Linguaggio
Quando tutti gli uomini usavano le stesse parole
Alla fine dell’era glaciale, prima del mito della torre di Babele, esisteva un unico idioma nato nel Caucaso
Uno studio pubblicato sulla rivista Pnas ricostruisce “l’antenato comune” che risale a 15mila anni fa
di Elena Dusi (la Repubblica, 05.07.2013)
Mentre le terre riemergevano dall’ultima era glaciale, e prima della costruzione della torre di Babele, c’è stato un periodo in cui gli uomini parlavano una lingua sola. Era un idioma arcaico, sconosciuto, nato probabilmente dalle parti dell’Anatolia o del Caucaso. Ma nonostante l’erosione cui l’uso quotidiano sottopone le regole del nostro comunicare, gli “archeologi delle parole” sono convinti che di quella lingua madre comune a tutti i popoli dell’Europa e dell’Asia esistano ancora oggi delle tracce.
Ricostruendo l’albero genealogico dei termini più radicati e diffusi in tutte le lingue moderne, gli esperti dell’università inglese di Reading sono riusciti a dare una data di nascita al primo idioma parlato probabilmente dall’uomo. La loro ipotesi - 15mila anni fa - è molto più antica sia della tradizione biblica (4mila a. C.) che della barriera con la quale gli studi di paleo-linguistica si erano sempre scontrati (8-9mila anni fa). Da un punto situato nel cuore dell’Eurasia, la “lingua madre” si sarebbe diffusa seguendo poi le rotte dell’agricoltura e le migrazioni dei nomadi lungo le steppe.
L’autore dello studio pubblicato oggi su Pnas è Mark Pagel, una vita dedicata all’archeologia della comunicazione, da sempre convinto che le parole siano come i geni e che le lingue siano assimilabili alle specie viventi. Facendosi affiancare da esperti di biologia, ha cercato di ricostruire l’“antenato comune” delle lingue dell’uomo. È partito da alcuni termini molto conservati in tutti gli idiomi di Asia ed Europa e ha percorso la loro storia a ritroso. Osservando i rami di un albero, ha cercato di ricostruirne la radice ed è approdato appunto all’epoca di 15mila anni fa, in cui l’ultima era glaciale si stava dissolvendo e l’homo sapiens si preparava gradualmente alla rivoluzione dell’agricoltura e delle città.
La tecnica dello studioso inglese è stata criticata in passato, e forse lo sarà anche oggi. Ma nella loro ricerca Pagel e i suoi colleghi spiegano con chiarezza di aver calcolato che mediamente ogni parola ha il 50 per cento di probabilità di scomparire da una lingua ogni 2-4mila anni. I cambiamenti avvengono più rapidamente se un significato può essere espresso da molti sinonimi. Esistono però termini talmente cardinali per un idioma da restare intatti anche oltre 10mila anni. Pagel ne ha trovati una ventina. Sono espressioni che ancora oggi usiamo con una frequenza superiore a una ogni mille parole pronunciate: questo, quello, cosa, no, chi, cosa, io, tu, dare, uomo, madre.
I ricercatori hanno usato queste espressioni come “sonde” con cui esplorare il terreno profondo delle lingue, registrando le ricorrenze in luoghi ed epoche assai diverse, poi tracciando l’albero genealogico e stimando il punto d’origine: la radice, del tronco del linguaggio umano. Lo stesso metodo viene usato dai genetisti per disegnare la storia delle specie viventi attraverso le mutazioni del loro Dna. Una ricerca condotta due anni fa con un metodo simile aveva stimato che due lingue parlate in Siberia e in Alaska avevano un’antenata comune risalente a 12mila anni fa. Le parole, in fondo, si trasmettono dai genitori ai figli e mutano a seconda delle esigenze di una società secondo regole prevedibili.
Lo stesso Darwin aveva definito “curiosamente simili” i raggruppamenti che esistono fra idiomi e specie viventi. E come gli organismi, le circa 7mila lingue del mondo sono soggette a estinzione. Si stima che tra il 50 e il 90 per cento di esse sarà scomparso alla fine del secolo.