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AL DI LA’ DELLA TRINITA’ EDIPICA. "DIO NON E’ CATTOLICO" (Carlo M. Martini). E LA "CHARITAS" NON E’ LA "CARITAS" (Benedetto XVI, Deus caritas est, 2006)!!!.

LA VITA, L’ETICA E LA VERITA’ E IL LORO FONDAMENTO NASCOSTO, L’AMORE (DEUS CHARITAS). Come un "padre" diventa "figlio del suo figlio" - e il figlio "padre del suo padre" ... Una parabola per riflettervi - a cura di Federico La Sala

sabato 13 settembre 2008 di Maria Paola Falchinelli
«Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei (...)

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> LA VITA, L’ETICA E LA VERITA’ E IL LORO FONDAMENTO NASCOSTO, L’AMORE (DEUS CHARITAS). ---- Il Padre che fu madre. Una lettura moderna della parabola del Figliol Prodigo (di don Paolo Farinella - intervento).

martedì 25 gennaio 2011


-  Il Padre che fu madre
-  Una lettura moderna della parabola del Figliol Prodigo

Trascrizione dell’incontro di presentazione dell’ultimo libro di don Paolo Farinella tenutosi a Roma il 19 gennaio 2011

-  [INTERVENTO - RIPRESA PARZIALE] *

Paolo Farinella (Autore):

[...] Premetto che non sono un teologo, né voglio esserlo, con tutto i lrispetto per i teologi e le teologhe. [...] Sono trent’anni o grosso modo che mi cimento con l’introduzione al Vangelo di Giovanni e sono ancora fermo lì. Quindi ci sono specializzazioni, ci sono puntualizzazioni, però non bisogna mai perdere l’orizzonte della Bibbia. [...]

[...] oggi credo che il servizio sia questo. Altrimenti finiamo in quelle aberrazioni che stiamo vedendo nei nostri giorni [...] ho contestato il libro del papa su Gesù di Nazaret, perché lui non ha competenza su Gesù di Nàzaret.

Perché come papa non può scrivere un libro su Gesù di Nàzaret, perché commette un illecito e, da un punto di vista etico, commette un delitto. Perché nel momento in cui tu papa scrivi un libro su Gesù di Nazaret, tu devi sapere, anche se poi a pag. 19 e 20 della tua introduzione tu mi dici che ti possono criticare perché questo è frutto della tua ricerca, ma tu sai bene che lo useranno come testo di catechesi nelle parrocchie perché diranno: “questo è affidabile perché l’ha detto il papa!” Questa è la mistificazione. [...]

[... ] noi oggi non comprendiamo il 90% del vangelo perché lo leggiamo con una mentalità latina, con una mentalità occidentale e non lo incarniamo nel suo contesto naturale che è giudaismo. I vangeli sono scritti giudaici del I secolo d.C. e per un periodo di tempo, anzi direi che è uno dei motivi della scomunica che si sono dati gli ebrei rispetto ai cristiani e viceversa, è stato proprio questo, perché ad un certo m omento i cristiani pretendevano di leggere come parola di Dio i testi del Nuovo Testamento.

[...] Ma come si fa a leggere il Nuovo Testamento senza comprendere che il Nuovo Testamento usa la traduzione della Bibbia della LXX come testo di riferimento?

Allora per capire le singole parole, per capire le singole frasi, per capire il testo, il contesto, il metodo storico-critico che oggi è in crisi perché prendono piede altri metodi ... per esempio oggi il metodo comunemente utilizzato è il cosiddetto “metodo narrativo”. Cioè si prende non più un testo piccolo, ma un testo nella sua totalità, si esamina nella sua totalità e lo si mette a confronto con tutta la scrittura - ed è questo il midrash ebraico - confrontare la scrittura con la scrittura.

Mi sembra di aver trovato questa chiave nel fatto che i primi cristiani son ebrei, che leggono la Bibbia con la mentalità e la cultura ebraica e applicano i metodi esegetici ebraici. E nel vangelo è pieno, bisogna tirarli fuori. Questa parabola, che non sappiamo da dove viene, perché come si dice tecnicamente è un hapax legomenon, cioè una ‘cosa detta una sola volta’, e si trova in Luca. Però noi sappiamo che Luca è, dei tre evangelisti sinottici, il più tardo nel tempo, verso la fine del I secolo. Da dove lo deriva? Noi dal suo vangelo sappiamo che ha delle fonti sue, sicuramente dipende da Marco, conosce Matteo, però ha accompagnato Paolo nei suoi viaggi. Qual è il tema di fondo di Paolo? Il tema di fondo di Paolo è la giustificazione, su questo non ci piove. Questo poi è compito dei teologi dare le spiegazioni e fare la struttura. Perché la giustificazione è il tema centrale di Paolo? Per un semplice motivo di ordine storico: perché i primi cristiani hanno avuto problemi di convivenza tra ebrei e greci. I greci dovevano essere considerati cristiani di seconda categoria e dovevano diventare prima ebrei e poi diventare cristiani.

E’ a questo che si oppone Paolo. Paolo annuncia una libertà di adesione a Cristo perché è l’unico mediatore; non più il sacerdozio, non più il tempio e neanche la struttura, che anche nelle comunità di Paolo già si ha, e forse anche nella comunità giovannea. L’unica mediazione è l’accesso all’incontro con Gesù Cristo mediante la fede. Penso che un giorno senza nemmeno accorgercene ci sveglieremo e non ci troveremo più né cattolici, né protestanti, né musulmani, ma semplicemente credenti in Dio. Il giorno in cui accadrà questo il vangelo sarà compiuto. [...]

Credete voi nelle cose che Dio ha rivelato? Rispondono gli ebrei: “Noi crediamo nelle cose che Dio ha rivelato a noi!” Non che ha rivelato a tutti, a noi. Però all’interno di queste tradizioni noi troviamo degli spiragli, ad esempio le leggi di Noè, che hanno un respiro universale - e questo lo ammettono anche gli Ebrei oggi. Le leggi di Noè sono per tutti, ma non i comandamenti di Mosè che sono per gli Ebrei. Ecco se noi andiamo alla natura, all’osso delle cose, scopriremo delle sorprese, e la sorpresa che io ho scoperto ... mi sembra di capire che, applicando le regole dell’esegesi di Rabbì ben Eliezer che si usavano all’epoca di Gesù in modo comune, e sono 32 regole esegetiche che gli ebrei utilizzavano, Luca, che conosce bene il mondo ebraico, anche perché, tra gli evangelisti, è l’unico che riesce ad usare lo stile semitico della LXX, specialmente nei primi due capitoli, quelli dell’infanzia che sono scritti per ultimi ... allora Luca fa un’applicazione, a modo giudaico, del capitolo 31 di Geremia.

E’ il capitolo famoso che poi verrà ripreso da Gesù nell’ultima cena. “Io concluderò con la casa di Israele una nuova ed eterna alleanza”, questo è l’ultimo versetto, Ger 31,31, però se voi leggete il capitolo 31 tutto per intero, che viene riportato per esteso ... perché uno dei modi con cui io scrivo è questo: quando faccio delle citazioni importanti, le riporto sempre per esteso, perché uno che legge deve poterlo vedere immediatamente, e adesso le metto in parallelo così che ci si possa rendere conto delle somiglianze che delle differenze.

E metto in evidenza, a pag. 55 mi pare, questo confronto tra queste figure che si trovano nel profeta Geremia, che c’è un uomo con due figli, poi abbiamo una donna con dei figli che piange i suoi figli, abbiamo i due figli, e via di seguito, le pecore anche qui. Ed è un commento nuovo. Il tema dell’alleanza di Geremia applicato utilizzando una parabola che Luca recupera probabilmente dalla tradizione orale, oppure la inventa lui di sana piante, ed esplicita l’insegnamento di Paolo, cioè che non c’è più greco né giudeo né uomo né donna, ma c’è soltanto l’uomo, la persona, l’individuo in Cristo.

E’ il concetto della salvezza universale rinchiuso nella dinamica del vangelo. E poi come si propone questa dinamica e questa salvezza nel testo di Luca? Si propone attraverso una modulazione che è tutta particolare. E bisogna leggerla in greco per capirla. Perché, intanto dice che è un uomo e non dice chi è. Come giustamente è stato detto non c’è la madre, perché nel contesto in cui Luca scrive, ed è il contesto sia dell’Antico che del Nuovo Testamento, basta leggere Esodo 20,17 nell’ultimo comandamento, “Non desidererai la casa del tuo prossimo; non desidererai la moglie del tuo prossimo, il suo servo, la sua serva, il suo bue, il suo asino, e tutto quello che è del tuo prossimo”.

La donna è mero possesso dell’uomo. E devo fare anche una precisazione, secondo la mentalità ebraica, non è la donna che trasmette la vita. Secondo la mentalità ebraica è l’uomo che trasmette la vita, la donna è soltanto un contenitore che tiene in caldo il seme della vita, tant’è vero che in greco si usano due verbi distinti: uno è gennáo per ‘generare’, l’altro è tìktō, esclusivo per la donna, che significa ‘partorire’; la donna non genera. E’ evidente che in una cultura del genere, l’immagine di Dio è un’immagine proiettata, è evidente. Ma non è compito mio di biblista fare applicazioni, farei “eisegesi”, cioè immetterei nel testo quello che nel testo non c’è. Però sono convinto che se gli evangelisti scrivessero oggi avrebbero di Dio un’immagine diversa.

Tenuto presente Giovanni 1,18 in cui si dice che Dio nessuno lo ha mai visto e, se nessuno ha mai visto Dio, come facciamo a parlare di Dio? Io credo che noi possiamo parlare solo di Gesù Cristo. E di Gesù Cristo sempre lo stesso versetto 18b di Giovanni ci dice che lui ha fatto l’esegesi del volto del Padre. Il testo greco dice che ha fatto l’esegesi. Allora io devo ascoltare la persona di Gesù perché è soltanto lui che ha visto il Padre.

E quando vi dicono che Dio compare qui o compare lì, che la madonna è apparsa qua o là, sappiate che viene dal demonio, perché Dio e la madonna sono persone serie e non vanno in giro ad apparire né di giorno né di notte. E sappiate anche che, in base alla teologia cattolica tradizionalissima - e io mi appello a questa teologia - non sono tenuto a credere né a Lourdes né a Fatima, né alla madonna del pero, né alla madonna del bosco, né alla madonna della foresta, né alla madonna che piange, né alla madonna sanguigna, né alla madonna sempre madonnara.

E io non credo a queste apparizioni e con questo sono perfettamente cattolico sino al midollo dell’osso. Se poi ci aggiungete padre Pio la frittata è colma! Perché quella è l’oscenità del sacro che no c’entra niente con un rapporto di fede. Ecco perché dico che dobbiamo ritornare esclusivamente alla nuda parola di Dio prenderla e sminuzzarla parola per parola, e assaporarne la valenza. Per esempio quando mi dice che questo padre ha due figli, è chiaro se voi leggete il resto e il contesto di tutto il vangelo, e leggete l’Antico Testamento - e credo di aver riportato quasi tutti i rapporti che ci sono nella Bibbia, voi vedete che il rapporto tra fratelli potrebbe essere una filigrana di lettura.

Se leggete il capitolo sulla legge della impossibilità. Perché vince sempre il secondo che giuridicamente non aveva nessun diritto? All’epoca di Gesù il patrimonio non poteva essere diviso perché ereditava soltanto il figlio maggiore. Il figlio minore aveva un terzo di eredità, che per non poteva vendere, era titolare ma non poteva disporne, perché la proprietà non poteva essere divisa. Il figlio maggiore rappresentava la tutela della proprietà.

E questo è stato fino a Napoleone. Grosso modo nel XVII secolo i monasteri, i conventi erano pieni di figli secondogeniti per non sperperare il patrimonio. Il motivo per cui nella chiesa cattolica si ostina a difendere il celibato non credete che sia per motivo di assimilazione a Cristo, queste sono balle che hanno voluto far credere! Ma il vero motivo dal X secolo in avanti, con l’XI secolo in modo particolare in Francia, è per garantire la legittimità del figlio del re di Francia e per impedire che il prete sposato possa intaccare il patrimonio della chiesa.

Questo è il vero motivo detto papale papale. E non motivi spirituali. Se poi i teologi o gli spiritualisti o gli ascetici vogliono farci degli arzigogoli sopra sono liberi di fare quello che vogliono, però siano onesti nel dire quali sono i veri motivi. Un Padre aveva due figli, il fariseo e pubblicano che stanno nel tempio. E poi ci sono tanti altri, per esempio Esaù e Giacobbe e via di seguito. Nel libro cerco di spiegare questi rapporti, Pharez e Zerah, quello che nasce prima viene dopo, quello che doveva nascere dopo viene prima, e c’è tutto un casino che si sviluppa proprio per affermare un principio, che è il principio paolino della prima lettera ai Corinzi, che Dio sceglie nel mondo tutto ciò che non conta niente per affermare il regno di Dio. Non dovrebbe essere questo un principio nella chiesa oggi? Non dovrebbe essere questa la pastorale? Non dovrebbe essere questo l’annuncio profetico? Non dovrebbe essere questo quello che il papa dal balcone, o il cardinale Bertone dal balchino, dovrebbero gridare davanti a un Berlusconi su questo governo? Non dovrebbero dire: “E’ il secondogenito che ha diritto, cioè sono i poveri che hanno diritto, che devono essere tutelati”?

Questo dovrebbe dire la chiesa, questo dovrebbe gridare e no semplicemente andare a pranzo, di giorno, di notte, come i carbonari, per sollecitare interessi vergognosi, perché in questo modo noi nascondiamo il vangelo, anzi lo rinneghiamo il vangelo. Dice Paolo: “Dio non sceglie le cose che contano”, anche perché aggiunge poco prima che “soltanto lo Spirito è capace di leggere le profondità di Dio”. Allora bisogna veramente diventare spirituali per poter leggere le profondità di Dio. Perché soltanto nello Spirito del risorto noi possiamo incontrare Dio. Che cosa dice il figlio minore al padre? Il figlio minore guardate non vuole semplicemente andarsene di casa. Il figlio minore fa una richiesta precisa. Purtroppo le traduzioni non rendono. Voi sapete qual è il sistema delle traduzioni? La CEI, prendendo atto che il popolo di Dio non conosce la scrittura, ha fatto la scelta liturgica, cioè quella del testo che si capisca subito e che abbia un buon suono e che sia orecchiabile, anche a scapito del significato. Io preferisco una traduzione più stridente, ma che sia più letterale e profonda e poi magari si spiega.

Allora, invece di perdere tempo a fare lettere pastorali, a fare piani pastorali, a fare progetti culturali e via di seguito ... sono cinquant’anni ormai che facciamo queste cavolate qui. Bastava semplicemente fare un solo documento di una pagina e dire: “Da oggi in poi si fa solo Bibbia, Bibbia, Bibbia. Bibbia la mattino, Bibbia al pomeriggio, Bibbia alla sera. Bibbia prima dei pasti, dopo i pasti. Bibbia prima delle cure, dopo le cure, prima delle vacanze e dopo le vacanze. Bibbia, Bibbia, Bibbia!”

Se avessero formato un gruppo enorme di biblisti e li avessero sparsi per il paese, noi oggi avremmo un popolo di Dio che almeno può prendersi la scrittura e leggersela tranquillamente. Ma è quello che non si vuole, perché la parola di Dio deve essere sempre mediata da qualcuno, perché se non è mediata da qualcuno, l’autorità per come viene intesa, cioè come possesso delle coscienze, va a farsi fottere tranquillamente.

Allora il lavoro che bisogna fare, a mio parere, è proprio questo [...] E’ mio compito oggi restituire tutte queste cose e restituirle con gli interessi! Perché io non appartengo a me stesso, ma appartengo a una comunità, sono figlio di una comunità e non posso tenerle solo per me. Ecco perché nella preparazione di questa grammatica sono arrivato a sei, sette lezioni, che è faticosissimo perché alle volte, in una giornata, scrivi solo due righe, tre righe, perché devi cercare in tutta la Bibbia greca dell’Antico Testamento, in tutti i libri, devi trovare la forma e poi metterla a confronto con testo ebraico. Poi devi dire il passaggio che c’è stato nelle varie poche, e diventa un lavoro appassionante.

Il Card. Martini, quando ci incontravamo in Gerusalemme, mi diceva: “Don Paolo sono queste le cose che dobbiamo fare perché la gente possa avere in mano gli strumenti per poter leggere la Bibbia per conto proprio e non necessariamente andare in una chiesa per avere una spiegazione”. Tu devi andare in chiesa per incontrarti con la tua comunità e condividere la parola perché non è più una parola sola per te, ma una parola che diventa profezia e questa profezia deve essere gridata, deve essere annunciata.

La richiesta che fa il figlio al padre è una richiesta fondamentale: “Padre, dammi la parte di vita che mi spetta”. Non dammi la parte del patrimonio. In greco usa il termine “ousìa - natura”, dammi la parte della tua natura. E subito dopo il padre - notate il gesto eucaristico - “prese la sua vita e la spezzò tra i due figli”. Questo è il compito di Dio, spezzarsi per darsi. E’ l’Eucaristia.

Quando il figlio va lontano non va lontano. Il verbo greco è apedêmēsen. E apedêmēsen è un aoristo che significa ... qui c’è il problema dell’aoristo con cui io ho problemi, perché in base alla scuola di Niccacci, dipende da dove si trova, e cioè nella lettura narrativa bisogna vedere dove è collocato il verbo principale, cioè in quale linea, in una linea di primo piano o secondaria, ecc. Però io qui non voglio fare questo discorso specialistico. Voglio dire solo che il verbo apedêmēsen viene da apò demèō, dèmos - popolo: “Il figlio, andandosene con la vita del padre, si allontanò dal suo popolo”. Non è semplicemente andare lontano, ma è staccarsi dalla sua identità. E infatti, secondo la traduzione italiana, aggiunge che “visse da dissoluto”. In greco non dice che visse da dissoluto, in greco dice che visse da “asôtos”, un avverbio che indica “senza salvezza”. Vi rendete conto che non è semplicemente una parabola. Quando ero giovane prete non ho mai fatto cantare “mi alzerò e andrò da mio padre ...” nel tempo di Quaresima, perché in tempo di Quaresima c’è tutto questo sciorinamento di questo figlio che si converte.

Ma non è così. Il figlio non si converte e non ritorna per amore del amore del padre, non ritorna perché è pentito, non ritorna per la coscienza di aver fatto male, ritorna perché vuole mangiare, ed è disposto anche a diventare schiavo del padre, non più figlio, pur di sbarcare il lunario e avere un piatto di minestra. E non c’è amore in questo, non c’è compassione in questo. E lo vedo sullo stesso piano dell’altro figlio che Rembrandt ... se voi guardate il quadro che si trova all’Ermitage di San Pietroburgo, se voi guardate il quadro per intero, voi vedete che il figlio maggiore è rappresentato dietro, sul nero, con un pugnale in mano.

E questo pugnale indica che il fratello desiderava la morte del fratello minore, cioè c’era una competizione tra di loro. Ed è la competizione che si trova nella chiesa primitiva fra gli ebrei che si considerano figli prediletti e i greci che invece non devono far parte allo stesso titolo della stessa chiesa. Ed è contro questa impostazione che Paolo si scaglia. E oggi è contro un’umanità di fronte a cui ci troviamo e verso cui la chiesa, o parte di essa, fa delle esclusioni perché si identifica in una civiltà e in una cultura. L’eresia di oggi è affermare che il cristianesimo è identificabile come civiltà occidentale. Non esiste un cristianesimo occidentale. Nella mia chiesa noi diciamo il Padre Nostro - per quattro anni l’abbiamo detto - in aramaico. E da domenica scorsa l’abbiamo iniziato in greco, proprio per far capire dal punto di vista dei segni, che la lingua di Gesù, cioè il cristianesimo nasce in Oriente: Avunà di bishmaiàh itkaddàsh shemàch tettè malkuttàch tit’avèd re’utàch, non sembra di sentire un arabo? Come possiamo dire che il cristianesimo si identifica con la civiltà occidentale? Questa è una bestemmia! Il cristianesimo si identifica con Gesù Cristo, il quale deve essere detto e letto in ogni lingua, in ogni cultura e ambiente può essere annunciato.

E deve essere letto con le categorie specifiche di ciascuno [...]

Allora imparare la parabola del figliol prodigo come chiave ermeneutica di tutto il vangelo significa annunciare oggi al mondo che Dio non è il giudice perverso che sta attengo se metti un piede fuori della riga e ti spara subito una pallonata per riportarti in riga all’interno di regole morali, perché il cristianesimo è stato ridotto ad una morale, direi di più, ad una ossessione sessuale. Questo è il limite forte. Mentre l’annuncio che mi sembra di ricavare da questa parabola è che in Dio in concetto di amore si identifica col concetto di giustizia, e il concetto di giustizia si identifica col concetto di amore. Detto in parole più semplici, Dio è giusto perché ama.

* Il Dialogo, Martedì 25 Gennaio,2011 Ore: 14:41 (RIPRESA PARZIALE).


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