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FILOSOFIA. IL PENSIERO DELLA COSTITUZIONE E LA COSTITUZIONE DEL PENSIERO

MA DOVE SONO I FILOSOFI ITALIANI OGGI?! POCO CORAGGIOSI A SERVIRSI DELLA PROPRIA INTELLIGENZA E A PENSARE BENE "DIO", "IO" E "L’ITALIA", CHI PIÙ CHI MENO, TUTTI VIVONO DENTRO LA PIÙ GRANDE BOLLA SPECULATIVA DELLA STORIA FILOSOFICA E POLITICA ITALIANA, NEL REGNO DI "FORZA ITALIA"!!! Un’inchiesta e una mappa di Francesco Tomatis - a cura di Federico La Sala

Costituzione, art. 54 - Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge
lunedì 22 settembre 2008 di Maria Paola Falchinelli
Non basta dire come fanno i francesi che la loro nazione è stata colta alla sprovvista. Non si perdona a una nazione, come non si perdona a una donna, il momento di debolezza in cui il primo avventuriero ha potuto farle violenza. Con queste spiegazioni l’enigma non viene risolto, ma soltanto formulato in modo diverso. Rimane da spiegare come una nazione dì 36 milioni di abitanti abbia potuto essere colta alla sprovvista da tre cavalieri di industria e ridotta in schiavitù senza far (...)

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> MA DOVE SONO I FILOSOFI ITALIANI OGGI?! --- COSTITUZIONE, SCIENZA, E POLITICA. Il "patto per la scienza" e i valori. Note di W, Ricciardi e di M. Ferrera.

sabato 12 gennaio 2019

C’è del buono in quel «patto».

Scienza e politica: sviluppo opportuno

di Walter Ricciardi (Avvenire, sabato 12 gennaio 2019)

Il "patto per la scienza" siglato giovedì 10 gennaio 2019 è una importante innovazione nello scenario culturale del nostro Paese perché segna un passaggio di qualità nel rapporto tra scienza e politica. E questo al di là della discussione strettamente politica sul fatto che - dopo tanti anni di posizioni critiche e anche francamente ostili - il fondatore del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo ha improvvisamente cambiato opinione sulla straordinaria tecnologia dei vaccini e delle vaccinazioni.

La scienza è un sistema di conoscenze caratterizzato dalla ricerca della verità, attraverso prove riproducibili, mentre la politica è una vocazione pienamente impegnata nelle circostanze e nei compromessi del mondo reale. Politici e scienziati hanno funzioni sociali diverse che non poche volte li portano a contrapporsi, ma che in fin dei conti riescono a essere complementari anche se spesso attraverso un difficile cammino di mutue incomprensioni, ostacoli e interessi. Ovviamente questa mutua interazione e questo percorso non sono scevri da possibili rischi e distorsioni.

Non è difficile trovare esempi di politici che negano o distorcono le evidenze scientifiche a favore di proprie posizioni su determinate temi, magari compromettendo in tal modo la comprensione da parte dell’opinione pubblica dei fattori in campo. Per di più, quando ciò accade, gli scienziati generalmente rispondono nella lingua della scienza e raramente, perciò, riescono a risolvere la confusione e l’incomprensione ormai generata e diffusasi nell’opinione pubblica.

E d’altra parte, è difficile anche capire in che misura gli scienziati dovrebbero essere coinvolti nel prendere parte alle decisioni politiche. La domanda è ardua per le società democratiche tecnologicamente avanzate. Se gli scienziati non mettono a disposizione le loro conoscenze nei processi politici, si rischia di prendere decisioni malinformate su tematiche complesse. Ma, allo stesso tempo, se gli scienziati giocano un ruolo troppo grande nella definizione di problemi e soluzioni, si rischia di sostituire un governo democratico con un controllo tecnocratico.

Quale relazione politica-scienza rappresenta, dunque, l’optimum? È possibile identificare tre condizioni in cui è più probabile che le evidenze derivanti dalla scienza vengano utilizzate dai decisori politici per identificare e implementare le policy.In primo luogo, è più probabile che la scienza influenzi i politici se le evidenze fornite rientrano entro i limiti e le pressioni (anche istituzionali) a cui essi sono sottoposti, se "risuonano" con i loro presupposti ideologici oppure se subiscono, esternamente, una pressione tale da indurli a sfidare e oltrepassare quei limiti.

In secondo luogo, le prove scientifiche devono essere credibili e convincenti, fornire soluzioni pratiche ai problemi di politica correnti ed essere presentate in modo da attrarre l’interesse dei politici. In terzo luogo, la scienza è maggiormente in grado di contribuire a politiche migliori se i ricercatori e i decisori politici, i policy maker, condividono reti comuni, si fidano l’uno dell’altro, rappresentano gli interessi di tutte le parti interessate in modo onesto e aperto e comunicano in modo efficace.

Nella pratica queste tre condizioni sono raramente soddisfatte, perché i ricercatori hanno una limitata capacità di influenzare il contesto politico o di sviluppo all’interno del quale lavorano. E purtroppo i processi politici stessi sono probabilmente il principale ostacolo alla formulazione di policy basate sull’evidenza. Far sì che il dialogo tra scienza e politica non sia un dialogo tra sordi è un problema che si pone con urgenza in Italia e non solo.

Per questo il ’patto’ prevede che le forze politiche italiane s’impegnino:

1) a sostenere la scienza come valore universale di progresso dell’umanità, che non ha alcun colore politico, e che ha lo scopo di aumentare la conoscenza umana e migliorare la qualità di vita dei nostri simili;

2) a non sostenere o tollerare in alcun modo forme di pseudoscienza e/o di pseudomedicina che mettono a repentaglio la salute pubblica come il negazionismo dell’Aids, l’anti-vaccinismo, le terapie non basate sulle prove scientifiche;

3) a governare e legiferare in modo tale da fermare l’operato di quegli pseudoscienziati che, con affermazioni non-dimostrate e allarmiste, creano paure ingiustificate tra la popolazione nei confronti di presidi terapeutici validati dall’evidenza scientifica e medica;

4) a implementare programmi capillari d’informazione sulla scienza per la popolazione, a partire dalla scuola dell’obbligo, e coinvolgendo media, divulgatori, comunicatori e ogni categoria di professionisti della ricerca e della sanità;

5) ad assicurare alla scienza adeguati finanziamenti pubblici, a partire da un immediato raddoppio dei fondi ministeriali per la ricerca biomedica. Questo testo è, insomma, un importante passo avanti di cui siamo grati a Roberto Burioni e Guido Silvestri. Certo, nel ’patto’ non si entra nell’ambito degli impegnativi scenari etici in cui dovremo prendere importanti decisioni nel prossimo futuro, e questo è un argomento su cui bisognerà tornare con decisione.

* Ordinario d’igiene e medicina preventiva Università Cattolica del Sacro Cuore e già presidente dell’Istituto superiore di sanità (Iss).


I valori che offre la scienza

Verità è dire le cose come stanno. Pensare e parlare ricordando sempre che «là fuori» c’è una realtà ostinata e indipendente dalle nostre opinioni

di Maurizio Ferrera (Corriere della Sera, 12.01.2019)

Beppe Grillo ha firmato il Patto trasversale sulla Scienza promosso da Roberto Burioni e Guido Silvestri, due noti e autorevoli docenti e studiosi di medicina. Si tratta di un segnale importante, in controtendenza rispetto agli atteggiamenti anti-scientifici dei 5 Stelle: emblematico il caso dei vaccini. A giudicare dai social media, non tutta la base grillina condivide questa scelta. Beppe Grillo resta nondimeno il fondatore e padre nobile del Movimento. La sua posizione ha comunque peso politico e rilevanza simbolica.

Il Patto sulla Scienza dice cose molto semplici, che dovrebbero essere scontate in ogni democrazia liberale. Primo: la scienza è un valore, in quanto produce conoscenze affidabili sul mondo e ci indica sia come trarne vantaggio sia come evitare danni (pensiamo alle epidemie o ai disastri naturali). Secondo: occorre combattere la pseudo-scienza, ossia tutte le idee e indicazioni che non rispettano quei criteri di metodo che da secoli ispirano il lavoro degli scienziati. Chi stabilisce i criteri e chi «accredita» la qualità di un lavoro scientifico? La comunità scientifica, e solo questa. Come rammenta il Patto, la scienza non ha colore politico. I politici possono trascurare le indicazioni degli scienziati. Ma non possono giustificarsi dicendo che gli scienziati sbagliano, che le conoscenze accettate e condivise dalla comunità scientifica non «dicono la verità». g li ultimi due punti del Patto spiegano in che modo si deve promuovere e proteggere la scienza. Innanzitutto occorre mettere i cittadini in condizioni di riconoscere la conoscenza affidabile da quella che non lo è. In secondo luogo, bisogna mettere gli scienziati in condizione di lavorare autonomamente, garantendo un flusso adeguato di risorse.

Ho menzionato la parola «verità». Di questi tempi è frequente sentire che la verità non esiste, oppure che ce ne sono tante e che ciascuno può scegliere la sua. E poi: gli scienziati non sono mai neutrali - si dice -, spesso agiscono in base a interessi di parte. Il cosiddetto progresso scientifico non dimostra forse che ciò che appare vero in un dato momento a un certo punto viene gettato nel cestino delle falsità? Osservazioni comprensibili. Gli scienziati sono donne e uomini in carne e ossa, e dunque imperfetti, «legni storti», come diceva Kant. Il loro lavoro «scopre» le cose per tentativi ed errori. La conoscenza scientifica è dunque sempre provvisoria, valida fino a prova contraria. Ciò che dovrebbe succedere (una guarigione) non succede; accadono eventi non previsti, spesso indesiderati (una calamità). Solo gli scienziati possono tuttavia stabilire se e quando una prova contraria è decisiva per il destino di una teoria.

Grazie a Internet, ciascuno di noi può oggi farsi un’idea riguardo a qualsiasi fenomeno. È forte la tentazione di decidere da soli. Sulla Rete si trovano le tesi più incredibili. Negli Stati Uniti c’è un gruppo che sostiene che la terra in realtà sia piatta. I «terrapiattisti» si sono trasformati in un movimento, che ora si riunisce periodicamente in compagnia di pseudo-scienziati. Per ora, non fanno male a nessuno. Ma un conto è sostenere credenze false relativamente innocue. Un altro conto è danneggiare gli altri sulla base di opinioni dogmatiche, non suffragate da evidenza e ragionamento. Non solo su temi che riguardano la fisica o la medicina, ma anche l’immigrazione o le differenze razziali.

Nei dibattiti pubblici, soprattutto in televisione, il confronto fra due punti di vista si conclude talvolta con uno dei due interlocutori (spesso un Cinque Stelle) che liquida l’altro dicendo «è una sua opinione, io non sono d’accordo». In alcuni casi è davvero difficile procedere al di là delle opinioni. Ma per una grande quantità di temi c’è davvero modo di controllare come stanno le cose, di stabilire chi ha ragione. Un’abitudine ancor peggiore è fermare il confronto politico dicendo: se «quello» non è d’accordo con me, che ho vinto le elezioni, allora si candidi (pensiamo a Salvini). Un’assurdità. Come insegnava Bobbio, la verità non si decide a maggioranza. I cittadini di una democrazia possono deliberare su moltissime questioni. Ma l’idea che possa esistere un cittadino «totale», titolato a sottrarsi ad ogni forma di autorità basata sulla competenza invece che sulla maggioranza è l’anticamera della dittatura.

Torniamo al Patto sulla Scienza. Il testo richiama la politica a «legiferare» contro la pseudo-scienza. Se ciò che si chiede è l’adozione di norme che rafforzino la sfera scientifica e che leghino le mani ai politici nella presa di decisioni in certi ambiti delicati (ad esempio costringendoli a chiedere il parere degli scienziati e a tenerne adeguatamente conto), l’appello è ineccepibile. Non bisogna però mai affidare alla politica il ruolo di giudice nelle controversie scientifiche e nemmeno quello di scendere a compromessi incoerenti, come nel caso dell’«obbligo flessibile» alla dichiarazione vaccinale da parte dei genitori.

Il messaggio operativo più importante del Patto è quello che riguarda l’informazione e la scuola. È in queste due sfere che si deve imparare a usare correttamente il concetto di verità. Il che vuol dire una cosa semplice, ben riassunta già da Platone: verità è dire le cose come stanno. Pensare e parlare ricordando sempre che «là fuori» c’è una realtà ostinata e indipendente dalle nostre opinioni. E che può danneggiarci seriamente se ci illudiamo di poterla ignorare o peggio ancora piegare a nostro libero piacimento.


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