Inviare un messaggio

In risposta a:
EMERGENZA BALLISMO. COME UN CITTADINO RUBA IL NOME DI TUTTO UN POPOLO, NE FA LA BANDIERA DEL PROPRIO PARTITO PERSONALE E REALIZZA LA PIU’ GRANDE BOLLA DELLA STORIA DELLA SPECULAZIONE ITALIANA...

LE BOLLE DEI SIGNORI DELLA FINANZA E DELLA POLITICA, IL RISCHIO REGIME, E LA DISCESA IN CAMPO DI MARINA BERLUSCONI. "WALL STREET MAIN STREET". L’analisi di Barbara Spinelli - a cura di Federico La Sala

venerdì 10 ottobre 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] il decisionista che vorrebbe rincuorare la nazione, accentua negli italiani le «tendenze alla chiusura autarchica e all’arroccamento sociale», e ha in realtà «poca memoria e pochissima speranza»: lo scrive con lucide parole don Vittorio Nozza sull’Osservatore Romano del 27 settembre.
Chi invoca l’emergenza dice che pensa a Main Street più che a Wall Street, al cittadino più che agli speculatori. Ma Main Street ha bisogno di una democrazia con poteri suddivisi e autonomi, ha bisogno (...)

In risposta a:

> LE BOLLE DEI SIGNORI DELLA FINANZA E DELLA POLITICA, IL RISCHIO REGIME ---- Nè panico nè populismo.

domenica 12 ottobre 2008

Nè panico nè populismo

VITTORIO EMANUELE PARISI (La Stampa, 11/10/2008)

In questi giorni si è molto, e giustamente, parlato del pericolo che la crisi finanziaria mondiale finisca con l’alimentare un’ondata di panico irrazionale, la sola che sarebbe davvero in grado di mettere in ginocchio l’economia globale. Il monito appare sacrosanto, ma val la pena segnalare come, nella Penisola, insieme con il panico ciò che rischia di venire risvegliato e alimentato è quella miscela di populismo e anticapitalismo che troppe volte ha impedito che l’Italia potesse diventare quel Paese normale, o semplicemente moderno, in cui vorremmo vivere. Non c’è dubbio che i mercati finanziari, soprattutto quei segmenti che trattano i prodotti più innovativi e sperimentali, altamente redditizi e parimenti volatili, necessitino di una regolamentazione maggiore e più efficace. Il «mercato», d’altro canto, è un’istituzione, al pari dello Stato, e solo una visione ideologizzata dello Stato e del mercato hanno potuto lasciare intendere che l’uno potesse crescere e fortificarsi mentre l’altro andava in malora. In fondo, il caso italiano è paradigmatico (al negativo) di questa relazione. Le regole sono quindi necessarie e benvenute proprio laddove si scambiano valori finanziari, perché senza regole non ci può essere fiducia e qualunque anticipazione sul futuro rischia di tramutarsi in azzardo.

E alla politica spetta di dettare le regole e di farle applicare. Questo, insieme al rigore nel fornire informazioni non allarmistiche e alla garanzia che le istituzioni non saranno passive spettatrici di quanto sta avvenendo, va nella direzione di rassicurare l’opinione pubblica e di combattere il panico. Il messaggio appropriato è quello di spiegare che la politica può fornire nel breve periodo quei correttivi che consentano al mercato di ritrovare il suo autoequilibrio nel lungo periodo. Evidentemente, prospettare la necessità della temporanea chiusura dei mercati (anche se poi smentendo) o arrivare a «consigliare» quali titoli acquistare, come inopportunamente ha fatto il presidente del Consiglio, non solo travalica tale limite, ma finisce anche col sortire l’effetto opposto: alimentando la sfiducia nelle capacità autoregolatrici del mercato in un momento e in un Paese in cui essa è già molto bassa.

Questa è la stagione ideale per alimentare le culture politiche che guardano con sospetto all’economia di mercato, al capitalismo e al profitto. Non occorrerà ricordare che la «grande crisi» alimentò il successo dei movimenti populisti e fascisti che dilagarono per l’Europa negli Anni 30 e il sospetto e il rancore verso le lobby finanziarie internazionali furono combustibile per l’ipernazionalismo e l’antisemitismo che questi movimenti rinfocolarono. Anche grazie all’Unione, oggi è più difficile che una simile deriva sia compiutamente possibile. In Italia, poi, è paradossale che il «rischio di un regime» sia il tormentone preferito di un leader populista quant’altri mai. Ma, se è significativo che i movimenti e partiti populisti, compresi quelli che non si collocano a destra, siano assai polemici verso l’Europa, è preoccupante che per questa via trovino spesso il varco per raggiungere i cuori dell’elettorato. La timidezza delle istituzioni europee, e la volontà dei governi di non andare oltre il coordinamento delle singole politiche nazionali nell’affrontare la presente crisi, rischia così di fornire legna al fuoco della polemica antieuropea e sostegno a chi se ne fa paladino. Troppo a lungo, infatti, si è argomentato che la realizzazione dell’Unione (e della moneta unica) fosse un frangiflutti contro i marosi della globalizzazione, per illudersi che essa possa uscire indenne da una eventuale crisi prolungata. Se alle istituzioni europee non sarà consentito di giocare un ruolo maggiore, è fin troppo facile prevedere che alle prossime elezioni i partiti populisti aumenteranno e di molto il loro consenso. Nel caso dell’Italia, poi, il rischio è che al danno dovuto alla crisi finanziaria globale si aggiunga la beffa della chiusura della timida stagione di liberalizzazione e deregolamentazione dell’economia (reale e non).

Un refrain in voga nelle ultime settimane è quello di un ritorno a un capitalismo più regolato, dopo gli anni di sbornia liberista, d’iperfinanza e di deregolamentazione selvaggia. Tutto molto giusto e condivisibile. Peccato che reaganismo e thatcherismo, qui da noi, abbiano imperato più nei dibattiti accademici e giornalistici che nella realtà. La nostra economia, quella reale in particolare, ma anche quella finanziaria, soffrono semmai di un eccesso di regolamentazione (per lo più cattiva) al punto che il mercato ne risulta asfittico e irrigidito. Guai se, sull’onda della giusta richiesta di una migliore e più efficace regolamentazione dei mercati per i prodotti finanziari più innovativi, prendesse corpo quella tendenza italiana al consociativismo e all’ipertrofia regolatoria che ben conosciamo e contro la quale lottano quotidianamente imprenditori e lavoratori. Quella che ci aspetta è quindi una lotta su due fronti. Contro gli effetti dell’iperfinanza globale che distrugge quella ricchezza che non crea, e contro chi non crede nella «distruzione creatrice» del capitalismo e nella virtù del mercato. Questo, signor Presidente, è il miglior modo «per evitare il panico e per ridare serenità agli italiani».


Questo forum è moderato a priori: il tuo contributo apparirà solo dopo essere stato approvato da un amministratore del sito.

Titolo:

Testo del messaggio:
(Per creare dei paragrafi separati, lascia semplicemente delle linee vuote)

Link ipertestuale (opzionale)
(Se il tuo messaggio si riferisce ad un articolo pubblicato sul Web o ad una pagina contenente maggiori informazioni, indica di seguito il titolo della pagina ed il suo indirizzo URL.)
Titolo:

URL:

Chi sei? (opzionale)
Nome (o pseudonimo):

Indirizzo email: