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L’AVVENTURA DEL CAVALIERE DELLA THAILANDIA E’ FINITA. L’EX-PREMIER THAKSIN SHINAWATRA HA CHIESTO ASILO POLITICO A LONDRA - a cura di pfls

martedì 7 ottobre 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] Shinawatra è stato l’uomo più ricco del paese ed era a capo della Shin Corporation tramite cui controllava la maggiore compagnia di telefonia mobile del paese asiatico. È dall’intreccio tra questi interessi imprenditoriali e il suo impegno politico che è nato un consistente conflitto di interessi. Nel 2001 evitò l’arresto ed il bando di cinque anni dalla vita politica corrompendo i giudici e condizionando le indagini.
Dopo lo scampato pericolo, Shinawatra fu rieletto nel 2005 (...)

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> L’AVVENTURA DEL CAVALIERE DELLA THAILANDIA E’ FINITA. ---- Corruzione, economia e populismo, così è fallito il modello Thailandia (di Federico Rampini).

martedì 14 aprile 2009


-  L’ANALISI

-  Corruzione, economia e populismo
-  così è fallito il modello Thailandia

di FEDERICO RAMPINI *

DUE leader di governo tra i più potenti del mondo costretti a una movimentata fuga in elicottero: è il segnale che la crisi thailandese è tutt’altro che una vicenda locale. L’immagine del premier cinese Wen Jiabao e del suo omologo giapponese Taro Aso "evacuati" in extremis dall’aviazione militare, con l’interruzione forzata di un importante summit che si era aperto venerdì a Pattaya, restituisce la dimensione internazionale del caso-Thailandia. Questa nazione del sud-est asiatico fu uno dei primi "dragoni" a sperimentare la modernità, l’apertura all’Occidente e i benefici della globalizzazione. Oggi è un concentrato di ricette fallite. I leader dell’Asean si erano riuniti a Pattaya proprio per discutere un approccio comune alla recessione che colpisce l’Estremo Oriente, ma quel dialogo è stato interrotto dal caos delle proteste che minacciano il governo di Bangkok. E’ inevitabile tracciare il parallelo con un’altra crisi finanziaria internazionale, "l’asiatica" che ebbe inizio proprio in Thailandia nel 1997: oggi ci appare per molti versi come una prova generale del collasso sistemico iniziato negli Stati Uniti un decennio dopo.

Negli occidentali è forte la tentazione di liquidare la Thailandia come uno Stato da operetta. I golpe hanno una frequenza disarmante: gli ultimi avvennero nel 1971, 1977, 1991, 2006. L’esercito appare come l’arbitro di ultima istanza delle contese tra fazioni politiche. Dietro l’esercito, in un ruolo occulto e spesso indecifrabile, c’è la regìa imprevedibile e nefasta del re. Ma in quest’ultimo divampare della violenza, con i sanguinosi regolamenti di conti tra le "camicie rosse" dell’opposizione e le "camicie gialle" filogovernative e filomonarchiche, il caos politico thailandese è accentuato dalle confusioni dei ruoli. Il precario governo guidato dal 44enne Abhisit Vejjajiva, che traballa paurosamente sotto i colpi della contestazione, avrebbe le carte in regola per una gestione moderata e consensuale della crisi economica. Ma il suo premier è macchiato da un peccato originale: la legittimità popolare gli fa difetto dalla nascita. Abhisit è andato al potere grazie alla congiunzione tra la pressione della piazza e le congiure di palazzo. Ha avuto il sostegno delle forze armate e del Parlamento, mai quello del suffragio universale. Per ben due volte, nel 2005 e nel 2007, gli elettori hanno chiesto il ritorno al potere del principale partito di opposizione e la loro volontà è stata calpestata da una democrazia truccata. La natura di quell’opposizione a sua volta non fa che accentuare l’instabilità della Thailandia.

Il leader deposto e in esilio, Thaksin Shinawatra, fu definito a suo tempo "un Berlusconi asiatico". Le etichette sono fuorvianti e questi paragoni sono sempre delle forzature. Sta di fatto che Thaskin è al tempo stesso un magnate-simbolo di un nuovo capitalismo, che fece fortuna con il boom delle telecomunicazioni, poi fu al centro di gravi accuse quando vendette il suo impero a investitori stranieri (di Singapore). E’ un leader populista di successo: la sua immensa ricchezza personale non gli impedisce di avere una solida base di consenso tra i ceti meno abbienti delle regioni rurali. È lì che la sua azione di governo esercitò i benefici più reali: aumento della spesa per l’istruzione, la sanità, e accesso al credito per i piccoli agricoltori. Al governo dal 2001 al 2006, Thaksin ha rivoluzionato le regole del gioco, cavalcando la diffusa sfiducia popolare verso l’élite di Bangkok. Ma le sue pulsioni autoritarie erano preoccupanti, come nell’uso spregiudicato della campagna anti-droga per ridurre le libertà e aumentare l’arbitrio poliziesco. Dall’esilio dorato fra Dubai e Londra - dove ha comprato la squadra di calcio Manchester City - Thaksin continua a usare la sua ricchezza per finanziare le proteste anti-governative, convinto che un ritorno alle urne potrebbe consentirgli di insediare un premier-fantoccio.

L’alternativa tra un plutocrate populista e l’attuale governo sorretto (forse solo provvisoriamente) dai militari e dal re, è un’atroce caricatura di quel che potrebbe essere la dialettica democratica in un paese ormai sviluppato come la Thailandia. Il caos di Bangkok è la smentita più severa di quelle teorie sul "modello asiatico" di paternalismo autoritario, che hanno importanti fautori da Singapore a Pechino. La presunta stabilità di quel modello, in tutte le sue varianti di destra e di sinistra, è messa a dura prova dalla tempesta economica attuale e non solo in Thailandia.

* la Repubblica, 14 aprile 2009


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