D’Alema rivaluta gli inciuci: alcuni oggi servirebbero
Ma Di Pietro: non mi siedo al tavolo col Pdl
di LUCIANO BORGHESAN (La Stampa, 19/12/2009)
TORINO Inciucio. A sinistra si può di nuovo dire, è Massimo D’Alema a ricordare che «per i comunisti italiani c’è sempre stato» e che «certi inciuci sono stati molto importanti per costruire la convivenza in Italia».
Oggi? «E’ più complicato, invece sarebbero utili anche adesso. Ma questa cultura azionista radicale non ha mai fatto bene al Paese», l’ex leader del Pds contrattacca rispetto a chi - come Antonio Di Pietro - lo attacca per aver lasciato ventilare che è meglio «una leggina ad personam» piuttosto che una legge tipo «processo breve» che impedirebbe la prosecuzione di tanti percorsi giudiziari (altrui). «I comunisti italiani hanno sempre dovuto difendersi da questo tipo di accuse - dice D’Alema - C’è sempre stato qualcuno più a sinistra, una cultura azionista che ha sempre contestato questo, da quando Sofri accusò Togliatti di non voler fare la rivoluzione, dall’art. 7 (Stato e Chiesa) in giù che è stato il primo grande inciucio».
Una vigilia di Natale di dialogo in casa Pd, ma non nei toni che auspicherebbe il centrodestra: giovedì sera, Dario Franceschini e Rosy Bindi alla riunione del «caminetto» con Pier Luigi Bersani non avevano sposato la prima mossa di D’Alema, ieri anche Piero Fassino si è dimostrato perplesso: «Ogni volta che ci siamo misurati con le riforme e non ce l’abbiamo fatta, la conseguenza è stata il precipitare della situazione politica». La disponibilità di D’Alema a trattare sulla giustizia trova pronta la replica di Di Pietro che già l’aveva criticato per aver strizzato l’occhio sul «legittimo impedimento» per evitare il processo-breve: «Scandaloso pensarlo: è come dire che piuttosto che essere colpiti da uno sparo, è meglio essere accoltellati», poi ha aggiunto: «Per fortuna non passerà perché i suoi stessi elettori la bocceranno».
Di Pietro proprio non c’azzecca. Alla proposta del confronto sulle riforme in materia di giustizia, l’ex pm non crede, mette sul chi va là i possibili alleati delle prossime elezioni regionali e avverte l’elettorato: «L’Italia dei Valori vuole uscire dall’ipocrisia del dialogo a parole che serve solo a coprire azioni che di fatto sono l’esatto contrario delle riforme». L’ex pm indica i “problemi” del premier e arringa: «L’unica cosa a cui serve questo dialogo è costruire spazi di impunità, spazi di economia a disposizione di pochi e a danni di molti, spazi di totale abbandono delle classi sociali più deboli. Non è dialogo, è il consenso che il sultano di turno chiede per godere vedendo soffrire».
A Torino per un convegno sull’Europa e poi a Biella sul nucleare, Di Pietro è contro il «processo breve», contesta il provvedimento per il trasferimento di giudici nelle procure scoperte, boccia ipotesi di «legittimo impedimento»: è di traverso sulla giustizia: più se ne discute e più il suo «NO» diventa maiuscolo, urlato. E non ci sta a essere definito l’uomo-ostacolo: «Noi siamo uno stimolo alle riforme vere, non alla deformazione della Costituzione». A fianco del filosofo ed europarlamentare, Gianni Vattimo, puntualizza: «In nome delle riforme, quel che finora è stato proposto è l’abrogazione dell’articolo 3 della Costituzione, perché non si vuole accettare il principio che la legge è uguale per tutti».
Nel viaggio verso Biella, ripete al segretario regionale Andrea Buquicchio, ai parlamentari piemontesi Renato Cambursano e Patrizia Bugnano che quel diritto-dovere deve essere fatto rispettare: «È chiaro che al tavolo per modificarlo non ci siederemo mai». Convintissimo «per valutazione giuridica», ma anche «per opportunità: non credo che gli elettori del centrosinistra possano accettare passi in quella direzione».