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CRITICA DELL’ ECONOMIA POLITICA E DELLA TEOLOGIA. IL DOLLARO ("IN GOD WE TRUST") E LA CROCE ("DEUS CARITAS EST"): TUTTO A "CARO-PREZZO" ("CARITAS")!!!

EVADERE DALLE IDEE VECCHIE!!! CON MARX E KEYNES, OLTRE. Un’indicazione e "una premessa... di civiltà" - di Federico La Sala

KEYNES. La difficoltà non sta nelle idee nuove, ma nell’evadere dalle idee vecchie, le quali, per coloro che sono stati educati come lo è stata la maggioranza di noi, si ramificano in tutti gli angoli della mente
sabato 20 settembre 2008 di Maria Paola Falchinelli
UN’ESORTAZIONE *
Questo libro è diretto principalmente ai miei colleghi economisti [...] l’economia ortodossa è in difetto, l’errore va trovato non nella sovrastruttura, che è stata eretta con grande cura di coerenza logica, ma nella poca chiarezza e generalità delle premesse [...] La composizione di questo libro è stata per l’autore una lunga lotta di evasione, e tale dev’esserne la lettura per la maggioranza dei lettori affinché l’assalto dell’autore su di loro abbia successo: una lotta (...)

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> EVADERE DALLE IDEE VECCHIE!!! CON MARX E KEYNES, OLTRE. --- "The Return of the Master". Perché è necessario tornare a Keynes (di Guido Carandini)

giovedì 27 marzo 2014

Perché è necessario tornare a Keynes

di Guido Carandini (la Repubblica, 27.03.2014)


IN EUROPA siamo fra i Paesi che si trovano a fronteggiare una prolungata e ostinata recessione che rende estremi i fenomeni delle disuguaglianze, che accresce la disoccupazione di massa e quindi l’inevitabile immiserimento della classe media. Anche da noi cresce il numero degli studiosi che sostengono la scarsa validità della scienza economica definita main stream, nel senso di “tradizionale”, che ancora si insegna nelle Università, che viene professata dalla maggior parte degli economisti e di conseguenza finisce per essere accettata anche dal senso comune.

Scarsa validità perché quella scienza non soltanto non spiega i disastrosi fenomeni, ma neppure li concepisce non essendo disposta - incredibile a dirsi - a rinunciare ad alcuni principi di fondo e di lontana provenienza i quali sono ancora incapaci di dare una spiegazione semplicemente perché negano la possibilità stessa del loro verificarsi. Infatti, per assurdo e fantasioso che possa apparire, fra quei principi continua a esserci quello della presunta “efficienza e razionalità dei mercati”, nel senso che essi sarebbero capaci in via di principio di impedire in ogni caso che si verifichino le situazioni di squilibrio da cui crisi e recessioni hanno origine.

Se si immagina una situazione in cui i prezzi e i salari, al contrario di quel che accade in realtà, fossero completamente flessibili, cioè capaci all’occorrenza di aumentare o diminuire nella misura in cui sarebbe di volta in volta necessario per mantenere in equilibrio l’economia, allora regnerebbero la piena occupazione e la piena utilizzazione delle risorse. Perché ogni shock produrrebbe nel sistema un istantaneo aggiustamento di prezzi e salari capace di evitare ogni possibile trauma al sistema economico nel suo complesso. Tuttavia, se questo non accade non è colpa del mercato ma appunto secondo la scienza economica main stream lo si deve allo Stato e ai suoi interventi che violano il libero manifestarsi delle forze autonome degli agenti economici.

Peccato che la supposta efficienza e razionalità dei mercati siano puramente frutto di una ideologia e non di una visione critica principalmente per due ragioni.
-  La prima è che sono affermate da una teoria che riflette l’immagine del mondo caratteristica di quella determinata classe che in ogni tempo è dominante proprio in quanto quei mercati cerca di controllarli secondo le sue convenienze e il suo tornaconto. E questo avviene anche se è una classe che costituisce in ogni Paese una esigua minoranza dato che in quelli più avanzati, come sostiene il Premio Nobel Stiglitz, costituisce generalmente appena l’uno percento della popolazione.
-  La seconda ragione è che quel principio, per essere valido, esige a sua volta di essere basato su una ipotesi del tutto fantasiosa ma che ancora pare sia necessaria a molte teorie insegnate nelle Università, e cioè che tutti gli agenti economici hanno “una perfetta conoscenza del futuro”. Il guaio sarebbe che proprio questa ipotesi assai azzardata era stata respinta come del tutto inconcepibile da un teorico che apparteneva anche lui al mondo accademico e cioè da John Maynard Keynes.

Keynes sosteneva l’opposto principio delle “incerte aspettative” che immancabilmente dominano le decisioni di quegli agenti. Ed è stato lui che quasi ottant’anni fa scriveva una Teoria generale nella quale, al contrario dei suoi colleghi, mostrava che le possibilità di crisi sono endemiche del capitalismo proprio perché si tratta di un sistema caratterizzato da quella insuperabile incertezza. Tutto questo ce lo ricordano gli economisti di ispirazione keynesiana come Paolo Leon e il più importante biografo di Keynes, cioè l’economista e storico Robert Skidelsky nel suo più recente libro The Return of the Master ( Allen Lane 2009), nel quale sostiene che sessant’anni dopo la sua morte egli continua a essere il più grande pensatore economico fin qui apparso nel mondo.

Ed è proprio per questo che il suo ritorno oggi sarebbe indispensabile per restituire alla scienza economica la effettiva capacità di interpretare la realtà, invece di camuffarla per renderla compatibile con teorie assai spesso campate in aria ma sicuramente gradite a ben precisi interessi.


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