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Che cosa significa essere "eu-ropeuo"......

IN GIRO PER L’ EUROPA, LA RUSSIA, LE AMERICHE E SENTIRE L’ARIA DI CASA. LA RAGIONE? ANDREA PALLADIO (1508-1580). Una nota di Cesare De Seta - a cura di Federico La Sala.

lunedì 22 settembre 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] Palladio, nome d’arte che gli diede il suo amico e mecenate Giangiorgio Trissino, ebbe modeste origini e a Padova visse da scalpellino fino all’età di sedici anni. Ma lentamente con l’aiuto dello studioso vicentino, scrittore e cultore anch’egli d’architettura, fece viaggi a Roma e imparò a vedere l’Antico. Come aveva fatto prima di lui Leon Battista Alberti: come questi non assunse quasi mai il ruolo di responsabile dei cantieri, fatto che da un lato non gli consentì lauti guadagni, (...)

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> IN GIRO PER... LE AMERICHE E SENTIRE L’ARIA DI CASA. LA RAGIONE? PALLADIO --- JEFFERSON, INVENTORE DEL CAMPUS. Una mostra a Vicenza (di G. Beltramini)

martedì 6 ottobre 2015

Vicenza

JEFFERSON, INVENTORE DEL CAMPUS

Una mostra dedicata all’architetto presidente, che costruì l’Università della Virginia come fosse una villa veneta

di Guido Beltramini (Il Sole-24 Ore, 20.09..2015)

Per tre azioni Thomas Jefferson, presidente degli Stati Uniti dal 1801 al 1809, volle essere ricordato. Fece incidere sulla propria tomba: «autore della Dichiarazione d’Indipendenza, promotore della legge sulla libertà di religione e padre dell’Università della Virginia».

Le prime due hanno cambiato il mondo, ma la terza - del Jefferson architetto, oltre che politico - non è stata da meno. Essa segna la nascita del “campus” universitario, una discontinuità radicale nel mondo dell’istruzione.

Jefferson disegna l’Università della Virginia come una grande villa veneta dove aule, residenze e la monumentale biblioteca si affacciano su un prato verde e alberato. L’idea manda in soffitta l’edificio scolastico come tetro palazzone e proietta una idea di comunità e insieme la visione che la cultura sia la base su cui costruire il futuro di una nazione.

La centralità dell’istruzione era nella mente di Jefferson sin dagli inizi della sua carriera politica, dopo aver passato anni a studiare il greco e il latino che gli permisero di leggere i classici in lingua originale per tutta la vita.

Appena trentenne, nel 1784 Jefferson era stato a capo della commissione del Congresso per il National Survey, chiamata a rilevare il territorio degli Stati Uniti.

La vittoria sugli inglesi aveva fatto gli americani, ma l’Ameri- ca mancava ancora: i territori a ovest delle tredici colonie erano inesplorati e non esistevano le mappe che permettessero la partizione dei terreni. Anziché parcellizzare il territorio seguendo fiumi e montagne, Jefferson concepì una griglia regolare, basata sui meridiani e paralleli e ispirata alla centuriazione romana. Un reticolo astratto, ancora ben leggibile nelle campagne e città americane, suddiviso in unità amministrative quadrate (township) al centro delle quali, per legge, un lotto era sempre destinato alla scuola pubblica.

Per chi vive in Italia, e in particolare nel Veneto, l’architettura della Università della Virginia emana una sorprendente aria di famiglia. Una ragione c’è: i padiglioni e la biblioteca in forma di Pantheon furono disegnati da Jefferson seguendo i Quattro libri dell’architettura di Andrea Palladio, un testo che definiva la propria Bibbia.

Ma perché un architetto italiano diventa la fonte di ispirazione nella costruzione della nuova nazione americana, dall’università agli edifici del potere sino alle case di Via col vento? Più in generale, come viaggiano e si trasmettono le idee in architettura, e quale il rapporto fra originale e copia nella più cerebrale delle arti?

A queste domande ho tentato di dare una risposta insieme a Fulvio Lenzo e Alessandro Scandurra (che ha realizzato anche l’allestimento) con la mostra aperta ieri fino al 28 marzo 2016 al Palladio Museum di Vicenza Jefferson e Palladio. Come costruire un mondo nuovo.

Jefferson non visitò mai di persona le architetture di Palladio, e conobbe l’opera del suo ispiratore solo attraverso i Quattro Libri di cui possedeva tre esemplari, in edizioni francese e inglese. Sebbene queste offrissero una lettura per certi versi distorta, fu proprio l’accesso a Palladio esclusivamente attraverso il suo trattato a consentire a Jefferson di coglierne le strategie di trasformazione dell’esistente.

Palladio, come Leon Battista Alberti e Le Corbusier, è infatti quel tipo di architetto che vuole cambiare il mondo e scrive in un libro le istruzioni per farlo. Egli concepì e comunicò la visione sistematica di una nuova architettura organizzata come una lingua, costituita da vocaboli che sono blocchi costruttivi (sale, colonnati, scale, portali, finestre) legati da una sintassi data da tipologie e rapporti proporzionali. Si trattava di una lingua moderna, con cui Palladio costruiva edifici del proprio tempo, ma che traduceva il latino architettonico della tradizione classica. Con sagacia i Quattro libri pubblicavano le ricostruzioni dei principali edifici della Roma antica accanto alle realizzazione palladiane, che da esse avevano tratto i propri algoritmi compositivi.

E’ proprio questo nesso ad essere cruciale per Jefferson che riconosceva in Palladio colui che aveva reso disponibile l’architettura classica agli usi del proprio tempo.

Nel caso delle architetture di Jefferson, questi ultimi contaminano a loro volta il modello palladiano con le novità dell’architettura francese o la ricerca del “comfort” tipicamente americana, dando vita ad edifici propriamente americani.

Come raccontano le fotografie di Filippo Romano, realizzate per la mostra ed esposte accanto a disegni, busti, modelli, libri antichi e ai bozzetti in gesso di Antonio Canova per il monumento a George Washington, il Virginia Capitol di Jefferson a Richmond definisce quello che sarà il prototipo dell’edificio del potere civile nel Nuovo Mondo: un tempio antico, la Maison Carrée di Nîmes, riproposto come spazio della nuova democrazia. Lo stesso è vero per la casa privata di Jefferson, che egli chiama Monticello in omaggio alla Rotonda che Palladio scrive sorgere su un “monticello di ascesa facilissima”: diventata una icona dell’architettura, è finita nelle tasche di ogni americano, incisa nella moneta da 5 cents. E vale anche per la Casa Bianca.

Alla ricerca di una architettura repubblicana per la casa non di un re, ma di “Mr. President”, Jefferson sceglie una villa: partecipa al concorso del 1792 proponendo una copia della Rotonda di Palladio. È sconfitto, ma quando diventa presidente, interviene sull’edificio vincitore aggiungendogli i due pronai su colonne che ancora oggi fanno assomigliare la Casa Bianca a una villa della Serenissima repubblica di Venezia.


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