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LA GRANDE BALLA. UN CITTADINO RUBA IL NOME DI TUTTO UN POPOLO, NE FA LA BANDIERA DEL PROPRIO PARTITO PERSONALE ... E LA BOLLA E’ FATTA: "FORZA ITALIA"!!!

LE BOLLE, LE BALLE E IL BALLISMO POLITICO E FINANZIARIO. IL CASO ALITALIA E IL PRIMATO DELL’ITALIA. L’analisi di Barbara Spinelli - a cura di Federico La Sala

Rammentare illusioni e contro-verità non è vano perché mostra la stoffa di cui son fatte le bolle: in economia, in politica, nell’individuo.
domenica 21 settembre 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] Il moral hazard diventa un pericolo nazionale, quando un governo gioca con l’inaffondabilità di un’impresa - l’Alitalia - fidando sul fatto che alla fine pagherà il cittadino. Diventa un pericolo mondiale, quando a correrlo è una superpotenza convinta di dominare il mondo incontrastata, anche se ormai domina poco. Tutto è permesso: tanto siamo i più forti, simili a dèi; o siamo assicurati, il che consente impunità e irresponsabilità. Dicono che il mercato vero deve riprendere il (...)

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> LE BOLLE, LE BALLE E IL BALLISMO POLITICO E FINANZIARIO. IL CASO ALITALIA --- Ancora ieri il presidente del Consiglio ha ribadito che le soluzioni sul tappeto sono soltanto due: accettare il piano industriale di Colaninno o il fallimento. Ma non è così (di Eugenio Scalfari).

domenica 21 settembre 2008

La vendano all’estero o se la prenda lo stato

di EUGENIO SCALFARI *

È VERO che la crisi dell’Alitalia è un bruscolino rispetto a quanto sta accadendo sui mercati mondiali, ma è pur sempre un fatto che ci riguarda molto da vicino, mette in gioco il trasporto aereo d’una nazione, il prestigio d’un governo che è il nostro governo, la rappresentatività d’un movimento sindacale che discute e firma contratti in nome di milioni di lavoratori.

Quindi ci occuperemo anzitutto di quella crisi al punto in cui ora è giunta e di quanto potrà accadere nei prossimi giorni, fin quando la flotta di bandiera potrà ancora volare.

La cordata tricolore e il piano industriale redatto da Banca Intesa si fondavano sul concetto della discontinuità. Al di fuori di esso il tentativo di Colaninno e di Passera non sarebbe mai nato e nessun altro tentativo analogo avrebbe mai potuto nascere. Discontinuità a 360 gradi: nell’organizzazione delle rotte aeree, degli aeroporti, dei velivoli, dei debiti, del personale di terra e di volo e dei rispettivi contratti.

Discontinuità sommamente sgradita ai creditori di Alitalia, ai suoi azionisti privati, ai suoi dipendenti, cioè a tutti coloro che avrebbero dovuto pagare il conto di un dissesto annunciato da molti anni.

Non starò qui a ripetere quali siano state le responsabilità di quel dissesto, ma debbo ancora una volta ricordare che gli anni terribili sono stati soprattutto gli ultimi cinque dal 2003 al 2008, dalla gestione Mengozzi all’affondamento del piano Air France. Un disastro che porta ben chiari i nomi dei responsabili: in testa l’associazione dei piloti e Silvio Berlusconi. Anche Prodi ebbe le sue colpe: incertezza, indecisione; ma senza l’opposizione aggressiva dei piloti e di Berlusconi la via della soluzione era stata finalmente trovata e si sarebbe realizzata.

Un progetto basato sulla discontinuità dipende in gran parte dalle modalità del negoziato e dalle capacità del negoziatore. Colaninno questa capacità l’ha dimostrata in precedenti occasioni ma in questo caso la sua presenza al tavolo è stata minima. È entrato in scena il penultimo giorno e ne è uscito subito.

Anche il ruolo di Gianni Letta è stato molto modesto. Berlusconi praticamente non s’è mai visto salvo per pochi minuti. Tremonti, diretto azionista dell’Alitalia, assente anche lui. L’unico negoziatore al tavolo è stato il ministro Sacconi. Una frana.

Sacconi ha impostato l’intera trattativa sugli ultimatum e su una scelta discriminatoria degli interlocutori. Sapeva fin dall’inizio che il nocciolo duro da convincere sarebbe stato il personale di volo e le associazioni autonome che lo rappresentano. Sapeva anche che il tempo utile a disposizione era breve a causa della pessima situazione patrimoniale e finanziaria della società.

Sacconi trattava cioè sull’orlo del baratro ma era evidentemente convinto che spingere il dramma verso il suo punto culminante avrebbe facilitato l’accordo. Perciò perse volutamente tempo. Si contentò di ottenere il beneplacito di Bonanni, Angeletti, Polverini che non contavano niente in questa vertenza; tenne fuori dalla porta i piloti dell’Anpac e le altre associazioni autonome; scelse come bersaglio la Cgil che accusò fin dall’inizio di ideologismo politico e di una strategia del "tanto peggio".

I piloti dell’Anpac hanno molte responsabilità come abbiamo già ricordato, ma ci sono anche alcuni punti fermi che vanno tenuti ben presenti e cioè:

1. Guadagnano meno dei loro colleghi di Air France, British, Lufthansa. Guadagnano invece di più dei piloti di Air One.

2. Hanno una produttività più bassa dei colleghi di quelle tre società a causa della cattiva organizzazione dei voli e degli equipaggi; tuttavia su questo punto avevano dato subito la loro positiva disponibilità.

3. Sia Sacconi sia il commissario Fantozzi hanno posto il negoziato sotto scadenze ultimative di 48 in 48 ore pena la messa immediata in mobilità di tutto il personale e, ovviamente, la sospensione dei voli. Ma poiché le 48 ore passavano e gli aerei continuavano regolarmente a volare l’effetto è stata la perdita di credibilità sia del ministro sia del commissario.

Ma l’errore di fondo è stato un altro e porta il nome di Silvio Berlusconi. Il "premier" aveva assunto in campagna elettorale l’impegno di favorire una cordata tricolore e questo ha determinato la strategia del governo producendo però un gravissimo vizio di forma nella procedura: ha vincolato il commissario Fantozzi a privilegiare come controparte la cordata Colaninno.

È vero che la legge Marzano, appositamente riscritta per l’occasione, prevede la trattativa privata, ma non prevede l’esclusiva. Fantozzi è stato tuttavia insediato con la condizione di preferire almeno in prima battuta la cordata Colaninno la quale a sua volta, forte di questo privilegio, ha fissato le condizioni pensando che su di esse sarebbe stato relativamente facile acquisire il consenso dei sindacati confederali.

Il tema del contratto col personale di volo è stato completamente sottovalutato sia da Colaninno sia da Sacconi. E quando Epifani ha fatto presente la verità e cioè che la rappresentatività dei sindacati confederali era pressoché nulla per quanto riguarda il personale di volo questa onesta ammissione è stata ritenuta segno di tradimento e di irresponsabilità sia da parte del governo sia da parte della Cisl e sia dalla quasi totalità dei "media" giornalistici e televisivi.

* * *

Ancora ieri il presidente del Consiglio ha ribadito che le soluzioni sul tappeto sono soltanto due: accettare il piano industriale di Colaninno o il fallimento. Ma non è così. La procedura impone a Fantozzi di sollecitare altre offerte di acquisto per l’Alitalia, in blocco senza discontinuità oppure soltanto per una parte degli asset. Se il commissario di Alitalia si sottraesse a questo suo urgente e inderogabile compito verrebbe meno ai doveri del suo ufficio e sarebbe passibile d’esser messo sotto accusa da parte della Corte dei conti per aver causato grave danno erariale alle casse dello Stato.

È ben comprensibile che una soluzione di questo genere, l’arrivo d’un cavaliere bianco che a questo punto non potrebbe essere altri che uno dei grandi vettori stranieri, sarebbe una penosa sconfitta d’immagine per il "premier", ma non è comunque in sua facoltà bloccare una procedura prevista dalla legge. Salvo di nazionalizzare l’Alitalia, magari temporaneamente, seguendo le procedure imposte in analoghi casi dalla Commissione di Bruxelles. Gli esempi che proprio in queste ore vengono dagli Usa ci dicono che in casi estremi la politica, in mancanza di alternative e per evitare guai peggiori, può e anzi deve ricorrere a estremi rimedi.

* * *

Il rimedio adottato - tardivamente - da George W. Bush è chiaro ed è stato già ampiamente descritto ieri dai giornali di tutto il mondo: creare un apposito veicolo federale che si assuma l’onere di acquistare tutti i titoli-spazzatura che ingombrano i portafogli del sistema bancario americano, pagabili al 65 per cento del loro prezzo nominale. Il costo dell’intera operazione è di 700 miliardi di dollari, cifra iperbolica alla quale il Tesoro farà fronte emettendo titoli propri e/o addirittura stampando carta moneta.

Un provvedimento analogo fu preso nel 1932 in piena depressione americana e mondiale con la creazione della Reconstruction Finance Corporation. Come si vede le analogie con la crisi iniziata nel 1929, che raggiunse il suo culmine anche in Europa a tre anni di distanza, sono molto forti con la situazione attuale pur nelle ovvie differenze.

In sostanza si tratta d’un salvataggio senza limiti di cifra dell’intero sistema bancario americano e mondiale perché non solo americano ma anche mondiale è stato l’inquinamento provocato sui mercati finanziari dai titoli-spazzatura.

Sarà sufficiente quest’intervento colossale a ridare fiducia e stabilità ai mercati? Probabilmente sì, ma ci saranno altri effetti che sono fin d’ora prevedibili. Stabilizzare il sistema e salvarlo da un crac totale è un risultato non solo utile ma necessario. Pensare che sia indolore e privo di conseguenze sgradevoli sarebbe però illusorio e sbagliato.

* * *

Il costo di questa gigantesca operazione si scaricherà inevitabilmente sul bilancio federale Usa, già oberato da un antico e ampio disavanzo. Le previsioni più attendibili (riportate da Federico Rampini nel suo articolo di ieri) calcolano che il costo dell’intervento sarà del 7 per cento del Pil degli Stati Uniti. L’inondazione di liquidità avrà effetti cospicui sul tasso d’inflazione americana.

Più difficile è prevedere quale sarà il comportamento del dollaro sul mercato dei cambi. La ripresa in grande stile dei valori delle Borse potrà provocare un afflusso di capitali esteri e quindi un rialzo del tasso di cambio della moneta Usa, ma la prospettiva di inasprimenti fiscali e le dimensioni del disavanzo di bilancio potranno a loro volta provocare uno spostamento di capitali dal dollaro ad altre monete. Non dimentichiamo che il sistema finanziario Usa ha vissuto e vive sul paradosso d’esser finanziato non già dal risparmio interno ma dal risparmio internazionale. La crisi in atto può attirare capitali speculativi a breve ma può anche indirizzare altrove il risparmio internazionale. Del resto il vero e proprio crollo delle riserve della Fed avvenuto in questi mesi è un segnale in questa direzione.

Complessivamente ci sembra di poter dire che le forze di stagnazione economica siano maggiori delle forze di sviluppo per la semplice constatazione che lo sforzo di stabilizzare da parte del Tesoro serve a ripianare i debiti e non a rilanciare gli investimenti e la domanda. Se questi effetti si produrranno sarà difficile scommettere sulla locomotiva americana e sui suoi effetti tonici verso il resto del mondo.

Post Scriptum. Ha fatto sensazione leggere il nome di Marina Berlusconi nel nuovo consiglio di amministrazione di Mediobanca, nella sua qualità di rappresentante di Fininvest, presente con l’uno per cento nel patto di sindacato di Piazzetta Cuccia. La presenza di Marina Berlusconi è pienamente legittimata dalla presenza della Fininvest nel capitale di Mediobanca; non toglie che rappresenti un’altra anomalia del sistema Italia. Fininvest ha amici potenti e collaudati nel cda di Piazzetta Cuccia: Mediolanum, i francesi di Tarak Ben Ammar, Ligresti, Tronchetti Provera, Geronzi. Per quel tanto che conta in Mediobanca, c’è anche Banca Intesa.

La famiglia Berlusconi si muove da tempo per stabilire rapporti intrinseci con le banche e l’establishment assicurativo e finanziario italiano oltre che con quello industriale. Sono passati i tempi del Berlusconi che sparava sulla grande impresa e sulla grande finanza sostenendo gli interessi e le aspettative delle partite Iva e delle piccole imprese.

È finita la caccia alle allodole ed è cominciata quella al cinghiale. La stessa operazione Alitalia mira a questo risultato. Dietro la bandiera tricolore c’è sempre un sottofondo di interessi politici ed economici, ma questo lo sappiamo da un pezzo e accade in tutto il mondo.

* la Repubblica, 21 settembre 2008.


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