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FILOSOFIA. IL PENSIERO DELLA COSTITUZIONE E LA COSTITUZIONE DEL PENSIERO

MA DOVE SONO I FILOSOFI ITALIANI OGGI?! POCO CORAGGIOSI A SERVIRSI DELLA PROPRIA INTELLIGENZA E A PENSARE BENE "DIO", "IO" E "L’ITALIA", CHI PIÙ CHI MENO, TUTTI VIVONO DENTRO LA PIÙ GRANDE BOLLA SPECULATIVA DELLA STORIA FILOSOFICA E POLITICA ITALIANA, NEL REGNO DI "FORZA ITALIA"!!! Un’inchiesta e una mappa di Francesco Tomatis - a cura di Federico La Sala

Costituzione, art. 54 - Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge
lunedì 22 settembre 2008 di Maria Paola Falchinelli
Non basta dire come fanno i francesi che la loro nazione è stata colta alla sprovvista. Non si perdona a una nazione, come non si perdona a una donna, il momento di debolezza in cui il primo avventuriero ha potuto farle violenza. Con queste spiegazioni l’enigma non viene risolto, ma soltanto formulato in modo diverso. Rimane da spiegare come una nazione dì 36 milioni di abitanti abbia potuto essere colta alla sprovvista da tre cavalieri di industria e ridotta in schiavitù senza far (...)

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> MA DOVE SONO I FILOSOFI ITALIANI OGGI?! -- METAFISICA, MISTICA, SCIENZA. Anassimandro batte Asterix, ma non i "visionari" dell’Uomo Supremo.

lunedì 13 agosto 2018

METAFISICA E SCIENZA. L’ARCHIVIO DEGLI ERRORI. Anassimandro batte Asterix ... ma non i "visionari", i theorici dell’"uomo supremo"...*


L’invenzione della Natura Terremoti, eclissi, mareggiate e siccità sono lì a ricordarci la precarietà del tutto: come per i Galli dei fumetti, il timore che l cielo possa sempre cadere. Ma così non sarà, aveva scoperto il filosofo di Mileto nel VI secolo a.C.

Anassimandro batte Asterix

Anassimamdro si era cinvinto che l’universo fosse in espansione, forse in consegueza di una esplosione inizialr (il Big Bang?); e che gli uomini ferivassero dai pesci (Darwin?)

di Mauro Bonazzi (Corriere della Sera, La Lettura, 12.08.2018)

Nascere - venire all’essere, diventare qualcosa - è una colpa che verrà pagata con la morte. Questo, secondo Friedrich Nietzsche, giovane filologo a Basilea ancora sensibile alle sirene di Schopenhauer, insegnava il primo testo filosofico giunto fino a noi, un breve frammento di Anassimandro di Mileto: «Principio di tutte le cose non è né l’acqua né nessun altro dei cosiddetti elementi, ma una certa altra natura infinita, da cui tutto diviene (...): da ciò da cui è la generazione delle cose che sono, lì è anche la distruzione secondo il dovuto: esse scontano infatti la pena e il fio dell’ingiustizia secondo l’ordine del tempo».
-  Poche parole, al cui fascino è difficile sottrarsi. Per Martin Heidegger, in fluenzato a sua volta da Nietzsche, costituivano la prova del fatto che la filosofia è nata grande, capace di affrontare fin da subito i problemi più importanti. Perché c’è qualcosa invece di nulla? Questa è la questione fondamentale. Perché esistono gli alberi, il mare, noi, io? Anassimandro non aveva posto solo la domanda; aveva anche offerto una prima risposta.

C’è un principio primo, eterno, infinito, indistinto (chiamiamolo Dio; Anassimandro lo chiamava apeiron, il «senza limiti») in cui tutto riposa; la realtà, così come la vediamo intorno a noi (e di cui facciamo parte) si è formata staccandosi proprio da quel principio: un impulso incoercibile, una spinta potente, irrazionale e primordiale, spinge tutto a essere qualcosa. È la volontà di vivere, di cui parlava Schopenhauer. E non solo lui: lo schema di pensiero è molto più diffuso. La storia ebraica e poi cristiana degli angeli che si ribellano a Dio, o di Adamo ed Eva, non è molto diversa, e tanti altri paralleli, fin dalla lontana India, potrebbero essere aggiunti. Analoghe erano le conclusioni, del resto: questa colpa, la colpa di voler essere, prima o poi sarebbe stata punita. La nascita e la morte, l’essere e il non essere: ogni affermazione (di sé) è una negazione (dell’altro), ma giustizia prima o poi verrà fatta. Ecco la legge, tragica, che svela il segreto dell’esistenza. Una tesi affascinante, indubbiamente. Che però non c’entra nulla con Anassimandro.

Vissuto nel VI secolo a.C., di lui si è perso quasi tutto. Se ancora leggiamo qualche sua frase, è grazie al neoplatonico Simplicio (un personaggio di cui sarebbe bello raccontare le imprese: era uno dei sette filosofi fuggiti in Persia per fondare la città ideale di Platone, dopo che Giustiniano aveva chiuso la loro Accademia ad Atene nel 529 d.C.), che lo aveva citato, più di mille anni dopo.
-  Il suo scritto, un imponente commento alla Fisica di Aristotele, fu poi pubblicato da Aldo Manuzio nel 1526 (e anche di queste imprese editoriali, e di quello che hanno significato per l’Europa, sarebbe bello ricordarsi), permettendo ai vari Nietzsche e Schopenhauer di appassionarsi ad Anassimandro. L’edizione di Manuzio, però, si fondava su un manoscritto lacunoso. Mancava una paroletta nell’ultima frase: «Essi scontano reciprocamente la pena e il fio dell’ingiustizia secondo l’ordine del tempo». Per quanto minuscola, l’aggiunta cambia tutto. Il conflitto non è più con il principio (Dio): riguarda l’universo, o meglio gli elementi che lo costituiscono. Anassimandro raccontava una storia completamente diversa.

Il mondo che si dispiega davanti a noi si organizza per opposizioni: il caldo e il freddo, la luce e il buio, l’acqua e il fuoco... il conflitto è tra questi opposti, gli elementi materiali costituenti, che sono come in guerra tra di loro. Il conflitto e il caos: il rischio è che l’universo intero collassi se uno degli elementi dovesse prevalere sugli altri. Era una paura ben presente nel mondo del mito, dove a ogni potenza naturale è associata una divinità, a cui occorre rivolgersi con preghiere e sacrifici perché conservi l’universo in questo suo equilibrio così precario. Terremoti, eclissi, mareggiate e siccità sono lì a ricordarci la precarietà del tutto: come per Asterix e Obelix, il timore è che il cielo possa sempre cadere, e tutto andare in frantumi. Così non sarà, spiega Anassimandro, forte della sua scoperta.

Scoprire significa vedere qualcosa che c’è, ma nessuno vedeva. È vero che la realtà si trasforma continuamente e che ogni trasformazione altro non è che l’affermarsi di una qualità e la temporanea soppressione del suo opposto. Ma la prevaricazione verrà riequilibrata nel corso del tempo, secondo una legge che regola eternamente queste opposizioni. È l’incessante alternanza del giorno e della notte, delle stagioni calde e fredde, e dei cicli astronomici che scandiscono la vita dell’universo. Questo ha visto Anassimandro, l’ordine che regola le trasformazioni.

Dimenticato il pensatore tragico, senza più bisogno di introdurre divinità arcane, quello che ora emerge è il cantore dei ritmi iscritti nel mondo dei contadini e dei mercanti. Un pensatore che confida esclusivamente nella sua capacità di osservare e ragionare.
-  Non è più il tempo dei poeti che ripetono ispirati la parola della Musa: l’autorità di Anassimandro dipende unicamente dalla capacità di collegare correttamente i fenomeni, offrendo spiegazioni plausibili. Il risultato è la scoperta della «natura», la presa d’atto che questo immenso universo che ci circonda è qualcosa di unico, omogeneo, in cui tutto si tiene, secondo leggi e costanti. All’instabilità permanente del mito si sostituisce l’idea di uno spazio stabile e regolare - uno spazio «naturale» per cui non servono interventi arbitrari, esterni, «soprannaturali».

Non è un’intuizione da poco. La filosofia nasce così, insegnando a guardare, a riconoscere la trama che innerva lo spettacolo (questo significa theoria in greco) dell’universo, la regolarità che ricompone in un ordine dinamico ciò che all’occhio inesperto appare caotico e instabile.

Se lo avesse incontrato, Anassimandro non avrebbe compreso il senso della domanda di Heidegger. Per i Greci, l’universo esiste da sempre per sempre, eternamente. Inutile dunque chiedersi perché c’è l’essere e non il niente. Molto più proficuo, e interessante, è individuare le leggi che regolano la vita dell’universo e raccontarne la storia. Si sarebbe insomma sentito più vicino a un filosofo della scienza come Karl Popper, che infatti proprio in lui e negli altri presocratici aveva trovato i precursori degli scienziati contemporanei, uniti dallo stesso desiderio di comprendere, descrivere e spiegare. È una buona presentazione di quello che faceva Anassimandro: osservando le maree e le orbite dei pianeti si era convinto che l’universo è in espansione, con gli elementi caldi che si allontanano progressivamente da quelli freddi, forse in conseguenza di un’esplosione iniziale.

      • Visioni Anassimandro teorico del Big Bang? O primo darwinista, visto che sosteneva anche che gli uomini derivano dai pesci?

Di certo la passione di indagare e conoscere è la stessa. Aveva anche concepito la prima mappa dell’universo, con la Terra (a forma di cilindro, non piatta) al centro, circondata da una serie di anelli concentrici, delle stelle, del sole, della luna, secondo proporzioni geometriche ben definite. Un universo non solo uniforme ma anche elegante, insomma (e una prima versione del modello che il lettore italiano ritroverà nella Divina Commedia).

Tutto chiaro, dunque?

Prima di entusiasmarsi per i presocratici Popper si era formato discutendo con i membri del Circolo di Vienna, che si erano proposti l’obiettivo di fare chiarezza da tutte le astruserie della metafisica (Heidegger, tanto per cambiare, era il bersaglio privilegiato). Enunciati e domande che non rappresentano stati di fatti di ordine fisico, oggettivamente verificabili, non possono essere detti né veri né falsi, sono privi di senso: non trasmettono alcuna conoscenza e per questo bisogna starne lontani.
-  Ludwig Wittgenstein, il nume tutelare del circolo, lo aveva spiegato con la consueta chiarezza. «Non come il mondo è, è il Mistico, ma che esso è»: come il mondo è, ecco qualcosa che possiamo descrivere e spiegare; che (perché) il mondo è (esiste), invece no; è qualcosa di cui non ha perciò senso parlare (è il Mistico, nel suo vocabolario): «Se una domanda può porsi, può avere anche una risposta»; «su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere». Davvero?

Anassimandro aveva offerto una prima descrizione «scientifica» dell’universo. Aveva per primo intuito che l’universo è un tutto organico, regolato da leggi e costanti. Alcune domande, però, rimanevano aperte. Perché ci sono queste leggi, chi garantisce per il loro funzionamento? Forse il misterioso apeiron, quel principio indeterminato, oscuro e infinito, da cui tutto proviene e a cui tutto torna? Ma questo non significa reintrodurre con parole diverse problematiche teologiche? Non è soltanto un problema storiografico (ricostruire le tesi di Anassimandro in proposito); è un’altra versione del solito problema: ma perché ci sono le cose - gli alberi e i pianeti, io e tu? Da dove arrivano e dove vanno?

Domande oziose, per cui probabilmente non si troverà mai una risposta ultima. Ma di cui è difficile fare a meno: «L’impulso al Mistico - scriveva lo stesso Wittgenstein il 15 maggio 1915 - viene dalla mancata soddisfazione dei nostri desideri da parte della scienza. Noi sentiamo che una volta che tutte le possibili domande scientifiche hanno avuto risposta, il nostro problema non è ancora neppure stato toccato». È un’affermazione fin troppo severa: senza l’aiuto di chi ci guida nella comprensione di quello che accade intorno a noi, non potremmo veramente godere dello spettacolo dell’universo e iniziare a interrogarci su noi stessi.

Così Platone e Aristotele sostenevano che la filosofia vive della meraviglia, nella consapevolezza che le cose non sono mai come credevamo. Alla fine del suo percorso anche Wittgenstein era arrivato a conclusioni analoghe: «Mi meraviglio per l’esistenza del mondo». Imparare a meravigliarsi, consapevoli che tanto maggiori saranno le scoperte tanto più numerosi saranno i problemi che dovremo affrontare: probabilmente non c’è esperienza più bella per noi esseri umani, sempre in cerca di significati, ma anche sempre esposti al rischio di ricadere nelle superstizioni di Asterix. Per questo servono le scoperte degli scienziati, ma anche le domande dei filosofi. Meglio ricordarsene, visto che il viaggio promette di essere ancora lungo.


* Sul tema, nel sito, si cfr.:

LA VIA DI KANT: USCIRE DALLA CAVERNA, E NON RICADERE NELL’ILLUSIONE DI “DIO” CONCEPITO COME “UOMO SUPREMO”. Note per una rilettura della “Storia universale della natura e teoria del cielo”

COSMOLOGIA E ANTROPOLOGIA. AL DI LA’ DI NEWTON, CON KANT - E ARTHUR S. EDDINGTON ... e Popper
-  ALBERT EINSTEIN, LA MENTE ACCOGLIENTE. L’universo a cavallo di un raggio di luce (non di un manico di scopa!)

L’ARCHIVIO DEGLI ERRORI: L’ "IO SONO" DI KANT E L’ "IO SONO" DELL’"UOMO SUPREMO" DEI "VISONARI" DELLA TEOLOGIA POLITICA ATEA E DEVOTA. Note per una rilettura della "Critica della Ragion pura" (e non solo)

Federico La Sala


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