Se all’analisi di Veltroni manca Berlusconi
di Furio Colombo (il Fatto, 24.06.2013)
C’è differenza fra un libro serio, pensoso e intelligente sul dramma dell’Italia di oggi e la mappa che indica dove, come uscire dalla crisi. C’è differenza fra una meditazione e un “che fare”. Walter Veltroni, in questo suo E se noi domani, L’Italia e la Sinistra che vorrei (Rizzoli) si ferma a riflettere in una meditazione in pubblico ricca di dati, fatti, notizie, ricordi, preannunci, desideri, attese. Ma una meditazione non è un programma. È vero che l’autore non promette mai ciò che non può mantenere. È vero che fin dall’inizio non gioca con abilità (il tipico gioco della politica) e non esibisce carte che non vuole usare. Il libro è onesto, è in parte (sia pure in modo implicito) un diario. C’è in ogni pagina un desiderio sincero di “uscire a riveder le stelle” (cito più Benigni che Dante). È anche vero che, fatalmente, i lettori, nonostante la lealtà dell’autore e la chiarezza del libro, aspettano fatalmente la risposta alla domanda: come mi salvo? E chi mi salva?
PROVO A DIRE che cosa c’è e che cosa manca (manca, naturalmente, in una attesa che non ha niente a che fare con il progetto dell’autore e che però non può essere cancellata) in questo libro di Veltroni. C’è una buona analisi del precipitare nella crisi, non solo, non tanto numeri, quanto constatazioni e confronti, un inedito modo di narrare in modo letterario una crisi che viene rappresentata sempre e solo con cifre.
C’è una sosta sulla parola e sul concetto di sinistra. Troppa o troppo poca? Compare, più o meno al centro, la parola “riformismo” come il luogo e la pietra magica del cambiamento dal peggio al meglio. C’è una sosta sul sistema elettorale che non appartiene a questa “meditazione” perchè o si entra nel labirinto tecnico del bene e del male che c’è in ciascuna proposta o si è costretti a sostare in una zona di buon auspicio. Veltroni qui si accosta al semipresidenzialismo. Sono le uniche pagine che mi sembrano appartenere a un altro libro.
QUI INVECE CI SONO tre parole, responsabilità, comunità, opportunità che possono aprire un discorso interessante, ma con chi? Neppure il senso di preoccupazione e di affetto che passa nelle pagine di questo libro diminuisce la solitudine, che resta la sindrome prevalente di questa crisi.
Ma il problema più grave a me sembra il non avere affrontato la clamorosa deformazione di tutto imposta all’Italia dalla lunga e pesante egemonia di Berlusconi. Il conflitto di interesse e la potenza illegale si rovesciano da 20 anni su tutto e cambiano e peggiorano ogni scena, in ogni campo. Vorrei chiedere a Veltroni di non continuare a pensare che il berlusconismo sia nella testa di chi lo denuncia. Il Berlusconismo è Berlusconi. E il Paese ne sta morendo.