Inviare un messaggio

In risposta a:
"Meditate che questo è stato" (Primo Levi)

SHOAH - STERMINIO DEL POPOLO EBRAICO. 27 GENNAIO: GIORNO DELLA MEMORIA - LEGGE 20 luglio 2000, n. 211, DELLA REPUBBLICA ITALIANA - a cura del prof. Federico La Sala

domenica 10 dicembre 2006 di Emiliano Morrone
Istituzione del "Giorno della Memoria" in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti.
In data 20 luglio 2000 è stata promulgata dal Presidente della Repubblica, dopo l’approvazione della Camera dei Deputati e del Senato, la seguente legge:
Art. 1.
La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (...)

In risposta a:

> SHOAH - STERMINIO DEL POPOLO EBRAICO. --- Negazionismo.Storia e significato di una idea senza fondamento scientifico (di Bernardo Valli, David Bidussa, Adriano Prosperi).

martedì 3 febbraio 2009


-  Negazionismo

-  Storia e significato di una idea senza fondamento scientifico
-  Una corrente di pensiero che non ha nulla di "scientifico", come pretende, ma che è invece un’ideologia, meglio una setta religiosa
-  Il vescovo lefebvriano Williamson riporta d’attualità
-  le tesi di chi sostiene che la Shoah non ha mai avuto luogo

-  Gli assassini della memoria che cancellano l’Olocausto

-  I ripetuti assalti alla verità dei cosiddetti "revisionisti"
-  hanno dimostrato la necessità di
-  non permettere che la memoria venga cancellata

di Bernardo Valli (la Repubblica, 03.02.2009)

I sostenitori del negazionismo cercano di dare basi scientifiche alle loro tesi. Perlomeno lo sostengono. Il loro principale obiettivo è di dimostrare che il genocidio degli ebrei non è mai avvenuto. L’Olocausto sarebbe un mito, creato al fine di favorire gli interessi degli ebrei nel mondo, e giustificare la nascita e la difesa di Israele; sarebbe una colossale invenzione tesa a screditare, a demonizzare, la Germania di Hitler.

Oggi le tesi dei negazionisti, dei quali la maggiore espressione è l’Institute for Historical Review, fondato da Dave McCalden (ex membro del National Front) alla fine degli anni Settanta negli Stati Uniti, affermano con argomentazioni variabili secondo i "ricercatori":
-  1) che non sono mai esistite camere a gas per uccidere gli ebrei e che se sono esistite servivano, stando ad alcuni, per sterminare i pidocchi di cui Auschwitz era infestato;
-  2) che i nazisti non si proponevano di uccidere gli ebrei, ma semplicemente di rinchiuderli nei campi;
-  3) che il numero degli ebrei morti durante la Seconda guerra mondiale è di gran lunga inferiore a quanto si denuncia.

Questi, in sintesi, i principi su cui si basa il negazionismo. Ai quali si devono aggiungere molte altre affermazioni più specifiche, o "scientifiche", contenute in una vasta pubblicistica o espresse durante il congresso (o nel periodico) dell’Institute for Historical Review. Cito, a titolo di esempio, soltanto alcuni degli argomenti usati dai negazionisti in testi presentati come saggi di revisionismo storico. Secondo il Leuchter Report l’inesistenza delle camere a gas sarebbe provata dall’assenza di residui di cianuri negli ambienti di Auschwitz- Birkenau destinati allo sterminio. È inoltre impossibile credere, secondo i negazionisti, che gli inservienti, anche se dotati di maschere, potessero entrare subito, come si racconta, nelle camere a gas dove giacevano fino a millecinquecento cadaveri, senza che essi stessi venissero uccisi a loro volta dai miasmi letali. In quanto al cielo di Auschwitz, dalle fotografie aeree fatte dagli americani, non risulterebbe nascosto da una costante nuvola di fumo nero uscito dai forni crematori, come viene descritto. E le immagini dei prigionieri scarnificati, riprese sempre dagli americani? Lo stato di quei prigionieri sarebbe dovuto all’abbandono, senza cibo e medicine, per giorni e giorni, in seguito allo sfaldamento del fronte tedesco. Insomma Auschwitz sarebbe «una truffa».

Non c’è bisogno di sottolineare che, nonostante le pretese, il negazionismo non abbia nulla di scientifico e neppure scalfisca gli studi e le testimonianze dirette sulle tecniche di sterminio nei campi di concentramento nazisti.

Il negazionismo è un’ideologia. Meglio ancora, si è di fronte a una setta religiosa, come diceva lo storico francese Pierre Vidal-Naquet, precisando che si trattava di una setta simile a quella che «Weber opponeva con ragione alla Chiesa». È un’opposizione settaria al culto dominante. Vidal-Naquet ricorse a quella definizione quando si presentò il caso di Roger Garaudy: un professore di filosofia via via convertito al protestantesimo, poi al comunismo (diventando un dirigente del Pcf), poi al cattolicesimo e infine all’islam. Approdato a quest’ultima religione, Garaudy abbracciò e difese pubblicamente le tesi negazioniste, compiendo un’altra tappa nella sua agitata vita spirituale o ideologica. Fu singolare il sostegno, altrettanto pubblico, che gli dette l’Abbé Pierre, considerato da molti francesi un santo vivente. In seguito l’Abbé Pierre si corresse e si capì che il suo era stato un eccessivo e irresponsabile slancio d’amicizia.

Pierre Vidal-Naquet fu uno dei primi ad affrontare i negazionisti (emersi negli anni Settanta) con una serie di articoli raccolti in un libro: Gli assassini della memoria (Viella 2008). Egli rifiutò tuttavia di dibattere faccia a faccia con loro. Non erano interlocutori accettabili.

Specialista dell’antica Grecia e impegnato con passione nel denunciare la tortura durante la guerra d’Algeria, Vidal-Naquet non aggirava i problemi. Come storico e come ebreo scandiva l’atteggiamento verso la Shoah in tre distinti momenti. Alla Liberazione nessuno si era interessato ai deportati ebrei. Si era poi passati a un interesse esclusivo, specifico, per il genocidio di cui erano state le vittime. E c’è stata a questo punto - ed è il terzo momento - una sacralizzazione della Shoah, a suo parere rischiosa: perché la Shoah non deve essere considerata un culto, suscettibile di creare un anti-culto, ossia un’eresia. Né deve essere uno strumento politico. È un genocidio che, insieme agli altri (quello simultaneo degli zingari, quello precedente degli armeni a opera dei turchi, o quello successivo nel Ruanda), deve impegnare gli storici, cui spetta di tener viva la memoria. Vidal-Naquet era contrario alla legge che condanna chi nega i crimini contro l’umanità, perché può far apparire i negazionisti come dei perseguitati. Si può capire, e condividere, il rigore di Vidal-Naquet, quando sottolinea il rischio implicito nella sacralizzazione o nell’uso politico della Shoah, ma è comprensibile, o addirittura inevitabile, che questo avvenga poco più di mezzo secolo dopo, quando i ricordi sono ancora vivi e sono mantenuti tali, anzi sono arroventati, dalla tragedia mediorientale.

I negazionisti vogliono essere considerati dei revisionisti. Una qualifica cui non credo abbiano diritto. Non è revisionista l’intellettuale impegnato a contrastare la realtà, concretamente provata, di un fatto storico, la cui veridicità non richiede supplementi di indagine. Il revisionismo ridefinisce il giudizio su un evento, ne dà un’interpretazione diversa, non ha come fine la sua cancellazione. La storiografia è una continua revisione. Il negazionismo è dettato da un’ideologia.

Per evitare che la scomparsa di testimoni viventi favorisca le tesi negazioniste, Claude Lanzmann ha realizzato con anni di lavoro il suo documentario di nove ore sulla Shoah, basato non sulle immagini ma su una straordinaria e sconvolgente serie di testimonianze dirette, destinate a restare quando si passerà definitivamente dalla memoria alla storia.

Se si scorrono le liste dei partecipanti al congresso dell’Institute for Historical Review si trovano i nomi di Carlo Mattogno, il negazionista italiano più noto, di Bradley Smith, fondatore del CODOH (Comitato per un aperto dibattito sull’Olocausto), di David Irving, autore di Hitler’s War, libro che ha mobilitato tanti tribunali, e di Robert Faurisson, il professore dell’Università di Lione, diventato un autore di riferimento per molti negazionisti. Nel 1992, durante un raduno negazionista in Germania, Irving dichiarò che la camera a gas ricostruita ad Auschwitz era un falso fabbricato dopo la guerra. Nel 2000 il tribunale britannico che trattò la causa per diffamazione intentata da Irving alla storica Deborah Lipstadt, sentenziò che il querelante, ossia Irving, aveva distorto e falsificato l’evidenza storica ed era un antisemita.

Il francese Robert Faurisson usufruì del singolare sostegno di Noam Chomsky, illustre linguista, figlio di un professore di ebraico, intellettuale libertario e nemico di tutti gli imperialisti. Chomsky fece infatti la prefazione al libro di Faurisson (Mémoire en defense contre ceux qui m’ accussent del falsifier l’histoire) in cui si immagina, tra l’altro, una dichiarazione di guerra a Hitler da parte della comunità ebraica mondiale, e dove si dice che Hitler, il quale aveva imposto agli ebrei di portare la stella gialla a partire da sei anni, si preoccupava molto di più della sicurezza dei soldati tedeschi che degli ebrei.

Chomsky precisava nella prefazione di non avere letto il libro, e, in sostanza, di volere soprattutto difendere la libertà d’opinione, quale che sia. Vidal-Naquet scrisse pubblicamente a Noam Chomsky. Gli disse che poteva sostenere il diritto del peggior nemico alla libertà d’opinione, se non domandava la sua morte e quella dei suoi fratelli. Ma che lui, Chomsky, non aveva il diritto di prendere un falsario e di ridipingerlo con i colori della verità. A questo equivaleva infatti la sua prefazione. Più tardi Chomsky non sconfessò quanto aveva scritto, ma l’uso che ne era stato fatto. E chiese che la prefazione non fosse pubblicata. Ma era troppo tardi. Era già in libreria. Pochi mesi dopo Robert Faurisson veniva condannato, per la prima volta, per «contestazione di crimine contro l’umanità».


Lo sterminio senza fine

-  Perché dicono che la macchina di morte non è esistita
-  La vera finalità del rifiuto delle prove è
-  la convinzione che i sopravvissuti non siano credibili,
-  perché sono ebrei e dunque per natura dicono il falso

di David Bidussa (la Repubblica, 03.02.2009)

Che cosa significa negare un fatto storico? E perché, nello specifico, il negazionismo include una forma di antisemitismo? La prima riguarda la dimensione della morte nei campi; la seconda chiama in causa il giudizio sull’identità dei sopravvissuti.

Di che si discute quando qualcuno afferma che non sono esistite le camera a gas e che, più in generale, quei morti "non sono morti"? Consideriamo i numeri (un dato che costituisce un’ossessione per i negazionisti). I numeri dello sterminio riferiti ad Auschwitz sono stati riepilogati da Jean-Claude Pressac nel suo libro Le macchine dello sterminio (Feltrinelli 1994).

Questi i numeri che Pressac riporta: ebrei gasati non iscritti, da 470 mila a 550 mila (l’oscillazione riguarda il numero complessivo degli ebrei ungheresi gasati); corrispondono ai deportati trasportati ad Auschwitz e selezionati già sulla rampa di arrivo; detenuti iscritti deceduti (ebrei e non ebrei) 126 mila: ovvero quelli sopravvissuti alla prima selezione sulla rampa e poi, gasati per malattia, debilitamento...; prigionieri di guerra sovietici, 15 mila; diversi (di cui soprattutto zingari), 20 mila.

Complessivamente dunque stiamo parlando di una quantità di persone gasate tra i 631 mila e i 711 mila. Nessuno di questi numeri è stato contestato dai negazionisti. Nessuno di loro ha mai risposto a Pressac. Questa cosa non fa pensare?

Ma la retorica negazionista non riguarda solo i numeri. La ricostruzione storica di un fatto, non è mai fondata su un solo documento o su un corpo di documenti limitati a un punto. Indagare un fatto implica assumere l’intera filiera all’interno del quale si colloca. La storia non è mai l’astrazione di un particolare. La storia si studia solo assumendola "a parte intera".

E dunque ai dati forniti da Pressac, vanno aggiunti: i deportati sterminati in tutti gli altri campi (di sterminio, Treblinka, Majdanek, Sobibor, per esempio; o di concentramento: Dachau, Mauthausen...); quelli che vengono catturati, rinchiusi nei campi di transito, e che lì muoiono; quelli che sono trasportati in vagone e muoiono nel viaggio; tutti coloro che sono uccisi prima della scena del campo di sterminio: per esempio i fucilati nell’estate 1941, durante l’occupazione militare in Unione sovietica e quelli uccisi dai reparti di polizia speciale (per esempio i 260 mila sterminati in Polonia tra il 1940 e il 1944 dal Battaglione 101 come racconta Christopher Browning nel suo Uomini comuni, Einaudi).

Negare le camere a gas, dunque, è funzionale a un obiettivo concreto: dichiarare che quella macchina complessiva di morte non sia mai esistita.

Nello sterminio non c’è una parte per il tutto, c’è il tutto. E proprio con quel pacchetto complessivo si tratta di confrontarsi. Il primo atto del negazionismo è preliminare alla sua affermazione sulle camere a gas.

Consiste nell’eliminare tutti i particolari e tutte le componenti che renderebbero insostenibile la tesi finale. La macchina dello sterminio nazista non è la camera a gas. Quello è il livello ultimo di un lungo percorso. All’interno di ciascun passaggio si uccidono individui, si sterminano interi gruppi famigliari o intere comunità locali. Lo sterminio preesiste alle camere a gas.

Quella retorica tuttavia non si limita a negare un fatto provato. Infatti essa contesta non solo le prove, ma le testimonianze di chi sostiene l’esistenza nelle forme e nei modi dello sterminio. Anzi il vero obiettivo del rifiuto delle prove è la convinzione che i sopravvissuti non abbiano diritto di parola. Quel diritto non viene riconosciuto ai sopravvissuti perché la loro natura - e non la loro esperienza - li rende incredibili. Secondo i negazionisti, infatti, essi non sono credibili e non devono essere creduti non perché ciò che dicono si sarebbe dimostrato fondatamente falso, ma perché la loro identità ebraica li qualifica come pericolosi sovvertitori dell’ordine e perché la loro natura li rende "perfidi". Credereste mai ai nemici irriducibili? Alla fine, dunque, per i negazionisti quei testimoni sono non credibili perché sono ebrei e dunque per natura, raccontano il falso e lo raccontano perché il loro obiettivo sarebbe la conquista fraudolenta del potere.

Lungi da non essere mai avvenuto, lo sterminio per i negazionisti non è mai finito. È ideologicamente giustificato perché si basa sull’adesione all’ideologia che l’ha predicato e poi praticato. Alla fine lo si nega, per poter avere l’opportunità di completarlo.


Religione millenaria

Le radici di un odio

-  La religione millenaria dell’antigiudaismo oggi
-  rialza la testa e riunisce davanti alle bandiere
-  bruciate giovani di destra e di sinistra
-  Il peso della tradizione nelle posizioni del Vaticano

di Adriano Prosperi (la Repubblica, 03.02.2009)

La millenaria religione dell’antigiudaismo, la madre ormai riconosciuta dell’antisemitismo moderno, dà segni di ripresa davanti a quell’annebbiamento della memoria che sta seppellendo le vittime della Shoah e il senso di colpa dell’Occidente cristiano. Oggi i movimenti giovanili di estrema sinistra si incontrano con quelli di estrema destra sulle piazze dove bruciano i vessilli con la stella di David e davanti alle sinagoghe imbrattate di una vernice rossa che chiede ancora l’antico sacrificio del sangue ebraico.

Di fronte a questo ritorno di fiamma antisemita è opportuno comprenderne, non tanto o non solo le ragioni che attraversano la società civile, quanto quelle che si riscontrano all’interno della chiesa.

Cos’è infatti la negazione dell’Olocausto da parte del vescovo "lefebvriano" Richardson se non anche la manifestazione indiretta di un problema che ha coinvolto e continua a coinvolgere la parte più tradizionale del clero?

La gerarchia ha comunque le sue esigenze che la democrazia non può comprendere. L’emergere dell’aggettivo "ecclesiale" a fianco e in sempre più evidente contrasto con l’antico aggettivo «ecclesiastico» e la loro lotta per affiancare in modo esclusivo il sostantivo "Chiesa" sono stati i segni che anche il più distratto degli osservatori ha potuto cogliere nei decenni scorsi, intorno al concilio e subito dopo: in questo problema di linguaggio si è resa evidente la tensione fra il momento comunitario e creativo dal basso della vita religiosa cristiana e il momento gerarchico e autoritario di un corpo dove la proprietà esclusiva della parola e il controllo del messaggio sono "ab antiquo" il monopolio dell’autorità ecclesiastica.

Per questo la soluzione del problema dello scisma lefebvriano appare complicata e non vicina. Coinvolge in prima istanza la sorte del concilio Vaticano II. L’"aggiornamento" conciliare dette voce alla necessità di un corpo sacrale arroccato nella immobilità della tradizione di aprirsi a un mondo moderno lungamente considerato come una realtà da tenere lontana se non da maledire nel suo complesso.

A chi guardi questa vicenda dall’esterno si offrono poi altri motivi di riflessione e di preoccupazione: la situazione attuale dei rapporti col mondo mussulmano offre una insperata occasione di riscossa alla religione dei crocifissi sanguinanti e delle crociate contro i mussulmani in nome della quale monsignor Lefebvre continuò fino alla fine a promuovere in Vaticano il riconoscimento di quelle santità mistiche e antimoderne sorte nelle province più chiuse della Francia reazionaria negli anni della Comune e della Grande Guerra.


Questo forum è moderato a priori: il tuo contributo apparirà solo dopo essere stato approvato da un amministratore del sito.

Titolo:

Testo del messaggio:
(Per creare dei paragrafi separati, lascia semplicemente delle linee vuote)

Link ipertestuale (opzionale)
(Se il tuo messaggio si riferisce ad un articolo pubblicato sul Web o ad una pagina contenente maggiori informazioni, indica di seguito il titolo della pagina ed il suo indirizzo URL.)
Titolo:

URL:

Chi sei? (opzionale)
Nome (o pseudonimo):

Indirizzo email: