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FILOSOFIA. IL PENSIERO DELLA COSTITUZIONE E LA COSTITUZIONE DEL PENSIERO

MA DOVE SONO I FILOSOFI ITALIANI OGGI?! POCO CORAGGIOSI A SERVIRSI DELLA PROPRIA INTELLIGENZA E A PENSARE BENE "DIO", "IO" E "L’ITALIA", CHI PIÙ CHI MENO, TUTTI VIVONO DENTRO LA PIÙ GRANDE BOLLA SPECULATIVA DELLA STORIA FILOSOFICA E POLITICA ITALIANA, NEL REGNO DI "FORZA ITALIA"!!! Un’inchiesta e una mappa di Francesco Tomatis - a cura di Federico La Sala

Costituzione, art. 54 - Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge
lunedì 22 settembre 2008 di Maria Paola Falchinelli
Non basta dire come fanno i francesi che la loro nazione è stata colta alla sprovvista. Non si perdona a una nazione, come non si perdona a una donna, il momento di debolezza in cui il primo avventuriero ha potuto farle violenza. Con queste spiegazioni l’enigma non viene risolto, ma soltanto formulato in modo diverso. Rimane da spiegare come una nazione dì 36 milioni di abitanti abbia potuto essere colta alla sprovvista da tre cavalieri di industria e ridotta in schiavitù senza far (...)

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> MA DOVE SONO I FILOSOFI ITALIANI OGGI?! --- FILOLOGIA, POLITICA E CARITÀ. IL PROBLEMA JEAN-JACQUES ROUSSEAU: JEAN STAROBINSKI E GHISLAIN WATERLOT.

giovedì 6 ottobre 2022

UNA QUESTIONE DI PRINCIPIO (LOGOS): IL PROBLEMA JEAN-JACQUES ROUSSEAU (JEAN STAROBINSKI) *


[Intervista]

GHISLAIN WATERLOT.

Rousseau fra Cristo e i Lumi

di Daniele Zappalà (Avvenire, martedì 31 gennaio 2012)

«Jean-Jacques Rousseau resta attuale perché ci ricorda che la dimensione religiosa dell’esistenza è propriamente umana. Non si può accantonarla così facilmente. E quando lo si fa, si compie un gesto violentissimo e dogmatico». Parola del noto studioso francese Ghislain Waterlot, che dal proprio osservatorio privilegiato svizzero all’Università di Ginevra ha scandagliato in profondità l’opera affascinante e controversa del celebre filosofo settecentesco. Moltissimo è stato scritto sul Rousseau padre degli ideali di uguaglianza e tolleranza, riconosciuto non a caso dopo la morte (2 luglio 1778) come uno dei maggiori ispiratori della Rivoluzione francese. Ma l’autentica novità delle commemorazioni di quest’anno, per il tricentenario della nascita (a Ginevra, il 28 giugno 1712), pare l’intensa riscoperta della riflessione religiosa del filosofo. «Essa non parte da Dio, ma dall’uomo, nel quale Rousseau scorge una dimensione d’attesa. Ciò interroga ancora perfettamente la nostra sensibilità», s’infervora Waterlot, che ha già pubblicato fra l’altro in Francia l’importante saggio Rousseau. Religion et politique (Presses Universitaires de France) e darà alle stampe quest’anno una nuova monografia sul pensiero religioso del filosofo.

      • Professor Waterlot, come spiega questa riscoperta?

«C’è innanzitutto una ragione politica. Oggi, la laicità torna in discussione e Rousseau è fra i pensatori che hanno giudicato necessaria una religione civile per lo Stato. Non si riferisce alle religioni storiche esistenti, verso le quali resta diffidente o critico. Ma pensa ad una religione per la polis, una religione in cui è presente ciò che egli chiama la religione naturale, a cui aggiunge l’idea di valorizzare la patria. Egli riconosce un Dio per tutti gli uomini che chiede giustizia e pace, ma aggiunge poi che le leggi della comunità politica debbono ritenersi sante. La religione civile rafforza la società, ne preserva l’unità, ma evitando un’eccessiva aggressività verso le nazioni vicine. Al contempo, nella sua concezione della religione naturale, egli si distingue per la grande attenzione riservata a Gesù. Rousseau è un cristiano molto particolare, che non crede nell’Incarnazione e nella Resurrezione. Ma che non cessa di ripetere: “sono cristiano, un cristiano autentico e sincero”».

      • In che modo interpreta Gesù?

«Gesù è al di sopra di tutti gli uomini mai esistiti. Confrontando Gesù e Socrate, egli scrive nell’Emilio: “Se la vita e la morte di Socrate sono di un saggio, la vita e la morte di Gesù sono di un Dio”. Egli non dice “di Dio”, ma “di un Dio”. Altri hanno spesso considerato Gesù e Socrate sullo stesso piano, ma non Rousseau. Gesù corrisponde a un’umanità non corrotta dalla realtà sociale e dalla storia umana. Gesù è l’uomo perfetto, per questo particolarmente amato da Dio».

      • L’uomo, per Rousseau, può sentire intimamente la presenza di Dio?

«La percezione di Dio è legata a un “istinto divino” che si trova in ciascuno di noi. È un aspetto essenziale. Sentiamo Dio. In proposito, non si deve sottovalutare che Rousseau ha sempre preso cura di una certa vita spirituale, come mostra in particolare Giulia o la nuova Eloisa. Il personaggio di Giulia prova il bisogno di rivolgersi al Grande Essere. In lei, Rousseau valorizza la preghiera, ma quest’ultima non deve mai divorare la vita. La vita deve restare in primo piano, anche se la preghiera permette di porre l’individuo davanti al Creatore, facendogli ritrovare la pace».

      • Qual è il suo rapporto con il Vangelo?

«Il Vangelo occupa un posto speciale. Egli lo legge e rilegge. È la guida per chi vuol vivere secondo giustizia e come Dio ha voluto. Egli scrive che è il più bel libro che abbia mai letto. Che se dovesse averne uno solo, sarebbe il prescelto. Ma aggiunge che il Vangelo resta un libro e che non può sostituire la voce della coscienza. È una visione particolare. Inoltre, Rousseau è molto critico verso i miracoli, sostenendo che Gesù non volle farne e che furono i suoi interlocutori a vederne dappertutto. In questo, prende Pascal in contropiede, ritenendo che si può avere la fede solo togliendo i miracoli».

      • Rousseau sognava di riformare il cristianesimo senza ammetterlo?

«Penso di sì. Del resto, talora lo confessa quasi. In certe lettere, scrive: “Nella nostra epoca, non c’è più un solo cristiano sulla terra”, probabilmente vedendosi un po’ come l’ultimo, come il vero discepolo di Cristo del tempo. Rousseau nasce nel protestantesimo, poi a 16 passa al cattolicesimo, a Torino. Quindi, nel 1754, torna a Ginevra e alla confessione riformata. Ma i pastori e la città di Ginevra lo respingono dopo la pubblicazione del Contratto sociale e dell’Emilio. Per Rousseau, Dio è creatore e occorre riconoscerlo come centrale, ma non è trinitario. Nella vita, l’essenziale è avere una buona condotta morale, mentre le condotte dogmatiche della Chiesa sono deboli. Egli si posiziona al di là delle confessioni».

      • Pur essendo un grande difensore della tolleranza, Rousseau rifiutava l’ateismo. Un paradosso?

«Egli rifiuta l’ateo, innanzitutto, considerandolo alla stregua di un indifferente. In fondo, per Rousseau, è ateo chi ragionando trova argomenti contro l’esistenza di Dio. Al riguardo, Rousseau non nega che tali argomenti esistano, accanto a quelli che tendono a provare l’esistenza di Dio. Ma in fondo, gli atei sono talmente assorbiti dai loro ragionamenti da soffocare la voce della coscienza. Vi è poi una seconda critica, più sociale. L’ateismo è una convinzione dei benestanti, di coloro che snobbano la miseria altrui. Essi dimenticano che il cristianesimo è innanzitutto attento a chi soffre, un punto che per Rousseau è fondamentale».


NOTA:

AL DI LÀ DELLA "DOTTA IGNORANZA": IL PROBLEMA DELLA CARITÀ ("CHARITAS").
-  Un problema di filologia ed eco-nomia (teologia e antropologia)!

      • "CARITÀ. Il mondo è un beneficio. - L’umanesimo del Rinascimento, incline al sincretismo, ha messo insieme il Dio donatore dea Bibbia ebraica, il demiurgo patonico e il dio benefattore dello stoicismo. Il trattato De beneficiis di Seneca - in cui la questione del dono è tratta in modo esaustivo - vede in Dio l’esempio supremo della benevolenza disinteressata" (cfr. Jean Starobinski, A piene mani. Dono fastoso e dono perverso, Einaudi, Torino 1995, p. 43).

      • SOCRATE E IL DONO DI "SE STESSO" (DELL’ALLIEVO AL MAESTRO): "Dal momento che ognuno offriva a Socrate molte cose secondo le proprie possibilità, Eschine, un allievo povero, disse: "Non trovo nulla degno di te che possa darti, e solo per questo motivo mi sento povero. Quindi ti dono l’unica cosa che ho: me stesso. Gradisci questo dono, te ne prego, per quello che può valere, e considera che altri, pur offrendoti molto, hanno tenuto molto di più per se stessi. E Socrate gli rispose: “Perché mai non dovrebbe essere un grande dono quello che mi hai fatto? A meno che tu non abbia poca stima di te stesso! Avrò, quindi, cura di restituirti a te stesso migliore di quando ti ho ricevuto”. Con questo dono Eschine superò l’animo di Alcibiade, che era pari alle sue ricchezze, e tutta la munificenza dei giovani ricchi."(Lucio Anneo Seneca, De beneficiis, I. 8).

      • RAPPORTO INDIVIDUO-SOCIETÀ: IL CONTRATTO SOCIALE. "Rousseau ricorre espressamente al verbo donner (dare, donare) quando definisce il contratto fondamentale: «Ognuno dandosi tutto intero»; «Ognuno dandosi a tutti» (J. Starobinski, op. cit., nota 5, p. 45

      • ROUSSEAU E SOCRATE (PLATONE). "Il legislatore di Rousseau riprende in parte il ruolo pedagogico tenuto da Socrate nel racconto riportato da Seneca" (J. Starobinski, op. cit., nota 6, p. 45).

Federico La Sala


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