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EVANGELO = BUONA NOVELLA. "DIO NON E’ CATTOLICO" (Carlo Maria Martini). DIO E’ AMORE (Charitas), NON MAMMONA (Benedetto XVI, "Deus CARITAS est", 2006) - E "BUONA *CARESTIA*"!!!!!!

IL NOME DI DIO, SENZA GRAZIA ("CHARIS")! L’ERRORE FILOLOGICO E TEOLOGICO DI PAPA BENEDETTO XVI, NEL TITOLO DELLA SUA PRIMA ENCICLICA. Nel nome della "Tradizione" - di Federico La Sala

Quis ut Deus ? - "Chi è come Dio?". "Carissimi, non prestate fede ad ogni spirito (...) Dio è amore": "CHARISSIMI, NOLITE OMNI SPIRITUI CREDERE... DEUS CHARITAS EST" (1 Gv.: 4. 1-16).
domenica 12 febbraio 2012 di Maria Paola Falchinelli
SINODO DEI VESCOVI 2008: L’ANNO DELLA PAROLA DI DIO - AMORE ("CHARITAS") O MAMMONA ("CARITAS")?! Fatto sta che la prima enciclica di Papa Benedetto XVI (Deus caritas est, 2006) è per Mammona.
Caro BENEDETTO XVI ...
Corra, corra ai ripari (... invece di pensare ai soldi)! Faccia come insegna CONFUCIO: provveda a RETTIFICARE I NOMI. L’Eu-angélo dell’AMORE (“charitas”) è diventato il Van-gélo del ’caro (prezzo)’ e della preziosi-tà (“caritas”), e la Parola (...)

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> IL NOME DI DIO, SENZA GRAZIA ("CHARIS")! --- La «carità dei ricchi». Filantropia tra carità e giustizia (di Renato Piccini)

martedì 26 luglio 2016

La “moneta falsa” del filantrocapitalismo.

Una riflessione sulla «carità dei ricchi» *

FILANTROPIA

Tra cariTà e giusTizia

Renato Piccini

La filantropia è diventata di moda nel sistema neoliberista. Per capire, quindi, cos’è, la sua vera natura, il peso che ha nei rapporti economico-sociali, quali sono i suoi meriti e demeriti, è necessario guardare dentro il sistema economico capitalista. Oggi, infatti, vi è una nuova concezione, definita filantrocapitalismo.

La filantropia vuol essere la faccia buona del capitalismo, il suo volto pulito, che giustifica le sue scelte fondamentali, anche quelle della più assurda sperequazione sociale, l’impressionante ingiustizia che genera. (...). Non per niente, infatti, il Paese in cui è più diffusa la filantropia, gli USA, è anche quello in cui la sperequazione sociale raggiunge livelli tra i più alti del mondo.

La filantropia, nella concezione capitalista, esclude ogni senso di giustizia. (...). Chi “fa” filantropia non si sente legato ad alcun obbligo né legge e la esercita in piena libertà, secondo i propri “sentimenti” ma, soprattutto, secondo calcoli economico-politici. Chi la riceve sa che non ha alcun diritto e quindi raccoglie quella “moneta” con un duplice obbligo morale: non calcolare il dono secondo le proprie necessità; accoglierlo, soprattutto, con la massima gratitudine per aver ricevuto ciò cui non aveva diritto.

La giustizia è un obbligo di coscienza (e di legge) per chi deve praticarla e, per il destinatario, è un diritto da rivendicare. (...). Linsey McGoey (...) si interroga sull’efficacia ed efficienza dell’attuale filantropia (non molto diversa da quella del passato), soprattutto nell’ottica del filantrocapitalismo, rendendo evidente che la filantropia non viene esercitata secondo i bisogni e le necessità dell’uguaglianza - un diritto che è di tutti, al di là di ogni cultura, fede, geografia... - ma solo secondo la “bontà” (leggi “interessi”) dei padroni del denaro.

È DAVVERO EFFICIENTE LA FILANTROPIA?

In uno dei suoi racconti brevi, La moneta falsa, Charles Baudelaire descrive un incontro immaginario tra due amici che incrociano per strada un mendicante. Entrambi danno l’elemosina, però la moneta che lascia cadere uno di essi è molto più preziosa. Il narratore elogia la sua generosità e il suo compagno gradisce il complimento, però poi, lontano dal mendicante, aggiunge: «Era una moneta falsa».

Il narratore rimane sbalordito. Non soltanto perché il suo amico ha ingannato il mendicante, ma per la sua soddisfazione di apparire generoso. La soddisfazione deriva dal fatto che il mendicante non si rende conto di essere stato ingannato. Il narratore considera che «aveva voluto fare, a un tempo, la carità e un buon affare; guadagnarsi quaranta soldi e il cuore di Dio; pigliarsi senza spesa la fama d’uomo caritatevole».

Baudelaire scrisse questa storia nella seconda metà del XIX secolo, quando industriali come Andrew Carnegie e John Rockefeller cominciavano a investire le loro grandi fortune nelle maggiori azioni di filantropia mai viste prima. Dalle donazioni di Carnegie a biblioteche pubbliche sino agli investimenti di Rockefeller in ricerche biomediche, entrambi cambiarono il modo di fare carità, che passò da donazioni poco sistematiche a una forma di affare in se stesso, controllato da consulenti pagati.

Molti, tuttavia, non si sentivano riconoscenti per la generosità di questi robber barons (baroni ladri). Nel suo saggio L’anima dell’uomo sotto il socialismo, Oscar Wilde criticò la tendenza dei benefattori di usare la carità come copertura dinanzi alle richieste di una giusta redistribuzione della ricchezza. «I migliori tra i poveri - scrisse Wilde - non sono mai riconoscenti [ai benefattori]. Sono scontenti, ingrati, disobbedienti e ribelli, e hanno ragione di esserlo. [...]. Perché dovrebbero essere grati delle briciole che cadono dalla mensa del ricco? Dovrebbero essere seduti intorno al tavolo con gli altri commensali condividendo la festa!».

Ora che la filantropia entra in una seconda epoca d’oro, con donazioni di benefattori come Bill Gates e Warren Buffett (...), gli scettici cominciano a chiedersi se le preoccupazioni di Wilde e Baudelaire siano ancora attuali. I filantropi di oggi stanno coscientemente distribuendo “monete false”? Stanno cercando di “conquistarsi senza sforzi la fama d’uomo caritatevole”?

Nella maggior parte dei casi non è così. Le donazioni vengono realizzate in buona fede, con empatia verso vicini o lontani sconosciuti. Sta però affermandosi una nuova tendenza: il filantrocapitalismo, che cerca di combinare il guadagno con la riduzione della povertà. Dietro a questa nuova filantropia c’è il tentativo di fare una buona azione e, allo stesso tempo, realizzare un buon affare. È ancora valido l’interrogativo che si pose Baudelaire: chi trae più vantaggio dagli aiuti di carità, il donatore o il destinatario?

MISURAZIONE DEI RISULTATI

Nell’avanguardia della nuova filantropia si trova il movimento dell’“altruismo efficiente”, che (...) pone l’accento sulla misurazione dei risultati. Un pioniere è Peter Singer, discusso bioetico che ha elogiato Buffett e Gates come “gli altruisti più efficienti della storia”. (...).

L’organizzatore di una recente conferenza sull’altruismo efficiente, svoltasi nel campus di Google in Mountain View, arrivò al punto di affermare che «l’altruismo efficiente potrebbe essere l’ultimo movimento sociale di cui abbiamo bisogno ». Tuttavia è evidente che l’aumento globale delle donazioni negli ultimi dieci anni non è riuscito a ridurre le disuguaglianze economiche. (...).

Carnagie pubblicò il suo primo saggio sulla ricchezza, nel quale esortava i ricchi a condividere il loro bottino, solo pochi anni prima dello sciopero di Homestead del 1892, una delle più sanguinose rivolte di lavoratori della storia degli USA. Carnagie, nel momento in cui combatteva e annientava i grandi sforzi sindacali in espansione, dispensava anche “generosi aiuti” ai suoi lavoratori.

«Paradossalmente - ha segnalato David Nasaw, biografo del filantropo - Carnagie divenne sempre più spietato nella ricerca di guadagni una volta che decise di distribuirne i benefici». «Nel sostenere che il milionario è l’unico a poter decidere dove destinare i suoi milioni e che quanto egli considera migliore è il meglio - aggiunge Nasaw - Carnagie promulgava una verità profondamente antidemocratica, quasi feudale, del suo paternalismo».

Gli altruisti efficienti insistono sul fatto che la filantropia privata è la via più adatta per migliorare la vita. «I filantrocapitalisti di oggi vedono un mondo pieno di grandi problemi che loro, e forse soltanto loro, possono e debbono risolvere », scrivono Matthew Bishop e Michael Green in Filantrocapitalismo: come i ricchi possono cambiare il mondo, la Bibbia dei nuovi filantropi. (...).

Come ai tempi di Carnegie, la filantropia in molte occasioni viene utilizzata come giustificazione per decisioni lesive per la maggioranza della popolazione. «Ho donato 5 milioni di dollari per diverse cause. E ho una grande voglia di farlo sapere», scriveva su Twitter, a metà settembre del 2015, Martin Shkreli, consigliere delegato dell’impresa farmaceutica Turing, criticata duramente per aver aumentato il prezzo del Darapi (un medicinale di prima necessità usato contro gravi malattie infettive che colpiscono il sistema immunitario, ndt) di oltre il 5.000%. Questo è un eccellente esempio di filantrocapitalismo in azione: l’uso della filantropia per sviare l’attenzione da pratiche commerciali che impediscono l’accesso a medicinali salvavita. (...).

LE CONTRADDIZIONI DELLA FILANTROPIA: OPPORTUNITÀ DI PROGRESSO O AMMORTIZZATORE SOCIALE?

La filantropia viene ritenuta in diversi settori della società essenziale nel contesto del XXI secolo. I fautori ne difendono l’importanza e la necessità come argine agli effetti dell’attuale sistema capitalista “selvaggio”. Molte, però, sono le voci contrarie. (...).

«La filantropia - scrive Slavoj Zizek - è il modo in cui il sistema conserva lo status quo. La sua funzione è nascondere l’origine del problema. Grazie alla beneficienza il capitalismo si può auto-assolvere. La beneficienza diviene parte integrante del sistema, la carità fa parte dell’ideologia generale di oggi». Invece di porsi interrogativi seri su cosa sta succedendo e cercare vie d’uscita che garantiscano il bene comune, si delegano le soluzioni al “buon cuore” di chi ha denaro. (...). «La carità - continua Slavoj Zizek - è la maschera comunitaria che si nasconde dietro lo sfruttamento

economico. Per me il modello insuperabile di ciò che io considero “carità falsa” continua a essere Carnegie. Va bene, fece di tutto, costruì anche spazi culturali, per concerti, ecc... però assunse anche centinaia di detective Pinkerton in Texas per piegare i lavoratori in sciopero e liquidare i sindacati. Questo è per me il modello: prima colpisce brutalmente i lavoratori e poi... offre loro un concerto».

Peter Buffett, figlio di Warren Buffett e, come lui, uno dei più grandi filantropi statunitensi - quindi non “sospettabile” di sentimenti antifilantropici - fa un’analisi interessante: «La carità dei ricchi ha creato una macchina di povertà eterna. [...]. Nelle riunioni dei grandi filantropi si possono vedere capi di Stato, operatori economici, direttori di grandi imprese, capi di corporation transnazionali... che con la mano destra cercano soluzioni per risolvere problemi che i presenti nella sala hanno creato con la mano sinistra. [...]. Nella misura in cui la vita di un numero sempre più alto di individui e comunità viene distrutta da un sistema che crea enormi volumi di ricchezza per poche persone, si rafforza la filantropia come sistema per lavarsi la coscienza con la donazione di qualche briciola». (...).

La carità non arriva mai al nucleo del problema, nei casi migliori lo sfiora soltanto. Non si tratta di essere contro la carità, ma è necessario riconoscere l’ipocrisia di un sistema che, con una mano, “accumula e centralizza il capitale” e, con l’altra, “fa la carità per ridistribuire qualcosa”. (...).

José Ignacio Fernández scrive: «Nel capitalismo carità e ipocrisia sono due pilastri essenziali per la sua sopravvivenza: permettono ai ricchi di nascondere l’esistenza di meccanismi sistemici che generano disuguaglianza e ingiustizia sociale. È un po’ il gioco delle maschere per nascondere il comportamento egoista e il furto sistematico».

I sostenitori della filantropia la difendono come garanzia della vera “sostenibilità” che consiste non nel limitarsi “a dare un pesce a chi ha fame, ma nell’insegnargli a pescare”. La “legge della foresta” che “regola” i mercati, affermano, continuerà a creare bolle speculative che apriranno crisi ricorrenti... e il capitalismo produrrà sempre vincitori e vinti, lasciando molta gente vulnerabile e in grandi difficoltà. Se non si corregge qualcosa di queste disuguaglianze, i “vinti”, anche grazie alle nuove tecnologie di comunicazione, hanno la possibilità di “rovinare la festa” ai vincitori. La filantropia è essenziale per la sopravvivenza dell’umanità perché i grandi filantropi sono gli unici che possono “pensare in grande”. (...).

Il filantrocapitalismo non è altro che applicare alla solidarietà e alla carità i meccanismi imprenditoriali che hanno permesso di accumulare ricchezze multimilionarie. Harry Browne scrive: «L’idea è geniale: fatti ricco nello stesso tempo in cui salvi il mondo!».

Stephan Ernest Schmidheiny è un imprenditore svizzero condannato a 18 anni di carcere dalla Corte d’Appello di Torino per il disastro ambientale provocato dall’amianto negli stabilimenti Eternit in Italia e nei territori limitrofi, poi prosciolto in via definitiva per intervenuta prescrizione di reato e rimasto unico imputato nel processo Eternit-bis per l’ipotesi di reato di omicidio volontario di 258 persone.

In giro per il mondo, Schmidheiny è ben conosciuto e rispettato in quanto filantropo. Non solo, un’università americana gli ha dato una laurea honoris causa per il suo presunto impegno a favore dell’ambiente. In Italia l’hanno giudicato colpevole di disastro ambientale.

Slavoj Zizek (e molti altri) afferma che l’economia capitalistica attuale ingloba l’etica filantropica assumendola come proprio fondamento, un fondamento contraddetto dalle stesse logiche del capitale. Questo meccanismo perverso fa sì che, di fatto, si verifichi «una sovrapposizione tra etica e consumo: chi consuma può comprare, allo stesso tempo, un’azione etica. La redenzione del consumismo è nel consumo stesso».

La pubblicità che si fa delle grandi donazioni filantropiche aiuta a migliorare l’immagine della marca del donatore, associandola a una percezione di impegno sociale. (...). La filantropia diventa così un’ottima arma di concorrenza, un ottimo strumento di pubblicità e marketing.

La filantropia serve al cambiamento sociale? (...). Il giornalista Pere Rusiñol scrive: «L’età d’oro della filantropia è indiscutibile, però le maggiori quote storiche di fondi della filantropia coincidono con le maggiori quote di disuguaglianza della storia contemporanea. L’aumento delle elargizioni della filantropia e della disuguaglianza percorrono strade parallele». Le donazioni filantropiche negli USA si sono triplicate nello stesso periodo in cui gli ultraricchi hanno triplicato anche la loro parte di torta.

Naturalmente ci sono ragioni precise ed evidenti (...). Secondo i calcoli dell’economista francese Thomas Piketty, negli ultimi trent’anni il tasso effettivo delle imposte del 99% dei cittadini statunitensi è stato, praticamente, costante, mentre per i super-ricchi, in seguito alle detrazioni per “opere benefiche”, è passato dal 72 al 35%.

Lo stesso avviene per le grandi corporazioni con la diminuzione delle imposte per l’aumento della Responsabilità Sociale d’Impresa (CSR - Corporate Social Responsability). (...). L’economista francese Gabriel Zucman mette in guardia sul fatto che questa nuova età d’oro della filantropia, basata sulla riduzione delle imposte pagate dai ricchi e dalle imprese, «mina le fondamenta stesse del controllo sociale. Una società nella quale i ricchi decidono per proprio conto quante imposte pagare e a quali servizi pubblici sono disposti a contribuire non è una società civile. Questo è ciò che succedeva nella società vittoriana del XIX secolo e non dovrebbe succedere nel XXI. Se i multimilionari sono liberi di contribuire alla società, perché debbono pagare imposte? L’atteggiamento di molti, in particolare in Silicon Valley, si riassume in: smetti di farmi pagare imposte e darò la mia ricchezza alle cause che ritengo valgano la pena».

Molte “cause che valgono la pena” hanno quasi sempre a che vedere con la fede assoluta nella tecnologia in grado di risolvere, per se stessa, i problemi dell’umanità. Le fondazioni dei filantrocapitalisti sono lo strumento più importante usato dal capitale per penetrare in settori strategici dove fare affari (salute, educazione, ambiente, comunicazione...).

Ricercatori inglesi e tedeschi sono molto critici circa il potere decisionale dei grandi filantropi in grado di imporre a entità pubbliche e organizzazioni internazionali (Organizzazione Mondiale della Sanità, Organizzazione Mondiale del Commercio, ONU, ecc...) sia l’agenda - i problemi che debbono essere presi in considerazione - sia la metodologia per affrontarli e gli obiettivi che ci si pongono, privilegiando le “soluzioni” idonee e congeniali alle transnazionali. Questi milionari rappresentano un pericolo poiché possono imporre le loro priorità nel mondo, al margine di governi e del sistema democratico: la democrazia diventa una mera facciata al servizio del potere economico-finanziario.

La Fondazione Gates, ad esempio, finanzia campagne in campo sanitario, ma, attraverso intense campagne di lobby, difende anche la validità della proprietà intellettuale per assicurare ampi benefici ai suoi brevetti di software. I brevetti, però, colpiscono anche medicinali e sementi, condizionando pesantemente il diritto alla salute e all’alimentazione di centinaia di milioni di persone in tutto il mondo, soprattutto nei Paesi più poveri.

La filantropia, infatti, è anche espressione delle lobby più potenti, in grado di condizionare ogni aspetto della vita, della politica, dell’economia. (...). Per il mondo della filantropia l’accesso ai mezzi di comunicazione di massa è abituale: è indispensabile poter contare sull’informazione per far passare il proprio messaggio e portare a casa grandi profitti. (...). Naturalmente, anche in questo campo c’è un uso perverso del linguaggio: cancellati termini riconducibili a diritti sociali, si parla di “necessità” a cui rispondere con azioni filantropiche. (...).

Slavoj Zizek afferma: «La filantropia ha sostituito la politica ». La politica non è più un “affare comune”, è affidata a “professionisti” e rappresentanti, mentre il semplice cittadino deve limitarsi a preoccuparsi/occuparsi dei propri “affari privati”.

Nella privatizzazione “selvaggia”, a tutto campo, del sistema neoliberale, il “cittadino” diviene “insignificante”, non ha voce né spazio, non è ritenuto in grado di decidere cosa sia bene per lui - e tanto meno per la società - per cui ha l’obbligo di “scegliere” ciò che è stato scelto da altri per lui. (...).

Rhodes Diaves, responsabile del programma Giving Thought, della Charities Aid Foundation, chiede: «Come è possibile affrontare ingiustizia e disuguaglianze, quando la filantropia è possibile proprio come risultato della mancanza di equità?». (...).

Andando al di là di ideologie ed emozioni, se analizziamo a grandi linee il ruolo storico della filantropia, le sue conseguenze sociali, economiche e culturali, sembra che questa sia stata più una nemica che un’alleata nella trasformazione dell’attuale sistema economico verso uno più giusto ed equilibrato: una società veramente sana, retta da un modello basato su giustizia ed equità, non avrebbe alcun bisogno di gesti filantropici. Oscar Wilde diceva: «Il vero obiettivo deve esser quello di ricostruire la società in modo tale che la povertà sia impossibile ».

La filantropia rientra nella logica di privatizzare gli interventi su effetti, sintomi, conseguenze che non colpiscono mai le cause, perché queste sono originate dal sistema e ne perpetuano la priorità, prima tra tutto la demolizione del Welfare.

Di certo lo Stato attuale si allontana sempre più da un reale Stato di diritto, rappresentativo dei diritti e degli interessi delle maggioranze, preso com’è tra le spire soffocanti dell’economia e del potere finanziario internazionale, però il futuro della storia non può essere affidato a chi del sistema vive e che tale sistema ha creato e perpetuato: pure questo è un campo aperto da affrontare e per cui lottare.

* Adista/Documenti, 30 LUGLIO 2016 • N. 28


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