PREMESSA. Nota:
La Grazia ("Charis") di Dio ("Charitas") o il "caro (prezzo)" del Dio Mammona (latino:"Caritas") di Benedetto XVI?!
Il nome perduto della condivisione
di Jean-Luc Marion (il manifesto, 30 gennaio 2013)
L’economia che, letteralmente significa la «legge che regna in casa», è interpretata come scambio economico. Ma quest’ultimo dev’essere considerato come un aspetto dell’economia che si può discutere, e non come sinonimo di economia.
Che cosa, all’interno dell’economia, può contrapporsi allo scambio? Non l’abolizione del sistema di mercato, non l’opposizione del capitalismo al socialismo, ma il dono. Quando si oppone il dono allo scambio, apparentemente si va contro la più celebre definizione di scambio, quella formulata da Marcel Mauss negli anni Venti, e sulla quale continua a basarsi la maggioranza degli studi sul dono. Secondo Mauss, il dono è un caso particolare di scambio, vale a dire uno scambio gratuito. Se guardiamo alla storia di certi gruppi etnici rimasti estranei alla rivoluzione economica, troviamo un sistema di scambio in cui una tribù che ne incontra un’altra le fa un dono in segno di benevolenza, costringendo così l’altra tribù, per mantenere la pace, a uno scambio reciproco che è uguale al precedente +1.
In nome di Mauss
Grazie allo scambio gratuito, ma che comporta una logica di reciprocità, è mantenuta la pace. È il sistema del dono di potlatch. Il dono è di fatto uno scambio, senza la mediazione della moneta. Si dirà che vi sono scambi gratuiti, il dono, e scambi non gratuiti, il commercio, mediato dal valore di scambio e dalla moneta.
Vorrei mostrare che le cose non stanno così: la gratuità e il dono non sono un caso particolare dello scambio; la logica del dono è irriducibile alla logica dello scambio e del commercio.
Per stabilire questo punto, bisogna capire che c’è anche una difficoltà del dono, sottolineata da Jacques Derrida il quale, per rafforzare la riduzione da parte di Marcel Mauss del dono alla gratuità, diceva che il dono è sempre un’illusione e che la realtà del dono è sempre implicitamente la logica dello scambio. Se faccio un dono a qualcuno, egli mi deve qualcosa, anche se io non gli chiedo nulla. In uno scambio economico, è chiarissimo che devo qualcosa. Nel dono, apparentemente, non ho nient’altro da fare.
In verità, colui al quale è stato fatto il dono, anche se glie è stato fatto per niente, deve qualcosa, almeno la riconoscenza dalla quale cercherà di sbarazzarsi facendo un giorno un contro-dono. Se non dona niente in cambio, lo riterranno tutti un ingrato, avrà perso la reputazione di uomo generoso perché gli è stato fatto un regalo che lui non avrà reso.
Apparirà come un uomo roso dall’ingratitudine, dall’avarizia, si sentirà colpevole. Colui che riceve dovrà dunque pagare, in termini reali o simbolici.
Chi entra nel deficit simbolico, pagherà con gli interessi. Il dono è sempre sospetto, non solo di ipocrisia, ma prosegue implicitamente in uno scambio tanto più radicale in quanto sarà fatto in modo sotterraneo e forse morboso. Il dono è sempre solo uno scambio taciuto - e di fatto non taciuto poi così tanto.
È questo un modo per conservare la posizione di Mauss.
È possibile avere un dono pur riducendone il beneficiario, il donatario. È un’esperienza che facciamo spesso - donare non sapendo a chi doniamo - ad esempio alle Ong: è proprio perché non sappiamo a chi doniamo che possiamo donare in modo efficace. La scomparsa del donatario non impedisce il dono. Proviamo a essere cinici: a volte preferiamo non doverci occupare del fine della distribuzione, che lasciamo a professionisti. L’anonimato del donatario può essere una soluzione comoda. Ma ci sono doni più degni di ammirazione che si basano sulla scomparsa del donatario.
Quando doniamo a qualcuno che non ci ha chiesto niente o di cui sappiamo che conserverà la sua ingratitudine e la sua incapacità di ringraziarci, quando sappiamo che ci faremo rimproverare di aver fatto un dono e lo facciamo comunque: in queste situazioni il nostro dono diviene ancor più chiaro.
Ma si può anche fare un dono senza che nessuno lo doni e senza che appaia come un dono. L’esempio più evidente del dono che nessuno dona è quello fatto da chi è morto. Il morto dona nel momento in cui nessuno dona: è la questione dell’eredità. Diventa il prototipo del dono anonimo.
Come nel romanzo dove il capitano Nemo fa ai naufraghi dell’isola misteriosa il dono di cui hanno un bisogno vitale; o nei romanzi popolari, dove un misterioso donatore si nasconde e veglia sulla salvezza della povera orfana. Il donatore migliore è il donatore assente. Nel caso dell’eredità, è necessario che il donatore sia assente perché essa abbia luogo; qui l’assenza è la condizione stessa del dono; e non ci sarà scambio perché non ci sarà un ritorno in vita del donatore.
L’eredità è un dono perfettamente ingiusto: può capitare a qualcuno che non ne ha bisogno o a qualcuno che il defunto detestava o viceversa. Non è legato all’interesse, è senza interesse in tutti i sensi del termine. Viene in mente l’immagine biblica di Dio che dispensa i suoi benefici tanto sul cattivo quanto sul buono.
In altri termini, il dono non è legato all’interesse e una delle forme del disinteresse è che non c’è donatore. È questo il motivo per cui gli antichi dicevano che gli dèi non provano invidia, formula ripresa dai primi cristiani: Dio dona senza invidia, senza fare calcoli, in perdita. Di fatto, il donatore deve sparire, nel senso che egli dona sempre in perdita, e più dona in perdita più il suo è un dono.
Arriviamo alla terza riduzione. Sant’Agostino, per spiegarla, fa l’ipotesi di una donna che riceve dal suo futuro sposo un anello e dice: «Grazie, mi tengo il gioiello e non ci sposeremo». Ragionando così, ella si comporta come se il giovane le avesse donato l’anello e niente di più; ma non è così che la pensava il giovane: egli pensava che, mettendole l’anello al dito, si sarebbe dato a lei e, reciprocamente, lei a lui. Per quanto il gioiello abbia un valore, ciò che ne costituisce il valore profondo è ciò che procede con la persona amata. Nella maggior parte dei doni che facciamo, non è mai ciò che doniamo effettivamente a costituire il dono, ma è ciò che «procede con».
Quando volete far piacere a qualcuno, gli donate qualcosa, ma il regalo è solo il portavoce, l’accessorio dell’affetto che così gli testimoniate. E più quel che si dona è importante, più il dono deve essere irreale, irrealizzato e simbolico.
Pensiamo a quando si prende possesso di un immobile o di una società che si è acquistata. Per farlo, si va da un notaio e si firmano dei documenti. Ma la presa di possesso non ha alcun rapporto con l’effettività di quello che si sta per possedere.
Quando viene eletto, il presidente degli Usa riceve i codici nucleari, ma non qualcosa come «il potere», che resta invisibile. Ciò che si dona non è mai proporzionale a ciò che accompagna il dono. Più il dono è considerevole, più diviene immateriale.
Quando c’è gente che muore di fame e noi diamo loro da mangiare, da bere, un alloggio, doniamo certo qualcosa, ma è la vita che diamo, al di là di pane, acqua e coperte. Non doniamo medicinali, ma la possibilità di sopravvivere a una malattia; non prodotti agricoli, ma la possibilità di mangiare, insomma la vita. La vita si dona donando qualcos’altro insieme ad essa, e quest’altra cosa non avrebbe alcun valore se non ne avessimo bisogno per restare in vita. Quando donate il vostro tempo, la vostra vita, il vostro amore, in senso stretto, non donate niente.
Compite un gesto o un altro, ma i gesti non sono oggetti. Donate ciò che non è una cosa, perché la differenza tra la vita e la morte non è reale, il morto è reale tanto quanto il vivo. Il tempo che donate non è reale, è anzi la sola cosa che il denaro non possa comprare. Con il tempo si fa denaro, ma con il denaro nessuno ha mai comprato del tempo. Quindi, quando si perde il proprio tempo a fare denaro, non è affatto sicuro che ci si guadagni nel cambio. Più quel che donate è essenziale, meno è reale. Dire che più il dono è fondamentale meno è reale, significa dire la verità. Sono soltanto i doni di pochissimo valore a essere reali, come offrire una sigaretta a qualcuno per la strada.
Il contratto erotico
La questione del dono è davvero paradossale, poiché esso non ha bisogno dei termini dello scambio per apparire come un dono; al contrario, appare come tale solo se si fa a meno dei termini dello scambio. Cosa si produce nel dono? Si produce una logica dell’avanzo - in senso economico - che io ho chiamato altrove la logica dell’esperienza erotica.
Anche nell’esperienza erotica, infatti, si può ragionare secondo la logica dell’economia e dello scambio, seguendo il principio: «Io ti amo solo se tu hai iniziato ad amarmi, ti amerò solo in cambio del primo investimento che tu avrai fatto per amarmi, e non sperare che sia il primo a giocare le mie carte». È un’interpretazione economica dell’amore.
Ma ce n’è un’altra: l’interpretazione erotica dell’amore. In questo caso si tratta di donare senza aspettarsi in risposta lo scambio, persino senza sperarlo, né desiderarlo. È ciò che fa la grandezza di Dio, quando crea cose che non sono in condizione di amarlo, poiché non esistono ancora; o il fascino di don Giovanni che dice a una donna «Sei bella, ti amo» e che, di colpo, fa sì che lei lo diventi, bella.
Chi è primo ad amare si assume il rischio dell’assenza di reciprocità, è questa la logica del dono. Egli crea le condizioni eventuali della risposta, ma non è orientato sulla possibilità dello scambio e della risposta. Ha un potere creatore, come non accade per lo scambio. Lo scambio mira alla giustizia, alla reciprocità e si accorda sulla crescita o sull’interesse del rimborso del debito. Lo scambio segue l’uguaglianza in senso matematico e politico. Quel che è proprio del dono, invece, è di essere sempre nel principio dell’anticipo senza risposta, quindi nella logica della crescita.