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Psicoanalisi della società contemporanea...

LA FRECCIA FERMA. L’ITALIA IN PREDA A UNA GRAVE E PROFONDA NEVROSI OSSESSIVA. Un lavoro di Elvio Fachinelli, recensito dal prof. Federico La Sala

sabato 20 settembre 2008
[...] La ricerca prende le mosse, dunque, dall’analisi dell’uomo che annulla il tempo e dai suoi risultati: la ricostruzione. in funzione del tempo, di "un modo generale di vivere ossessivo" (p. 10). Di qui, procedendo "per salti e indizi, secondo una trama di fili " (P. A. Rovatti, I morti viventi e l’aquila littoria, "la Repubblica ", 17.11.79), e, in particolare, sempre seguendo "il filo del tempo", vengono posti in relazione e analizzati la nevrosi ossessiva stessa, "le società (...)

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> LA FRECCIA FERMA. L’ITALIA IN PREDA A UNA GRAVE E PROFONDA NEVROSI OSSESSIVA. --- L’Italia sfiduciata del 2010. Il 44esimo rapporto Censis più che un’analisi socio-economica è una seduta di psicoterapia collettiva

sabato 4 dicembre 2010


-  Senza legge né desiderio. L’Italia sfiduciata del 2010

-  Il 44esimo rapporto Censis più che un’analisi socio-economica è una seduta di psicoterapia collettiva.
-  De Rita: «Chi governa dia agli italiani il senso della responsabilità». Il 70% non vuole più poteri al premier.
-  Il tramonto del «soggettivismo» e carisma del leader: Berlusconi «icona» di un ciclo finito
-  Il rapporto Censis mostra un Paese «appiattito», senza regole, preda di «facili impulsi sessuali»

di Federica Fantozzi (l’Unità, 04.12.2010)

E finì che ad essere sfiduciata fu l’Italia. Parafrasando Almodovar: un Paese senza più legge né desiderio. È il quadro fosco, e a tratti grottesco, che emerge dal rapporto Censis 2010. L’Italia che per resistere alla crisi si è ripiegata: «appiattita» e priva di pulsioni vitali, preda di comportamenti sregolati come bullismo e «facili godimenti sessuali», dove il «desiderio è esangue» perché schiacciato dalla preponderanza dell’offerta (inutile), dal sesto telefonino al millesimo corso universitario.

Più che un’analisi socio-economica, un’inquietante seduta di psicoterapia collettiva. Che mostra un Paese confuso e per niente felice. Ma certifica anche, attraverso la disillusione verso concetti chiave come «leaderismo» e «carisma», la fine di un ciclo politico iniziato 50 anni fa. Il 71% degli italiani non crede che attribuire più poteri al premier risolverebbe i problemi. Si sono sgonfiati a confronto con la realtà gli annunci mediatici del governo: la social card, il piano casa taumaturgico per il rilancio dell’edilizia, la lotta alla povertà, l’ormai mitica autostrada Salerno-Reggio Calabria. Prima di Berlusconi in Parlamento, insomma, pare che sia finito il berlusconismo nelle teste delle persone.

Spiega il presidente del Censis Giuseppe De Rita che la gente non si lascia più sedurre dal «soggettivismo» incarnato prima da Craxi, il decisionista che non voleva mediare con la Dc, e perfezionato da Berlusconi «che aveva anche l’ultimo step: i soldi».

Un’epopea cominciata in realtà prima, «con la rivendicazione di Don Milani della libertà di essere se stessi, che Berlusconi non ha creato ma cavalcato», e con le lotte femministe degli anni ‘70, le nuove leggi sull’aborto e sul divorzio: «Verticalizzazione e mediatizzazione del potere hanno esaurito la forza vitale». Il Cavaliere «icona del soggettivismo» a fortiori.Non è soltanto il fallimento del “ghe pensi mi”: è la tragedia dell’Uomo del Fare che nulla ha fatto agli occhi degli elettori.

Cosa resta? Una classe politica «litigiosa e poco focalizzata sui problemi strutturali». Una Pubblica Amministrazione che, con buona pace di Brunetta, non funziona e non convince.

Un’opinione pubblica «delusa e poco coinvolta». Una società cristallizzata nello stagno della triade minimalista: mattone, polizze assicurative, risparmi. Un’economia che, in controtendenza mondiale, anziché fare perno sull’autoimprenditorialità, la flessibilità di orari, il modello aziendale con partecipazione dei lavoratori agli utili, si confina da sé nel recinto sicuro del lavoro dipendente. Un’evasione fiscale che non si può più ignorare perché sono i «virtuosi» a pagarne il pegno.

Ancora: una fetta impressionante di giovani, 2 milioni e 242mila tra i 15 e i 34 anni, che non studia né lavora né cerca impiego. Secondo la metà degli italiani (tra cui il ministro Sacconi che però lo imputa ai residui del ‘68) lo fa perché rifiuta occupazioni faticose o poco prestigiose. Una scuola mortificata dove il 53% degli istituti si arrabatta ricorrendo al contributo volontario delle famiglie per sopravvivere. Dulcis in fundo: carceri invivibili con sovraffollamento al 150%, immigrati che cominciano a essere disoccupati, il pericolo che in tempi di ristrettezze la criminalità organizzata infetti ulteriormente il già non solidissimo tessuto sociale. Siamo «fragili» come persone e come massa, «spaesati, indifferenti, cinici, egoisti e narcisisti, prigionieri dei media».

Come uscirne? La ricetta di De Rita è secca: «Bisogna ritrovare energie e impulsi vitali. Chi si pone come leader non dovrebbe presentarsi con un’offerta proliferante su tutto ma dovrebbe avere la forza e il coraggio di ridare agli italiani il senso della loro responsabilità e della loro voglia».

Dalla Grande Illusione, insomma, alla Grande Passione. «Stiamo diventando una società con poco vigore perché abbiamo poco spessore». Servono leggi, regole, istituzioni rispettate e non picconate. Ritrovare il senso delle collettività partendo però dai singoli. Perché il 44% individua negli evasori fiscali il male principale del nostro sistema. Ma il 34% ammette di rinunciare volentieri a scontrino o fattura in cambio di uno sconto.


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