«Nessuno ha mai visto Dio. Se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi, e l’amore di lui è perfetto in noi» (cfr. Giovanni 1,18).
Proviamo a scomporre questo versetto.
«Nessuno ha mai visto Dio». Che liberazione! È la stessa cosa che dicevano i padri antichi quando afferma¬vano che Dio non si può vedere: «Tu non puoi vedere il mio volto, l’uomo non può vedermi e vivere» (Esodo 33,20). Ma qui è categorica l’affermazione: «Nessuno ha mai visto Dio»! Nessuno lo ha mai visto, e dunque non vi attardate intorno a Dio, non cercate di dirci che cos’è, chi è, come è fatto, a chi appartiene, chi l’ha capi¬to meglio, e così via. Non tante parole su Dio! Non tanti discorsi! Non tante interpretazioni! «Nessuno ha mai vi¬sto Dio». E dunque perché tanta supponenza in chi ritie¬ne di avere un’immagine "superiore" di Dio, della vita, della scienza, dei misteri di tutta la conoscenza? In chi ritiene di poter dedurre da questa visione una morale va¬lida per tutti? In chi ritiene di «stare dalla parte di Dio»?
«Nessuno ha mai visto Dio». Non è, evidentemen¬te, una dichiarazione di ateismo. Ma è una ammissione della propria piccolezza, della incommensurabilità della creatura umana di fronte a qualcosa che chiamiamo Dio. Non è una dichiarazione di ateismo, ma è la creazione di uno spazio in cui possono stare benissimo anche i senza Dio, coloro che non hanno Dio nel loro orizzonte, ma che si interrogano sulla direzione che può prendere la vita umana, su come vivere, su quali binari la vita umana possa scorrere per essere degna di essere vissuta.
«Nessuno ha mai visto Dio». Non è neppure, que¬sta, una demolizione della “realtà” delle cose invisibi¬li. Non è una critica dell’invisibile. Molte grandi cose della nostra vita sono invisibili. «Si puù vedere solo con il cuore» dice quel grande maestro dell’invisibile che è il Piccolo Principe di Saint-Exupdry. L’amore è invisibile. Ma anche il dolore lo è. Anche la libertà. Anche la felicità. O meglio: sono tutte cose invisibili, ma è visibile la loro traccia nelle nostre vite.
«Nessuno ha mai visto Dio» vuole solo ricordarci che Dio non può stare dove pretendiamo di metterlo. Non può stare nella casa di Dio - è più volte ripetuto anche nella Bib¬bia -, ma non può stare neppure nei libri di teologia, e soprattutto non può stare nelle classificazioni che gli abbiamo cucito addosso: nella fede invece che nella ragione, nella teologia invece che nella filosofia, negli spazi religiosi invece che negli spazi del mondo. Del resto, se della materia che forma l’universo gli uomini di scienza ci dicono che conosciamo appena il 3 o il 5 per cento, come potremmo presumere di conoscere di più Dio, che è - questo almeno lo possiamo supporre - nella materia come nello spirito, che soffia liberamente ovunque nel suo respiro? Non saremo giudicati - non siamo giudicati! - sulla base del nostro credo, né, mi sembra di poter dire, dell’intensità della nostra fede. Ma sulla base della vita che avremo vissuta.
Ecco dunque: «Nessuno ha mai visto Dio». Questo mi sembra, in primo luogo, un invito a liberare Dio dai lacci in cui lo abbiamo imbrigliato, svilito, umiliato. Li¬berare Dio liberandoci dalle immagini di Dio che gli abbiamo voluto attribuire, liberandoci dai simulacri di Dio che abbiamo voluto idolatrare, per seguirlo là dove ha lasciato tracce in cui poterlo incontrare.
(Gabriella Caramore: Nessuno ha mai visto Dio; pp. 49-51)