del mondo

Il coraggio del figliol prodigo di sfidare il padre

-  Il protagonista della parabola raccontata dall’evangelista Luca fugge dalla famiglia e finisce in povertà
-  Ma la sua sfacciata ribellione, la sua richiesta di avere subito la sua parte di eredità è molto attuale: “I nostri ragazzi non sono forse animati dalla stessa spinta al godimento immediato?”
-  È irresponsabile, infrange la Legge, ma è capace di compiere un atto fuori dalla tutela garantita del genitore. Non come il fratello, passivo e risentito

di Massimo Recalcati (la Repubblica, 10.04.2016)

Quale è la forza della parabola evangelica del figliol prodigo? Essa ci porta nel vivo del complesso rapporto tra padri e figli. La sua straordinaria attualità è evidente sin dalla sua apertura: il figlio minore reclama il diritto a ricevere subito la parte dell’eredità che gli spetta schierandosi apertamente contro la Legge ebraica che imponeva che l’eredità potesse essere divisa solo dopo la morte del padre. Egli sfida sfacciatamente il tabù del padre; non ha timore, non retrocede.

La sua domanda incarna una esigenza che non può essere differita e che non conosce mediazioni. La sua forma è imperativa come riporta l’evangelista Luca. Il figlio si rivolge al padre dicendogli: «Dammi!». Il padre viene inchiodato a commettere un atto contro la Legge: dare al figlio minore la sua parte di eredità pur essendo ancora in vita. Non è questa una cifra del nostro tempo, come ricorda in un intenso commento di questa parabola Paolo Farinella in Il padre che fu madre (Gabrielli editori, 2010)?

I nostri figli non sono forse animati da domande imperative, dalla spinta a realizzare il prima possibile un godimento che non tollera più alcun differimento? Non è questo forse uno scoglio sul quale sembra infrangersi il discorso educativo contemporaneo?

L’esclamazione «Dammi!» misconosce il debito ribaltandolo in un credito infinito. Essere figli non implica l’iscrizione della vita nella catena delle generazioni che ci hanno preceduto, non implica alcun debito simbolico ma solo un credito sconfinato. Il figlio minore non assume nessuna responsabilità se non quella della sua domanda impaziente.

E, tuttavia, è proprio questo figlio irresponsabile che infrange la Legge, che abbandona la casa del padre mettendosi in moto verso un paese lontano, il solo capace di compiere un atto fuori dalla tutela garantita del padre. Tra i due figli del padre è quello più giovane, più libero, meno vincolato al debito a compiere un passo giusto al di fuori dalla famiglia. Al contrario, il fratello maggiore resta schiacciato da una responsabilità che egli interpreta solo in modo sacrificale, come fedeltà passiva e obbediente al padre. Nella sua ottica miope e risentita il giusto erede è colui che si limita a ripetere la scelta del padre.

In questo modo la parabola lucana evidenzia due peccati contrapposti che sembrano definire due fallimenti differenti dell’eredità. Il più giovane pecca per misconoscimento del debito, mentre il primogenito per una sua interpretazione solo sacrificale; il primo sceglie la via improduttiva della rivolta nei confronti del padre, mentre il secondo quella, ugualmente improduttiva, della obbedienza rinunciataria e risentita.

Per entrambi l’accesso ad una giusta eredità resta precluso. E, tuttavia, tra i due il solo capace di trasformazione è il più giovane. Conosciamo la storia: sperpererà la sua parte di eredità in un paese lontano, finirà povero a contendere le ghiande ai porci. E quando deciderà di ritornare a casa resterà ancora incapace a cogliere la radice profonda del gesto del padre che lo ha lasciato andare e che ora si appresta a festeggiare il suo ritorno. In realtà nessuno dei due figli sa davvero cosa può essere la solitudine di un padre.

L’irrequietezza rivoltosa del più giovane e la fedeltà risentita del primogenito sono solo due interpretazioni nevrotiche del dono paterno. Ma solo il figlio che ha rischiato di perdersi potrà davvero conoscerlo. Il padre non punisce il figlio che ritorna, non applica su di lui la Legge, non lo castiga. Questa sarà piuttosto l’attesa delusa del fratello maggiore.

Il padre spiazza la Legge perché corre incontro al figlio, lo abbraccia, lo riveste convocando una festa in suo onore. Perché? Scegliendo la via del perdono offre la possibilità al figlio di conoscere una nuova versione della Legge. Non quella che punisce, che sentenzia. Il padre della parabola è un padre capace di amare perché capace di perdonare, ovvero di sospendere l’applicazione automatica della Legge nel nome dell’esistenza di un’altra Legge.

Il padre accoglie il figlio che ritorna e solo in questo gesto lo può davvero ritrovare come figlio, o, meglio, lo fa nascere una seconda volta come figlio giusto. È questo il nucleo più profondo della parabola: non è forse la forza straordinaria del perdono a rendere possibile il miracolo della resurrezione? A consentire il ritrovamento di chi si è perduto, a consentire una seconda possibilità? È questa l’immagine evangelica del pastore che si preoccupa dell’eccezione inquieta della pecora smarrita trascurando la normalità tranquilla del resto del gregge. Il comportamento del pastore appare scriteriato dal punto di vista della ragione: perché mettere a repentaglio un patrimonio intero per rincorrere una sola pecora? Egli però si allarma perché vuole dare testimonianza del fatto che «gli uomini non sono fatti per la Legge», ma è la «Legge che è fatta per gli uomini».

Il padre sa bene che la festa in onore del figlio spiazza ogni applicazione canonica della Legge aprendo la porta all’evento sempre possibile della grazia. Ma non dobbiamo leggere in questa apertura imprevedibile, ma possibile, dell’eccezione la differenza tra il Dio biblico e quello pagano che, invece, condanna spietatamente il figlio-Edipo al suo irrevocabile destino di figlio perduto, incestuoso e parricida? Non è forse per questa ragione che il Dio cristiano è sempre più interessato agli atei che non ai credenti? Che la sua gioia è maggiore «per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione » (Lc, 15,7.10)?


Questo forum è moderato a priori: il tuo contributo apparirà solo dopo essere stato approvato da un amministratore del sito.

Titolo:

Testo del messaggio:
(Per creare dei paragrafi separati, lascia semplicemente delle linee vuote)

Link ipertestuale (opzionale)
(Se il tuo messaggio si riferisce ad un articolo pubblicato sul Web o ad una pagina contenente maggiori informazioni, indica di seguito il titolo della pagina ed il suo indirizzo URL.)
Titolo:

URL:

Chi sei? (opzionale)
Nome (o pseudonimo):

Indirizzo email: