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EMERGENZA BALLISMO. COME UN CITTADINO RUBA IL NOME DI TUTTO UN POPOLO, NE FA LA BANDIERA DEL PROPRIO PARTITO PERSONALE E REALIZZA LA PIU’ GRANDE BOLLA DELLA STORIA DELLA SPECULAZIONE ITALIANA...

LE BOLLE DEI SIGNORI DELLA FINANZA E DELLA POLITICA, IL RISCHIO REGIME, E LA DISCESA IN CAMPO DI MARINA BERLUSCONI. "WALL STREET MAIN STREET". L’analisi di Barbara Spinelli - a cura di Federico La Sala

venerdì 10 ottobre 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] il decisionista che vorrebbe rincuorare la nazione, accentua negli italiani le «tendenze alla chiusura autarchica e all’arroccamento sociale», e ha in realtà «poca memoria e pochissima speranza»: lo scrive con lucide parole don Vittorio Nozza sull’Osservatore Romano del 27 settembre.
Chi invoca l’emergenza dice che pensa a Main Street più che a Wall Street, al cittadino più che agli speculatori. Ma Main Street ha bisogno di una democrazia con poteri suddivisi e autonomi, ha bisogno (...)

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> LE BOLLE DEI SIGNORI DELLA FINANZA E DELLA POLITICA, IL RISCHIO REGIME, E ---- Negli Usa intanto crescono i dubbi sulla efficacia del piano Paulson da 700 miliardi. Le fragili difese dell’Europa.

lunedì 6 ottobre 2008


-  L’ANALISI / Negli Usa intanto crescono i dubbi
-  sulla efficacia del piano Paulson da 700 miliardi

-  Le fragili difese dell’Europa
-  alla prova dello tsunami globale

di FEDERICO RAMPINI *

"Vogliamo che da questa crisi esca un mondo nuovo". L’ambizioso proclama di Sarkozy al G4 da oggi affronta il test severo del mondo reale: tra nuovi salvataggi bancari, la recessione, e presto un summit mondiale sull’emergenza economica.

Il calendario offre a Sarkozy e ai suoi colleghi Merkel, Brown e Berlusconi l’opportunità di cimentarsi subito con quella sfida: "Ricostruire le fondamenta del sistema finanziario internazionale". L’audacia verbale del presidente francese si è spinta fino a prefigurare una nuova Bretton Woods, la conferenza internazionale che durante la seconda guerra mondiale (1944) disegnò l’architettura dell’ordine economico post-bellico sotto la leadership di Franklin Roosevelt e l’ispirazione teorica di Keynes.

Stavolta, è il messaggio venuto da Parigi, tocca all’Europa segnare la strada anziché agli Stati Uniti, principali responsabili dell’attuale disastro. L’idea è che il capitalismo finanziario - un mostro generato dall’America - vada castigato per ridare la priorità all’industria, all’economia reale, alla creazione di una ricchezza non fasulla. Ma il summit di Parigi è stato avaro di proposte concrete su come arrivare da qui a là: con quali nuove regole, e con quale consenso politico.

La sfida lanciata dal G4 fin da oggi farà i conti con il problema del consenso su scala europea: il vertice dei 27 ministri economici dell’Eurogruppo dovrà dare il via libera alla "interpretazione flessibile" del Patto di stabilità, e ufficializzare una maggiore indulgenza dell’Unione verso gli aiuti di Stato alle imprese in difficoltà.

Poi si apre il summit del Fondo monetario internazionale a Washington, a metà settimana: per la prima volta da quando la crisi è entrata nella sua fase più acuta, l’Occidente potrà confrontarsi con le potenze emergenti Cina, India, Russia. Se l’Europa ha in tasca un disegno per riformare le regole del capitalismo e inaugurare una nuova governance globale, quella sarà la sede ideale per conquistare appoggi. Ammesso che in questi giorni i governi europei non siano troppo affannati a rincorrere altri focolai di crisi: come l’improvvisa débacle del piano di salvataggio di Hypo Real Estate, il colosso tedesco dei mutui (400 miliardi di euro di esposizione, quasi le dimensioni del piano Paulson).

Angela Merkel interpreta i sentimenti dei tedeschi opponendosi a un maxifondo "salvabanche" su scala europea, copiato dal piano americano. Popolo di risparmiatori, i tedeschi guardano con diffidenza al "capitalismo dei debiti" made in Usa; stigmatizzano quei loro finanzieri che si sono fatti ipnotizzare dal modello americano e hanno zavorrato i bilanci delle banche tedesche con i titoli tossici. Ma più che al rigore morale della Merkel, figlia di un pastore luterano, la mancata approvazione di un piano europeo si deve a ragioni concrete evocate dal presidente della Banca centrale europea.

"Noi non abbiamo un bilancio federale - ha detto Trichet - per cui l’idea di replicare ciò che si sta facendo sull’altra riva dell’Atlantico è incompatibile con la struttura politica dell’Europa". È qui che i proclami di Sarkozy ("rifare il capitalismo mondiale") si scontrano con i ritardi della politica. Dopo aver costruito la moneta unica, dopo avere spinto le banche europee a diventare dei giganti transnazionali a furia di fusioni e acquisizioni, fino a perdere capacità di controllo sulle loro attività, le nazioni europee contemplano le conseguenze della loro mancata integrazione politica.

La guerricciola dei depositi tra Inghilterra e Irlanda - i risparmiatori britannici in fuga verso le banche di Dublino che da pochi giorni offrono una garanzia statale illimitata sui depositi - secondo Willem Buiter della London School of Economics "è l’equivalente delle reazioni medievali durante le epidemie di peste bubbonica, quando le armate lanciavano i cadaveri infetti dentro le mura delle città nemiche".

Anche se passa una moratoria del rigore di bilancio, per consentire temporanei sforamenti dei deficit pubblici e contrastare la recessione, questo potrà avere effetti di ulteriore divaricazione dentro l’Europa. Paesi come la Germania arrivano alla crisi con finanze pubbliche più solide, e potranno usare i margini di elasticità per politiche di sostegno alla domanda.

Nazioni come l’Italia sono afflitte da un debito pubblico il cui rifinanziamento è diventato ancora più pesante (la crisi ha allargato la forbice dei tassi fra i nostri Bot e i Bund tedeschi). Come ha detto il numero uno dell’Ocse: "Quando c’è il sole bisogna risparmiare per i giorni di pioggia. Ora diluvia ma alcuni paesi hanno ombrelli molto piccoli". I quattro leader europei riuniti a Parigi non sono riusciti ad annunciare una vera vigilanza bancaria su scala europea, né regole comuni per prevenire futuri disastri finanziari. Neppure un unico livello per la garanzia statale sui depositi in caso di fallimento di una banca nel territorio dell’Unione.

Sono d’accordo per tagliare le liquidazioni ai banchieri incompetenti - doverosa sanzione - ma al tempo stesso promettono regole più "elastiche" sulla contabilità, che consentiranno alle banche di rinviare l’operazione-verità sulle perdite.

La fragilità della diga europea contro lo tsunami finanziario accentua i timori sul contagio americano. C’è poca speranza che l’America abbia finito di esportare danni. La sua economia reale perde colpi su tutti i fronti: sale la disoccupazione, scendono i consumi e gli investimenti, diminuiscono perfino le spese sociali degli Stati (alcuni dei quali rischiano la bancarotta, come la California), cioè lo "stabilizzatore" automatico che Keynes inventò contro la depressione degli anni Trenta. E col passare dei giorni i dubbi sull’efficacia del piano Paulson aumentano.

Non giova il fatto che il ministro del Tesoro, già numero uno della Goldman Sachs, stia assumendo proprio dalla sua ex banca d’affari gli "esperti" che dovranno spendere 700 miliardi di dollari per comprare dagli istituti di credito i titoli-spazzatura. Il groviglio di conflitti d’interessi che da anni ha minato la solidità del sistema finanziario americano, rischia di riprodursi nella gestione di quel fondo. Un’improvvisa fame ha scatenato alcuni colossi (Bank of America, Citigroup, JP Morgan Chase) in cerca di banche decotte da acquistare.

È perfino scoppiata una guerra giudiziaria tra Citigroup e Wells Fargo su chi si prenderà il "cadavere" della banca Wachovia. Tanto ardore alimenta un sospetto: i banchieri considerano che il fondo Paulson sarà una cuccagna per loro. Anziché lasciar fallire le mele marce, ne accaparrano il maggior numero possibile, per rivenderle a caro prezzo ai contribuenti americani. Il nuovo presidente Usa non assumerà i poteri fino a gennaio, in tre mesi tutto è possibile. Sarebbe questo il momento per riempire il vuoto di leadership americana con una iniziativa europea. Che unisca sostanza, contenuti, e tempi rapidi, oltre alle "visioni" di Sarkozy.

* la Repubblica, 6 ottobre 2008


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