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TEORIA E PRATICA DEL BAAL-LISMO. COME UN CITTADINO RUBA IL NOME DI TUTTO UN POPOLO, NE FA LA BANDIERA DEL PROPRIO PARTITO PERSONALE, E GETTA LE BASI DELLA PIU’ GRANDE BOLLA SPECULATIVA DELLA STORIA D’ITALIA...

POLITICA, FILOSOFIA, E MERAVIGLIA. Materiali sul tema - a cura di Federico La Sala

L’Italia come volontà e come rappresentazione di un solo Partito. Il "popolo della libertà" è nato: "Forza Italia"!!! Materiali per un convegno prossimo futuro
venerdì 28 gennaio 2011 di Maria Paola Falchinelli
MA DOVE SONO I FILOSOFI ITALIANI OGGI?!
POCO CORAGGIOSI A SERVIRSI DELLA PROPRIA INTELLIGENZA E A PENSARE BENE "DIO", "IO" E "L’ITALIA", CHI PIU’ CHI MENO, TUTTI VIVONO DENTRO LA PIU’ GRANDE BOLLA SPECULATIVA DELLA STORIA FILOSOFICA E POLITICA ITALIANA, NEL REGNO DI "FORZA ITALIA"!!!
UN GRANDE "VIAGGIO A SIRACUSA"!!! LA PIU’ GRANDE BOLLA SPECULATIVA DELLA STORIA POLITICA ITALIANA. COME UN CITTADINO RUBA IL NOME DI TUTTO UN POPOLO E SE NE FA LA BANDIERA DEL PROPRIO PERSONALE PARTITO... (...)

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> POLITICA, FILOSOFIA, E MERAVIGLIA. --- Il fascismo fu solo retorica. Norberto Bobbio nel carteggio con Luisa Mangoni difende le sue tesi: “Un’era di cortigiani e adulatori”.

venerdì 23 gennaio 2015

Norberto Bobbio

“Altro che cultura per me il fascismo fu solo retorica”

Nel carteggio del ’76 con Luisa Mangoni lo studioso difende le sue tesi: “Un’era di cortigiani e adulatori”

di Simonetta Fiori (la Repubblica, 23.01.2015)

NEL 1976 Norberto Bobbio è già uno studioso influente, 67 anni, preside della Facoltà di Scienze Politiche a Torino. Da diversi decenni i suoi volumi sul rapporto tra cultura e politica orientano la scena intellettuale italiana. Tre anni prima era uscito il saggio Cultura e fascismo, destinato ad accendere un grande dibattito. Bobbio è persuaso che non sia mai esistita una “cultura fascista”. Il regime aveva prodotto molta retorica ma non opere importanti, titoli spartiacque, in una parola una tradizione intellettuale: chi poteva dire il contrario? Ecco farsi avanti una giovane studiosa, Luisa Mangoni, Marisa per gli amici.

Ha 35 anni, quasi la metà del suo autorevole interlocutore. Rigorosa e schietta, meticolosa e dolcissima. Gli dà dell’«arretrato». Dice proprio così: «l’impostazione del professor Bobbio appare arretrata». Lo fa durante una conferenza a Bologna. E il pubblico l’ascolta con attenzione: nel 1974 era uscito da Laterza il suo libro L’interventismo della cultura, destinato a cambiare lo sguardo sul rapporto tra ceto intellettuale e regime. In quelle pagine moriva l’equazione tra fascismo e “non cultura”.

Da quello scambio a distanza tra l’appassionata studiosa e l’illustre professore ebbe origine il carteggio inedito che ora pubblichiamo grazie allo storico Innocenzo Cervelli, marito della Mangoni mancata un anno fa. Un pacchetto di lettere, dal 21 marzo del 1976 al 16 marzo del 1977, che lumeggiano da una parte il singolare profilo intellettuale di Bobbio, maestro generoso che non parla mai ex cathedra, disponibile nello sperimentare i suoi stessi limiti, umile e insieme pedagogico. Dall’altra, la sicurezza intellettuale di una giovane donna che non arretra, però se occorre è pronta al ripensamento, mette a fuoco e rilancia. Un metodo di lavoro che avrebbe mantenuto nel corso della sua vita di ricercatrice, forse non pienamente riconosciuta dall’università e alla quale oggi rende omaggio un convegno dell’Istituto Gramsci.

Da Adriano Prosperi ad Albertina Vittoria, da Francesco Barbagallo a Giuseppe Ricuperati, saranno in tanti ad evocare i suoi studi sulla storia degli intellettuali nel loro rapporto con il potere e la politica, le sue poco convenzionali ricerche sulle case editrici Einaudi e Laterza (quest’ultima interrotta dalla scomparsa), il ruolo pionieristico «nell’analisi della cultura intesa nei suoi aspetti organizzativi e nella sua volontà di avere voce in capitolo nella sfera della società e dello Stato», come spiega Giuseppe Vacca, ideatore del seminario.

Ed è questo l’aspetto più innovativo che emerge anche dal confronto con Bobbio. Per lo studioso la cultura è «il patrimonio intellettuale e morale di una nazione », «opere destinate a durare nel tempo, a dare vita a una tradizione ». Mangoni liquida questa definizione come “riduttiva”. «A me pare che da un lato Lei privilegi un’idea di alta letteratura di impronta marcatamente aristocratica », gli scrive il 29 marzo del 1976. «E dall’altro evada il significato della cultura in rapporto allo Stato e alla società civile, che è un’altra cosa rispetto alla organizzazione, alla propaganda, alla stressa manipolazione del consenso».

Secondo Mangoni la cultura e gli intellettuali «non si spiegano tautologicamente con se stessi, ma solo in relazione allo Stato e alla società». Per questo contesta a Bobbio anche il giudizio sul “nicodemismo”, ossia quel fenomeno di infingimento che Eugenio Garin aveva condannato tra gli intellettuali italiani sotto Mussolini: antifascisti nell’intimo ma pronti a ricevere onori e prebende dal regime.

«Non vedo come la dissimulazione produca cultura», le aveva scritto Bobbio nella lettera del 21 marzo. «Produce quella letteratura tra cortigianesca e adulatoria di cui gli intellettuali italiani sono stati prodighi in tutte le epoche ». Mangoni rilancia: anche il nicodemismo è una zona di opacità che deve essere indagata. «Come interpretare altrimenti la recensione di Delio Cantimori a Ugo Spirito nel 1937?».

La discussione sarebbe andata avanti per alcuni mesi. Era una stagione di grande fermento, alla metà dei Settanta. Uscivano libri che ampliavano lo sguardo sul fascismo e sul Novecento. Beppe Vacca ricorda che nel 1974, insieme all’Interventismo della cultura, furono pubblicati Gli intellettuali del XX secolo di Eugenio Garin e Gli anni del consenso, il terzo volume della biografia mussoliniana di Renzo De Felice.

Cambiavano i parametri e la polemica culturale era quasi quotidiana, come questa tra Bobbio e Mangoni. Lui sembra anche divertito da questa inattesa «esecuzione sommaria condotta sui sacri testi» (che poi sarebbero Gramsci e Togliatti), ma non si lascia convincere. «Quando mi chiedo se ci sia stata una cultura reazionaria vado a cercarla nei grandi scrittori come Nietzsche o Pareto, cioè proprio in opere destinate a durare nel tempo. E sulle quali tutte le epoche tornano per reinterpretarle e discuterle». In fondo dell’azione culturale svolta da Giuseppe Bottai - personaggio simbolo scelto da Mangoni per il suo ragionamento - non è rimasto niente. «Si è sciolta come nebbia al sole», dice Bobbio. Sopravvive invece l’insopportabile retorica dei tanti giovani costretti all’ossequio. Ma la retorica è cultura?, la provoca in una lettera del 27 aprile.

«Bisogna risalire alle radici più profonde », replica la studiosa nel giugno del 1976. Lei si accingeva all’opera proprio in quei mesi, persuasa che alcune componenti ideologiche e strutturali del fascismo fossero sopravvissute nella giovane democrazia, «dal capitalismo monopolistico di Stato alla concezione corporativa della società». Tutti temi su cui avrebbe continuato a studiare, con puntiglio ed umiltà. Scavando nelle zone d’ombra dell’intellettualità italiana, senza mai lasciarsene avvolgere.

      • Le lettere mai pubblicate

Cara, quel regime creò tanto rumore per nulla

di Norberto Bobbio (la Repubblica, 23.01.2015)

TORINO, 21 marzo 1976 Gentile dottoressa, ho letto con vivo interesse il suo articolo sulla cultura e il fascismo, e le osservazioni critiche ivi contenute nei riguardi della mia (malfamata) tesi sull’inesistenza della cultura fascista. Alcuni mesi fa scrissi un nuovo articolo sul tema, che le mando (...). Come vede, sono recidivo. Sono recidivo perché mi pare che sino ad ora gli avversari ai miei argomenti rispondano o spostando la discussione sul cedimento degli intellettuali (che io non ho mai contestato ma che è un problema completamente diverso) oppure parlando d’altro, per esempio dell’organizzazione della cultura promossa con tanto strepito (se pure con scarsi risultati) dal regime. (...) Non posso dire che questo suo articolo, pur interessante (e non poteva essere altrimenti provenendo dall’autore di un libro importante come L’interventismo della cultura) e ricco di spunti (su cui intendo riflettere), m’induca a cambiare idea. Ma non insisto. Mi domando soltanto perché lei consideri arretrato (arretrato rispetto a cosa?) il mio modo di porre il problema (...). Perché è arretrato chiedere che si finisca di fare discorsi generici pro o contro il fascismo, e si faccia un esame serio di quel che è rimasto della cultura durante il fascismo? Non è la stessa cosa che chiede lei? A un certo punto lei per dimostrare la mia arretratezza parla del nicodemismo e dice che la tesi di Garin sul nicodemismo rappresenta «un notevole passo avanti rispetto alla tesi di Bobbio ecc.». A parte il fatto che del nicodemismo avevo parlato anche io indipendentemente da Garin (vedi Fascismo e cultura , ...), e in maniera molto esplicita, e credo precisa, mi pare che il nicodemismo sia uno degli argomenti più forti a favore della mia tesi. Non vedo come la “dissimulazione” produca cultura. Produce questa letteratura cortigianesca e adulatoria, di cui gli intellettuali italiani sono stati prodighi in tutte le epoche. Coi più cordiali saluti Norberto Bobbio

TORINO , 16 marzo 1977 Gentile signora, la ringrazio dell’estratto del suo articolo su cesarismo ecc. Un bel tema, che mi piacerebbe però vedere sviluppato meglio anche concettualmente. Lei per esempio accenna a un certo punto alla distinzione tra cesarismo e bonapartismo, poi se non sbaglio non la riprende più. Così il problema del rapporto tra cesarismo, democrazia di massa e capo carismatico, da cui parte, andrebbe meglio approfondito anche riguardo a Gramsci, che cita Michels a proposito del capo carismatico in un famoso passo sulla demagogia in senso negativo e sulla demagogia in senso positivo. Il tema del capo carismatico è un tema che entra con forza nelle discussioni di quegli anni tra coloro che si rendono conto che è cominciata l’era della democrazia di massa (della “ribellione delle masse” per dirla con una espressione nota e negativa). Dal momento che lei ha dedicato l’ultima parte del suo articolo a Gramsci, perché non analizzare il suo pensiero anche su questo punto? Chi è “il demagogo superiore”? È anche lui un capo carismatico? Come mai tutta la teoria politica marxistica anche dopo Michels e dopo Weber non ha mai parlato volentieri del capo carismatico? (...) Cordiali saluti Norberto Bobbio


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