Bangkok si ribella al Berlusconi d’Oriente
La proposta di amnistia per l’ex primo ministro Shinawatra, fratello della premier in carica scatena la protesta dell’opposizione
Scontri in piazza
di Gabriel Bertinetto (l’Unità, 02.12.2013)
Presenti i capi delle tre armi, che si professano neutrali, il leader dei rivoltosi intima la resa alla donna accusata di guidare il governo della Thailandia per conto del fratello, esule e pregiudicato: Thaksin Shinawatra, il Berlusconi d’oriente. L’incontro avviene in una località segreta, dove la premier Yingluck Shinawatra si è rifugiata dopo che il circolo sportivo in cui si apprestava a incontrare la stampa internazionale era stato assaltato dai manifestanti.
Accade al termine di una giornata convulsa. Per la prima volta dopo una settimana di proteste pacifiche, sono divampati duri scontri fra polizia e dimostranti. Poche ore prima, nella notte fra sabato e domenica, manifestanti di opposte fazioni si erano affrontati vicino a uno stadio nella zona di Ramkhamhaeng, lasciando sul campo le prime vittime, tre, di questa ennesima ondata di disordini politici a Bangkok. Mentre la notte cala sulla capitale thailandese, non è affatto chiaro se la crisi si avvicina al drammatico epilogo annunciato dal capo dello schieramento antigovernativo, Suthep Thaugsuban: «Ho detto a Yingluck che questa è la prima e ultima volta che le parlo fino a quando non cederà il potere al popolo. Non ci saranno negoziati e tutto deve finire entro due giorni». Cioè domani, mentre oggi i cittadini di Bangkok vengono da lui esortati a godersi un giorno di vacanza e unirsi alla mobilitazione di piazza.
Le parole di Suthep cadono nel silenzio delle autorità, che non contestano la ricostruzione del colloquio, senza nemmeno confermare né smentire che fosse davvero avvenuto. Il vice-premier Pracha Promnok si limita ad invitare la gente a non uscire di casa fra le dieci di sera e le cinque di mattina, «per non restare vittime di provocazioni». Più un consiglio che un coprifuoco. Toni più minacciosi nella dichiarazione di Piya Utayo, portavoce della polizia, che preannuncia l’intervento degli uomini in uniforme per riappropriarsi delle «proprietà pubbliche» occupate dai contestatori. L’affermazione appare in singolare contraddizione con quanto ha dichiarato poco prima il capo della sicurezza nazionale Paradorn Pattanathabutr. «Non hanno preso un solo edificio», diceva Paradorn, smentendo che fossero caduti in mano ai rivoltosi una decina di siti.
Difficile capire comunque da che parte stiano le varie agenzie preposte alla sicurezza pubblica. In linea generale la polizia sembra ligia alle disposizioni del potere centrale, mentre i militari preferiscono mantenere un profilo istituzionale estraneo allo scontro politico in atto. Nel recente passato hanno però dimostrato in modo molto concreto la loro avversione verso la fetta di establishment legata a Thaksin, arrivando anche a destituirlo con un golpe nel 2006.
Causa scatenante delle tensioni è l’amnistia proposta da Yingluck con l’evidente scopo di consentire il ritorno in patria del fratello. Il progetto è fallito, ma ha innescato la ribellione alla cui guida si è posto Suthep Thaugsuban, vicepremier nel precedente esecutivo. Suthep si è dimesso dal Partito democratico, la principale forza di opposizione, per avere mano libera in una lotta dichiaratamente tesa a rovesciare il governo in carica, e «smantellare la macchina di potere» che fa capo a Thaksin.
Questi viene accusato di dirigere il Paese per interposta persona. Suthep e compagni denunciano l’andirivieni di ministri che fanno la spola fra Bangkok e le località in cui il Berlusconi d’Oriente solitamente risiede, Dubai e Hong Kong. Contestano quelli che considerano sprechi di denaro pubblico per favorire la cerchia affaristica incentrata nel clan dei Shinawatra. Sotto accusa un piano di sussidi ai risicoltori per vari miliardi di dollari, la gestione dei progetti idrici dopo le terribili alluvioni del 2011, e i 600 miliardi di dollari stanziati per vari investimenti infrastrutturali.
Thaksin, che se rimettesse piede in Thailandia dovrebbe scontare una condanna a due anni di carcere per corruzione, costruì la sua fortuna politica grazie al controllo di televisioni e giornali, e gode tuttora di grande popolarità soprattutto nelle aree rurali. I suoi avversari, il Partito democratico in particolare, hanno la loro base sociale nei ceti medi urbani e nelle province meridionali. Suthep, leader del movimento antigovernativo, è un personaggio controverso. È sotto inchiesta per la violenta repressione delle proteste popolari nel 2010 (novanta morti). Allora le parti erano invertite, e nei panni dei contestatori erano i seguaci di Thaksin nelle loro divise rosse. In precedenza nel 1995 Suthep fu al centro di uno scandalo per avere dirottato a vantaggio di proprietari terrieri benestanti, fondi destinati ad aiutare i contadini poveri.