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EVANGELO = BUONA NOVELLA. "DIO NON E’ CATTOLICO" (Carlo Maria Martini). DIO E’ AMORE (Charitas), NON MAMMONA (Benedetto XVI, "Deus CARITAS est", 2006) - E "BUONA *CARESTIA*"!!!!!!

IL NOME DI DIO, SENZA GRAZIA ("CHARIS")! L’ERRORE FILOLOGICO E TEOLOGICO DI PAPA BENEDETTO XVI, NEL TITOLO DELLA SUA PRIMA ENCICLICA. Nel nome della "Tradizione" - di Federico La Sala

Quis ut Deus ? - "Chi è come Dio?". "Carissimi, non prestate fede ad ogni spirito (...) Dio è amore": "CHARISSIMI, NOLITE OMNI SPIRITUI CREDERE... DEUS CHARITAS EST" (1 Gv.: 4. 1-16).
domenica 12 febbraio 2012 di Maria Paola Falchinelli
SINODO DEI VESCOVI 2008: L’ANNO DELLA PAROLA DI DIO - AMORE ("CHARITAS") O MAMMONA ("CARITAS")?! Fatto sta che la prima enciclica di Papa Benedetto XVI (Deus caritas est, 2006) è per Mammona.
Caro BENEDETTO XVI ...
Corra, corra ai ripari (... invece di pensare ai soldi)! Faccia come insegna CONFUCIO: provveda a RETTIFICARE I NOMI. L’Eu-angélo dell’AMORE (“charitas”) è diventato il Van-gélo del ’caro (prezzo)’ e della preziosi-tà (“caritas”), e la Parola (...)

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> IL NOME DI DIO. L’ERRORE FILOLOGICO E TEOLOGICO DI PAPA BENEDETTO XVI, NEL TITOLO DELLA SUA PRIMA ENCICLICA. ----- Dono, antidoto al capitalismo...la sua semplicità apparente, la sua forza, il suo legame con la sincerità hanno in effetti spinto certi autori a riferirsi alla nozione di grazia (Interv. a Jacques T. Godbout - di Daniele Zappalà).

martedì 28 ottobre 2008

INTERVISTA.

Per il sociologo Jacques T. Godbout «la logica del regalo non può sostituire quella del mercato, però può riuscire a correggerla»

Dono, antidoto al capitalismo

-  «L’atto del dare senza contropartita esprime la massima intensità dei legami sociali, poichè presuppone sempre la fiducia nell’altro»
-  «La sua semplicità apparente, la sua forza, la sua sincerità ricordano da vicino la nozione cristiana di ’stato di grazia’»

DA PARIGI DANIELE ZAPPALÀ (Avvenire, 28.10.2008).

« I regali e i doni circolano al servizio del legame sociale. Essi presuppongono sempre una fiducia nell’altro. E dunque un rischio. Sta in quest’incertezza il cuore affascinante dell’atto del donare». Ad esserne convinto è il sociologo canadese francofono Jacques T. Godbout, fra i maggiori esponenti del Mauss (Movimento antiutilitarista nelle scienze sociali). Di Godbout, Vita e Pensiero ha appena pubblicato in Italia il saggio Ciò che circola fra noi (pagine 392, euro 22,00), già al centro di tanti appassionati dibattiti in Francia e che sarà presentato oggi alla Libreria Vita e Pensiero della Cattolica di Milano (largo Gemelli, 1, ore 13.30) da Mauro Magatti, Pierangelo Sequeri e Stefano Zamagni. Anche in tempi di crisi finanziaria, Godbout non ritiene possibile che la logica del dono possa un giorno sostituirsi a quella di mercato. Ma per il sociologo, oggi più che mai è urgente riflettere sul valore insostituibile degli scambi senza un’immediata contropartita.

Professore, ciò che circola fra le persone resta ancora in parte un mistero per i sociologi?

«In parte, sì. E ciò che circola sotto la forma del dono resterà probabilmente sempre un po’ misterioso. Eppure, si tratta di ciò che esprime al più alto grado l’intensità dei legami sociali. Almeno rispetto agli altri legami, certo anch’essi importanti, che hanno per sfondo gli scambi di mercato e le politiche degli Stati».

La voglia di offrire sembra contraddire la frase attribuita a Sartre secondo cui l’inferno sarebbero gli altri...

«Dopo tanti anni di ricerche in diversi Paesi, sono giunto alla conclusione personale che la voglia di donare è connaturata all’uomo. Si tratta di un modo di far circolare qualcosa che impegna gli individui in prima persona. Certo, il dono può essere talora formalizzato e volto a uno scopo preciso, come nel caso dei regali che si scambiano nel mondo degli affari. Ma non è questa, a mio avviso, la forma di dono più interessante».

Perché?

«In questi casi, il dono è perlopiù un mezzo per propiziare nuovi affari. Al contrario, esistono doni che sono essi stessi un fine e che non richiedono direttamente una contropartita. Già lo stesso dono d’impresa acquista una certa autenticità quando è offerto con sincerità. Ovvero, per ringraziare l’altra parte ed esprimerle la propria stima. In questi casi, il dono entra in uno spazio ambiguo in cui è percepito al contempo come mezzo e come fine. E sta in fondo sempre in quest’ambiguità la natura paradossale del dono. Certi studiosi hanno cercato di forzare questo paradosso, spiegando che il dono ha sempre una contropartita. A mio avviso, invece, il paradosso del dono come mezzo o come scopo non ha una vera soluzione. Nel senso che questo paradosso definisce l’incertezza e il rischio sempre connaturati nell’atto del donare».

Chi cerca di spiegare il dono, impiega talora la nozione cristiana di ’stato di grazia’. Perché?

«Il dono trasporta sempre un messaggio e talvolta questo messaggio è espresso molto meglio dal dono che da qualunque discorso. Il dono può dunque funzionare anche come una semplificazione rispetto ad altri modi di gestire le relazioni sociali. E la sua semplicità apparente, la sua forza, il suo legame con la sincerità hanno in effetti spinto certi autori a riferirsi alla nozione di grazia».

Il dono è davvero una costante umana che si ritrova in tutte le culture?

«Personalmente, sono convinto di ciò, anche se nessuno potrà mai possedere gli elementi per dimostrarlo, dato che occorrerebbe passare in rassegna tutte le culture della storia dell’umanità. Ma quando si comincia ad intuire il meccanismo del dono, diventa difficile immaginare una società capace di privarsi di tale meccanismo. L’alternativa sarebbe un mercato assoluto e totalitario, oppure una ridistribuzione statale dello stesso tipo. Ma ciò escluderebbe ogni tipo di libertà e sembra apparentarsi più a una società di formiche che a una società di persone umane. Se tutto circolasse sotto forma di beni di mercato o di ridistribuzioni statali, forse non saremmo più umani».

Nelle culture rurali, esiste un legame fra l’atto del donare e il dono esemplare ricevuto dalla terra e dalla natura?

«Credo di sì. E sta qui il dramma forse più profondo dell’odierno tentativo di certe multinazionali di brevettare le sementi per estrarle così del tutto dalla sfera del dono ed immetterle in modo forzato nei circuiti di mercato. Beninteso, i rapporti di mercato sono indispensabili ed estremamente importanti a livello sociale. Ma le loro possibili prevaricazioni ai danni del dono possono avere conseguenze molto dolorose».

Esiste dunque oggi una certa tensione fra la socializzazione fondata sul dono e le logiche di mercato?

«Ciò avviene laddove il legittimo e naturale scambio di mercato è contaminato da forme di nevrosi produttiviste. In altri termini, dall’aspirazione folle di ridurre tutto ciò che circola fra gli individui a forme più o meno mascherate di comportamenti di mercato. Su grande scala, ciò diventa un’ideologia che considera il dono come un’azione inutile e anzi quasi dannosa. Si tratta di un’ideologia che vorrebbe strumentalizzare tutto, compresa la natura».

Il dono è anche associato a un’ideale di giustizia sociale e planetaria?

«Sì, quando entra in gioco un’altra logica non meno importante, che si osserva ad esempio nel dono a distanza. Si pensi al dono del sangue, di organi, alle donazioni in occasione di catastrofi naturali o a quelle verso istituzioni di solidarietà. In questi casi, l’idea di giustizia può entrare in gioco se pensiamo di dare a chi ha avuto dalla vita meno di noi, almeno a livello materiale. Ma la libertà e l’autonomia morale dell’individuo restano protagonisti, al punto che certe persone possono trovare in ciò pienamente il senso della propria vita».


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