La Storia non si fa con le leggi
di GIOVANNI DE LUNA (La Stampa, 20.01.2007)
Proibire il negazionismo per legge è sbagliato. La proposta del ministro Mastella segnala un’inquietante rincorsa delle istituzioni a recintare i percorsi della memoria e della storia e si inserisce in un’ossessiva proliferazione di «leggi memoriali» che veramente rischia di favorire più l’oblio che il ricordo. Troppe contraddizioni, troppa enfasi celebrativa, troppe tradizioni inventate, troppe scorciatoie rispetto alla realtà storica e, soprattutto, troppi morti a cui chiedere la legittimazione delle proprie posizioni politiche attuali.
È una realtà: chiamare le leggi a sancire delle verità storiche alimenta un corto circuito tra quelle che sono le ragioni della ricerca storica e quelle dell’uso pubblico della storia, una commistione in cui la storia troppe volte viene utilizzata come un nodoso randello da abbassare sulla schiena degli avversari. In Francia l’abuso di leggi memoriali ha provocato polemiche furibonde e si è risolto in una sorta di boomerang culturale e politico. Nel 2005 ci fu la legge del 23 febbraio che sollecitava i manuali di storia adottati nelle scuole a dare un giudizio positivo sulla colonizzazione francese nell’Africa del Nord.
Il provvedimento aveva almeno tre precedenti molto significativi: la legge Gayssot (13 luglio 1990) contro il negazionismo, quella del 29 gennaio 2001 che riconosceva il genocidio degli armeni a opera dei turchi, la legge Taubira (21 maggio 2001) che definiva la schiavitù e la tratta negriera «un crimine contro l’umanità».
Nel dibattito che ne seguì si fece un’opportuna distinzione che vale la pena riprendere. Riconsideriamo la disposizione transitoria della Costituzione italiana che vieta la ricostituzione del partito fascista o la legge austriaca sulla base della quale è stato recentemente arrestato lo storico negazionista Irving: si tratta di provvedimenti emanati nell’immediato dopoguerra, tra il 1946 e il 1948, quando le ferite belliche ancora bruciavano; per l’Italia si trattava di erigere un argine legislativo contro ogni proposito di rivincita del fascismo; per gli austriaci di fare i conti con la pagina più oscura della loro storia che li aveva portati ad accogliere con entusiasmo il nazismo. Quelle leggi non intendevano certificare la storia: semplicemente rendevano esplicite le basi politiche («mai più il fascismo», «mai più il nazismo») sulle quali nascevano le nuove repubbliche democratiche uscite dagli incubi delle dittature.
Del tutto diverso è il caso di leggi che arrivano mezzo secolo dopo gli eventi, quando su quegli stessi eventi si sono depositate le verità ben più credibili e attendibili della ricerca storica, quando quei crimini sono stati condannati non solo dalle memorie e dai ricordi dei sopravvissuti, ma anche e soprattutto dai documenti e dalle prove raccolte dagli storici. Tornando alla Francia, poco tempo fa è scomparso un grande storico come Vidal Naquet. Nella battaglia contro i negazionisti usò tutto il peso del suo rigore filologico, attaccandoli sul terreno strategico della critica delle fonti, smascherandone i falsi e le manipolazioni. Nella sua ultima polemica contro Irving, parlò del «disonore di falsificare una materia che si conosce». Fu un giudizio inappellabile, una sentenza contro Irving più esemplarmente fondata di quella emessa da qualsiasi tribunale.