Tra presente e passato: l’appello della Conferenza russa dei Rettori
di Stefano Rapisarda ("Insula Europea", 24 Marzo 2022)
Ha trovato una qualche eco sulla stampa italiana l’appello con cui 664 uomini di scienza di nazionalità russa chiedono a Putin di interrompere il conflitto (cito solo il Foglio del 2 e dell’11 marzo 2022, a firma Enrico Bucci). Un’elementare conoscenza della storia della gestione bellica da parte delle istituzioni accademiche dalla Prima guerra mondiale in poi (mi permetto di citare il mio libro Filologi in guerra e in pace, Rubbettino 2020) mi ha subito fatto venire in mente la seguente domanda: è mai possibile che in un contesto come quello russo attuale non siano stati prodotti appelli di uomini di scienza e professori universitari in favore della guerra, sul modello del famigerato “Manifesto dei professori tedeschi” del 1914?
Com’è noto, il 4 ottobre del 1914, a due mesi esatti dall’inizio della Prima guerra mondiale, sul quotidiano «Berliner Tageblatt» venne divulgato l’Aufruf an die Kulturwelt!, il manifesto firmato da novantatre uomini di scienza tedeschi che segnò una svolta epocale nel rapporto tra università, Stato e cultura nel senso più ampio6.
Le firme includevano il Gotha della cultura mondiale nei più svariati ambiti disciplinari, dalla medicina (Emil Adolf von Behring, Nobel 1901; Paul Ehrlich, Nobel 1908), alla fisica (Wilhelm Röntgen, Nobel 1901; Max Planck, futuro Nobel 1918), alla chimica (Emil Fischer, Nobel 1902; Adolf von Baeyer, Nobel 1905), alla storia delle religioni (Adolf von Harnack), alla filologia classica (Ulrich von Wilamowitz-Möllendorff ), alla letteratura (Gerhart Hauptmann, Nobel 1912). I novantatre grandi nomi della cultura accademica tedesca respingevano le accuse di atrocità sulle popolazioni civili compiute dall’esercito nell’invasione del Belgio e vigorosamente ribadivano «al mondo della cultura» l’indissolubile unità di intenti che univa i diversi corpi dello Stato tedesco: la classe accademica, il ceto militare, il popolo e la dinastia imperiale. A esso fece seguito dopo dodici giorni un altro appello, l’Erklärung der Hochschullehrer des Deutschen Reiches, che recava i nomi di oltre quattromila firmatari, sostanzialmente tutto il corpo accademico delle Università di Germania.
L’Aufruf, il cui testo originale si può leggere in Aufrufe und Reden deutscher Professoren im Ersten Weltkrieg, Reclam, Stuttgart [2ª ediz. con Postfazione di H. Wunderer].Böhme, pp. 47-50, venne ristampato da tutti i principali quotidiani di Germania, tradotto in dieci lingue e inviato in migliaia di lettere private ai corrispondenti residenti in nazioni neutrali. Immediatamente letto, commentato, criticato in Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, paesi scandinavi, è uno dei documenti più controversi nella storia della cultura del XX secolo. Questo corpo titolatissimo di scienziati, indubbiamente i migliori del mondo, prende la parola per affermare come la patria, la Germania, fosse oggetto di una campagna di aggressione fondata su pregiudizi e false notizie, e proclama ad alta voce la sua fedeltà alla nazione, al popolo, all’esercito e naturalmente all’imperatore.
L’inizio del testo recitava: “In qualità di rappresentanti della scienza e dell’arte tedesca (Wir als Vertreter deutscher Wissenschaft und Kultur), noi solleviamo dinanzi all’intero mondo della cultura la nostra protesta contro le menzogne e le calunnie con cui i nostri nemici si sforzano di macchiare la purezza della causa della Germania nella grave lotta per l’esistenza che le è stata forzatamente imposta. La bronzea voce degli eventi ha smentito le false voci circolanti di sconfitte tedesche. Di conseguenza, si moltiplicano gli ansiosi tentativi di produrre false dichiarazioni e sospetti. Alziamo la nostra voce contro di essi. Sarà l’araldo della verità. Non è vero che la Germania è colpevole di aver causato questa guerra. Né il popolo, né il governo, né l’imperatore la volevano. Le misure più estreme sono state adottate da parte tedesca per impedirlo. [...] Non è vero che la battaglia contro il nostro cosiddetto militarismo non è una battaglia contro la nostra cultura, come sostengono ipocritamente i nostri nemici. Se non fosse stato per il militarismo tedesco, la cultura tedesca sarebbe stata da tempo spazzata via dalla faccia della terra. Il militarismo emanava da questa cultura per proteggerla in una terra che per secoli è stata devastata da incursioni predatorie come nessun’altra. L’esercito tedesco e il popolo tedesco sono uno. Oggi questa consapevolezza unisce 70 milioni di tedeschi come fratelli al di là delle distinzioni di istruzione, classe e appartenenza di partito (Deutsches Heer und deutsches Volk sind eins. Dieses Bewußtsein verbrüdert heute 70 Millionen Deutsche ohne Unterschied der Bildung, des Standes und der Partei).”
Questa “discesa in campo” senza precedenti determinò appassionate adesioni e furibonde reazioni, svelando così l’inconsistenza di un’illusione che aveva accompagnato la figura dell’uomo di scienza dall’Illuminismo in avanti: che questi fosse un tipo d’uomo votato a un fine superiore, la ricerca della verità “universale”, e non di una verità “nazionale”; e che lo scienziato lavorasse per l’umanità, non per il suo governo e una parte di umanità a lui vicina e con la quale egli condivideva la lingua, il suolo e, come presumeva l’antropologia contemporanea, il sangue.
È da questo momento in poi che comincia a manifestarsi un fenomeno nuovo nella storia della cultura, e anche della politica. Uomini di studio, accademici, scienziati, professori d’università, scendono nell’agone della militanza, si danno alla politica. O meglio, ostentano il loro servizio allo Stato, con adesione totalizzante ai fini specifici e particolari dello Stato di cui essi sono emanazione.
Torniamo al presente e rispondiamo alla domanda posta in apertura. Ebbene, ecco che il 3 marzo 2022, tramite il notiziario di informazione universitaria del quotidiano tedesco “Die Zeit”, salta fuori puntualmente l’omologo contemporaneo del “Manifesto dei 93”. La risonanza sulla stampa internazionale è stata debole; su quella italiana, se non m’inganno, inesistente. Credo sia utile riportarlo qui nella sua interezza dal sito della Conferenza dei Rettori delle Università di Russia, da me tradotto attraverso il tedesco e verificato sull’originale russo da Francesca Tuscano, che cordialmente ringrazio:
Seguono 229 firme di rettori e presidenti o vicepresidenti in rappresentanza di altrettante istituzioni, da Viktor Antonovich Sadovnichy, Presidente dell’Unione Russa dei Rettori, Rettore dell’Università Statale Lomonosov di Mosca, a Yastrebov Oleg Aleksandrovich, Rettore dell’Università dell’Amicizia dei Popoli della Russia, tutti di nomina governativa come erano d’altronde i professori tedeschi dell’Aufruf del 1914.
A un’analisi del discorso, il testo dell’“Obraščenie Rossijskogo Sojuza Rektorov” del 4 marzo 2020 ha risonanze che vanno persino al di là della retorica bellicista tedesca del Secondo Reich. L’Aufruf di Wilamovitz-Mõllendorff si indirizzava agli uomini di scienza del mondo, e dei paesi neutrali in particolare; era comunque, rivolto all’esterno; era un appello internazionale, cosmopolita, Auf die Kulturwelt! senza limitazioni di nazionalità, per quanto ovviamente cercasse di agire sull’opinione pubblica dei neutrali, e soprattutto degli (ancora non belligeranti) Stati Uniti d’America. L’”Obraščenie Rossijskogo Sojuza Rektorov” è invece tutto interno, come se sapesse in partenza di non avere argomenti utilizzabili in una comunità essenzialmente internazionale come quella della ricerca.
Insomma per chi conosce le vicende della cosiddetta ‘guerra dei professori’ che accompagnò la Prima Guerra Mondiale, si tratta di un triste dejà vu che proietta indietro di 100 anni la cooperazione scientifica internazionale, e i cui esiti sono tutto sommato prevedibili per chi conosce la storia: sospensione talvolta definitiva di collaborazioni intellettuali, cessazione di antichi sodalizi, espulsioni da organismi internazionali e nazionali, ritiro di riconoscimenti, affiliazioni, omaggi e premi, e alla fine delle ostilità, in caso di sconfitta, dichiarazioni di: “non sapevo esattamente ciò che firmavo”, “ho dato l’adesione in fiducia senza aver letto il testo”, “non potevo farne a meno data la mia posizione”, pentimento nel caso dei migliori.