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SHOAH - STERMINIO DEL POPOLO EBRAICO. 27 GENNAIO: GIORNO DELLA MEMORIA - LEGGE 20 luglio 2000, n. 211, DELLA REPUBBLICA ITALIANA - a cura del prof. Federico La Sala

domenica 10 dicembre 2006 di Emiliano Morrone
Istituzione del "Giorno della Memoria" in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti.
In data 20 luglio 2000 è stata promulgata dal Presidente della Repubblica, dopo l’approvazione della Camera dei Deputati e del Senato, la seguente legge:
Art. 1.
La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (...)

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> SHOAH - STERMINIO DEL POPOLO EBRAICO. 27 GENNAIO: GIORNO DELLA MEMORIA - LEGGE 20 luglio 2000, n. 211, DELLA REPUBBLICA ITALIANA - La "normale" cronaca di un orrore: ALBUM AUSCHWITZ (di Furio Colombo).

sabato 26 gennaio 2008

Shoah: la «normale» cronaca di un orrore

di Furio Colombo *

Temo che persino le parole di Anna Arendt siano insufficienti o addirittura inadatte. Ciò che si vede in queste immagini intollerabili e indimenticabili è la normalità.

Non la normalità delle immagini che testimoniano di una immensa e scrupolosa e implacabile rete organizzativa, di una perfetta macchina burocratica capace di portare sistematicamente alla morte lungo un percorso di umiliazione, spogliazione, separazione, offesa, dolore.

No, «la normalità» la constatate con agghiacciante chiarezza, fotografia dopo fotografia. Manca ogni sentimento umano ma anche ogni vibrazione emotiva di qualunque tipo (persino l’odio è assente) dalla parte di chi ha scattato accuratamente, professionalmente, con scrupolosa qualità, le fotografie.

È da questa parte dell’obiettivo, quello del funzionario o del soldato fotografo, che si sente, si vive la vera portata della tragedia. Noi diciamo «comportamento mostruoso». Ma, in realtà, parliamo della pacata e bene organizzata «normalità» di un tempo che è troppo vicino a noi per non sconvolgerci.

«Sconvolgimento» (nel senso di repulsione ma anche di radicale incapacità di comprendere, al modo in cui si «comprendono» anche le peggiori pagine della storia) vuol dire rendersi conto che tutto ciò è avvenuto qui, in Europa, nel cuore caldo di una cultura alta e unica generata da tutti, patrimonio di tutti, che all’improvviso si è spaccata mostrando una spietata e tranquilla lama di morte. Con essa una parte della cultura del mondo si è messa di buona lena a organizzare lo sterminio di un’altra parte di se stessa.

Il fremito di disorientamento, disagi e - diciamo pure - con il tipo di ansia che ha in se il seme nero dell’angoscia, scatta con questa domanda che non ti fai ad alta voce, non la formuli neppure ma ti porti dentro: se le radici del male non sono bestialità o sussulto disumano, ma accurato progetto disegnato «fra noi», dentro la nostra cultura comune, che cosa ci dice che guerra, sconfitta e chiusura dei due ripugnanti regimi - nazista e fascista - abbia estirpato la radice del male, e ripulito (garantito) il futuro? Più guardi queste foto più le vedi «normali», scattate da persone normali, buoni professionisti con un occhio attento anche ai piccoli cenni e gesti e modi quotidiani di vita, tanto che alcune immagini hanno un che di intimo e le persone fotografate mentre arrivano, ancora con i loro vestiti e i loro bambini, al binario della morte, erano certo vicini di vita e vicini di casa, di diploma, di scuola.

Ecco la domanda che pulsa sgradevole e contro ogni desiderio di guardare soltanto il passato.

Dove, come, quando, sono state tagliate le radici del male, se chi ha scattato le migliaia di immagini semplici, quotidiane, insopportabili dell’ Album Auschwitz non era che un cittadino come noi, una persona al lavoro, medio- colta, con una buona coscienza civica e delle leggi, buona condotta, famiglia regolare, probabilmente amata, e quasi sempre una chiesa da frequentare?

C’è un punto di appoggio o di certezza che ci aiuti a uscire da questo incubo freddo, che non è l’attesa ossessiva di un ritorno ma una nuova spaccatura omicida, in un tempo che potrebbe essere questo o il prossimo tempo? C’è stato un confine-barriera, un confine-muro, e, se si, dove passa, in che modo ci protegge?

***

Le fotografie di Album Auschwitz sono state organizzate lungo un percorso che forse era lo stesso scrupolosamente seguito dalla efficiente burocrazia al lavoro. Al principio, se non fosse così evidente la presenza di militari armati (ma non speciali unità assassine, solo regolari soldati di un grande paese civile), se non fosse così sorprendente la presenza sui binari di vagoni bestiame e carri merce, le scene potrebbero essere quelle di una folla ordinata di uomini, donne, bambini nel corso di un trasferimento che è eccezionale solo per la quantità di persone, soprattutto famiglie.

Le persone sono intatte negli abiti, nei volti, nei gesti, nello stare accanto o nello scostarsi, più con incertezza che con paura. Certo, c’è qualcosa di strano, sui cappotti o le giacche degli uomini, o i vestiti delle signore o gli abiti dei bambini: la stella che - noi sappiamo - era gialla, ma in queste foto in bianco e nero è soltanto molto visibile. Si capisce che indossarla e mostrarla è già da tempo un fatto quotidiano.

Più avanti si nota che soldati e ufficiali devono avere un progetto, ma alcune immagini li ritraggono in conversazione con i viaggiatori. Improvvisamente, fra i gruppi di «viaggiatori» e le fila di militari, compare, di schiena, l’immagine incongrua, sul momento inspiegabile, di un uomo con la divisa a righe dei prigionieri. Da quel momento accade qualcosa che trasforma in una sorta di misteriosa emergenza che prima sembrava una strana, indecifrabile attesa. La folla viene messa in movimento. E se osserviamo bene le foto notiamo, dopo alcune immagini in cui tutto appare mischiato (soldati e civili, adulti e bambini, uomini e donne) ma nell’atto di seguire istruzioni, che le fotografie, sempre nitide, sempre scrupolosamente eseguite, ci mostrano solo uomini e ragazzi, solo donne e bambini, in gruppi separati. Intanto i volti si fanno segnati, gli abiti logori, le teste rasate, i bambini da soli. E poi, sempre attentamente osservate dagli obiettivi di fotografi bravi e professionali, le figure di uomini con le divise a righe, di donne con la camicia da prigioniere, di bambini con i loro fagotti. I fotografi non chiudono gli occhi, non hanno secondi pensieri, fanno il loro lavoro e basta. La testimonianza terribile di Album Auschwitz è questa.

I mandanti sono stati dichiarati dal mondo criminali, il loro regime di morte e di sterminio è stato rovesciato, i loro bunker espugnati, il mondo liberato.

Ci sono i nostalgici, ci sono i negazionisti, ci sono gli infatuati del «dimenticare per riprendere la strada insieme». Ci sono coloro che sono preoccupati di inondarci di storie e notizie su come, a volte, sono stati trattati male i pochi carnefici identificati.

Eppure non è in quella direzione che punta l’ansia. Negazionisti, nostalgici e rivisitatori del passato sono tenuti a bada da documenti come questi e dalla intelligenza del mondo.

L’ansia punta sugli scrupolosi fotografi, sugli operosi impiegati, sugli attivi esecutori di ordini nel calmo svolgimento di una non controversa osservanza di impegni, attenti a non crearsi problemi, attenti a non irritare il potere comunque si manifesti, sapendo che, nel compiacerlo senza irritanti domande, c’è sempre un premio.

I più sono ancora in giro. Sono un mondo intatto che serve con attenzione il bene o il male senza mettersi di traverso e non fanno caso al segno disturbante e provocatorio della stella gialla su tutti quegli esseri umani, vicini di casa, di lavoro, di vita. È un’ansia fastidiosa, ma è meglio tenerla viva. Ci aiuterà a distinguere il momento in cui non si può e non si deve tacere, proprio mentre tutti taceranno.

* l’Unità, Pubblicato il: 26.01.08, Modificato il: 26.01.08 alle ore 8.41


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