Fuoritempio
Una grazia senza “misura”
di Andrea Grillo *
Vi è, nella liturgia della parola
di questa domenica, un sottile
gioco di “percentuali”. La
parola, che pure scende
“come la pioggia” sulla terra,
ritorna con frutto solo con molta
fatica. L’annuncio del Regno
è facilmente soffocato, lasciato
seccare, rovinato, perduto.
Ma dove viene accolto,
recepito e rielaborato, allora
“dà molto frutto”.
La correlazione
fondamentale che qui
viene prospettata è quella
tra dono di grazia e risposta
della libertà.
Le percentuali, dicevo. Ogni moralismo nasce immediatamente dalla illusione che ogni terreno sia, facilmente, produttivo di frutti. Questa prospettiva nega un punto essenziale della tradizione cristiana, ossia che la grazia di Dio entra in rapporto con la libertà dell’essere umano.
Il dono è sovrabbondante, ma la cosa difficile è saperlo accogliere adeguatamente. Dove però la difficoltà viene superata, il controdono è sovrabbondante a sua volta. Potremmo dire che vi è una doppia forma di capovolgimento: dal molto al poco e dal poco al molto.
D’altra parte, tutto il brano evangelico, anche dove commenta il “parlare in parabole”, gioca ancora su questi passaggi di “quantità”: “a chi ha poco, sarà tolto quel poco che ha e a chi ha molto sarà dato molto”. Le analogie sulla quantità sono però discorsi sulla qualità. Ci insegnano la “qualità fine” del rapporto con il Dio che parla.
La prima lettura anticipa la verità del Vangelo, in forma compiuta, potremmo dire ne presenta il senso facendo economia del dramma. È la pioggia che “dà il seme a chi semina e il pane a chi mangia”, è la parola che “opera e compie” quanto desiderato.
Allo stesso modo la risposta della Chiesa, nel Salmo, è anch’essa “pienezza del Regno”, “recezione compiuta”: è il “terreno buono”, ricco di messi e di greggi; è la forma definitiva del mondo, è giardino, è “paradiso”.
Ma in Paolo appare tutto il dramma della creazione, minacciata dalla caducità e dalla schiavitù della corruzione. L’orizzonte della pienezza è la speranza in ciò “che non si vede”, cui guarda una storia segnata dalla finitezza e dalla morte. Le doglie del parto sono la condizione anche di coloro che hanno ricevuto le “primizie dello Spirito” e che aspettano la redenzione dei corpi.
Questo è il quadro nel quale si inserisce la parola del Vangelo. Tutta orientata, dunque, all’ascolto della Parola come condizione della pienezza. Il “terreno buono” non sta alla fine, ma all’inizio. Non è la eventualità ultima, ma la destinazione prima.
La spiegazione della parabola è, da questo punto di vista, del tutto illuminante. Si potrebbe dire che è una “contestualizzazione drammatica del testo di Isaia”. È una profezia che acquista lucidità. Non è la storia del peccato che ostacola la grazia, ma piuttosto la storia della grazia che si realizza nonostante e oltre il peccato.
Ciò, evidentemente, non esclude una lucida analisi del peccato. Ma sottintende, senza semplicismi, che ad un “peccato originale” va premessa, e riconosciuta, una grazia più originale, una grazia prima, un primato di grazia.
Le primizie dello Spirito, che la lettera ai Romani ricorda, sono proprio il dono di questa coscienza diversa, che non idealizza astrattamente la grazia, ma nemmeno enfatizza ossessivamente il peccato.
La “buona notizia” ristabilisce il primato del dono della Parola. Il dono è esigente, ma non impegna il soggetto in un giudizio moralistico, bensì nella riconosiderazione della contingenza della propria risposta, condizionata da molti fattori negativi, ma illuminata dall’alto da questa luce, cui ogni essere umano è originariamente destinato.
Su questa “universale destinazione a recepire il dono della parola” il cristianesimo gioca la propria carta più decisiva.
Ma per nutrire di sostanza questa opzione radicale deve farsi capace di una considerazione realistica e pudica della complessità con cui ogni essere umano risponde, nella propria storia di libertà, a questo dono di grazia.
* liturgista laico, docente di Teologia Sacramentaria presso la Facoltà Teologica del Pontificio Ateneo S. Anselmo di Roma e di Teologia presso l’Istituto di Liturgia Pastorale di Padova, nonché dell’Istituto Teologico Marchigiano di Ancona. Il suo ultimo libro è “Indissolubile? Contributo al dibattito sui divorziati risposati” (Cittadella, 2014, pp. 90, euro 9,80)
* ADISTA 21 GIUGNO 2014 - Anno XLVIII - n. 6234